Nicaragua, il dramma della mamme bambine

Nicaragua, il dramma della mamme bambine

Azucena e suo padre guadagnano il centro della scena per danzare sulle note di un valzer infinito. In Nicaragua è molto più importante festeggiare il 15esimo compleanno che sposarsi. Tutte le bambine nicaraguensi sognano la loro festa dei quindici anni e le famiglie arrivano a indebitarsi pur di rispettare la tradizione, senza essere da meno di parenti e vicini di casa.

Il banchetto, gli invitati, i regali e il bel vestito, Azucena sembra una sposa, avvolta da pizzi e vaporose trine. “Mi sento come una principessa. Sognavo questo momento fin da piccola, mi vedo bella e mi sento una donna” dice dopo il gran ballo.

La favola della quinceañera è un incantesimo che si spezza guardando i dati sulla condizione femminile nel Paese. Non esistono statistiche ufficiali ma si stima che 41 gravidanze su mille siano di minorenni. Nella capitale Managua ogni cinque ore una ragazza sotto i 18 anni partorisce un bambino. Questo fa del Nicaragua il Paese con il maggior numero di madri adolescenti dell’America Latina. Una piaga sociale che viene spesso ignorata dalle istituzioni e taciuta dai media con l’intenzione di rappresentare un Paese felice e, al contempo, fedele al suo presidente Daniel Ortega. L’intramontabile leader della rivoluzione sandinista del 1979 è oggi al suo terzo mandato consecutivo, al fianco della moglie nonché vicepresidente Rosario Murillo.

Grandi manifesti tappezzano la città con i volti sorridenti della coppia presidenziale, ma non riescono a lenire le sofferenze di una generazione perduta di giovani madri, tutte ugualmente vittime di una radicata cultura “machista”, che ammette la sessualità precoce e giustifica la violenza.

“Non era nei miei piani avere un bambino con un uomo di vent’anni più grande di me. Ero triste e avevo paura per il parto. Lui, anziché starmi vicino, non si è fatto più vedere” racconta Dina, 14 anni, cercando un po’ d’ombra nella baracca di lamiere dove vive. Sua figlia Marelyn, che oggi ha otto mesi, è ancora in ospedale. “È nata sottopeso, i medici mi hanno spiegato che il mio corpo non era del tutto pronto per avere una gravidanza. Per questo la piccola deve prendere latte artificiale e farmaci”. Dopo il parto Dina non è più tornata a scuola e le amiche più care si sono allontanate da lei, come se la maternità fosse una colpa da espiare in solitudine. La giovane madre fissa il vuoto e stringe la mano della sorella Marelyn. “È l’unica persona al mondo che mi sta vicino, per questo ho chiamato mia figlia con il suo stesso nome”. Cala il silenzio, il sole brucia la pelle, in lontananza si avverte il grugnito di un maiale e le grida del proprietario. Dina tace, come se all’improvviso non avesse più niente da dire.

Marzia Ferrone

“L’adolescente incinta viene emarginata dalla società. Anche se parliamo di una minore che è stata vittima di violenza fisica e psicologica si tende a colpevolizzarla, considerando che l’arrivo delle mestruazioni sia sufficiente per avere un rapporto intimo e, quando questo accade, che sia stata la donna ad averlo provocato” spiega Vanessa Lopez Altamirano che collabora con Terre des Hommes Italia, onlus in prima linea nella prevenzione del fenomeno delle gravidanze precoci. Attraverso la campagna “Indifesa” Terre des Hommes ha infatti avviato numerosi progetti per contrastare il maltrattamento promuovendo la parità di genere tra le giovani generazioni.

Una sfida culturale impegnativa per fermare l’idea che la maternità sia una conseguenza ineluttabile dell’adolescenza. “Meglio con il pancione che con il diploma” recita un detto popolare. Parole che risuonano a casa di Etelbina e Vanessa, due sorelle di 16 e 17 anni, entrambe con il pancione. “Le mie ragazze diventeranno presto mamme” commenta Fatima, la loro madre. “Prego Dio che abbiano un buon parto e sono certa che sarà così” aggiunge sbrigativa, mentre cuoce una tortillas sulla piastra e il profumo di grano tostato invade la baracca, adibita a casa e a “pulpería”, piccola bottega di generi alimentari.

Le sue figlie ascoltano e abbassano gli occhi. “Ero già rimasta incinta a 14 anni ma ho perso il bambino per volere della divina provvidenza” sottolinea Etelbina, precisando che non si è trattato di un aborto indotto, considerato illegale in Nicaragua. “Il mio fidanzato vende frutta al mercato, sogno di poterlo sposare e di andare a vivere in una casetta tutta per noi” aggiunge Vanessa. Ma chi la conosce bene sa che il suo fidanzato è un uomo violento che non potrà darle la felicità sperata.

Come un morbo, abusi e pregiudizi contagiano tutti i livelli della società, compreso il Sistema sanitario. Mariela è rimasta incinta a 15 anni, dopo essersi fidata dell’uomo sbagliato, ma lo sfregio peggiore è arrivato dopo, quando si è trovata nell’ambulatorio del medico ginecologo che voleva portarle via la bambina per regalarla alla moglie. “Mi insultava dicendomi che ero una poco di buono” sospira Mariela, mentre si asciuga le lacrime con la maglietta rosa della sua bambina. Abbandonata dal fidanzato è stata aiutata dalla famiglia. “Voglio studiare e diventare un avvocato per difendere i diritti delle donne, troppo spesso calpestati in questo nostro Paese” spiega.

La spirale degli abusi in Nicaragua rappresenta una vera emergenza sociale, aumenta del 5% ogni anno, trasformandosi in migliaia di gravidanze indesiderate che aggravano la condizione femminile, aumentano l’abbandono scolastico, la povertà e il divario di genere. Quasi mai i padri si assumono la responsabilità dei figli, salvo qualche rara eccezione.

Nella campagna di Masaya, immersi in una distesa verde fatta di piccole piantine di fagioli, Yunielka e il fidanzato José lavorano la terra. Le schiene ricurve, il sudore riga le fronti. Lei ha 15 anni, lui uno in più, e lo scorso settembre sono diventati genitori di Genesis. Hanno deciso di crescerla insieme, con l’aiuto dei nonni. “Sono felice perché i miei suoceri tengono la bambina al mattino, quando noi lavoriamo i campi, e anche di pomeriggio, quando andiamo a scuola” spiega Yunielka. È quasi mezzogiorno, il sole è perpendicolare al grande albero di tamarindo che sorveglia la pianura di Masaya. Yunielka e José corrono a casa a cambiarsi. Eccoli in divisa bianca e blu, pronti per andare a lezione. Lei sogna di diventare un’esperta informatica, lui di fare l’architetto. La piccola Genesis, in braccio alla nonna, li osserva incuriosita. Mamma e papà camminano mano nella mano, verso la scuola, verso la speranza di un futuro migliore.