
Cosa significa lo sfratto nel quartiere musulmano della Città Vecchia
L’ultima famiglia palestinese
Da quando aveva ricevuto l’ordine di espulsione da parte della Corte Suprema Israeliana, Nora Ghaith Sub-Laban, 68 anni, aveva smesso di dormire e di uscire di casa per timore che l’esercito potesse approfittare della sua assenza e confiscare l’abitazione in cui abita da quando è nata.
All’alba dell’11 luglio scorso la donna palestinese ha dovuto momentaneamente lasciare il suo appartamento, l’ultima abitazione ancora occupata da palestinesi in un edificio controllato da coloni israeliani ultra-ortodossi. Prima di uscire ha spento la luce, chiuso la porta e mormorato una preghiera affinché potesse farvi ritorno dopo una visita medica che non poteva più rimandare.
È stata l’ultima volta. Alle prime luci dell’alba le forze israeliane hanno sfondato la porta, fatto irruzione nell’appartamento nella zona di Aqabet al-Khaldyeh, il quartiere musulmano della Città Vecchia di Gerusalemme, e permesso ai coloni di prendere possesso dell’appartamento. In pochi minuti, il marito di Nora Ghaith Sub-Laban e quattro attivisti del gruppo per i diritti umani Free Jerusalem sono stati buttati fuori e la serratura della porta cambiata.
Con il dito levato verso il cielo, circondata dalle telecamere e dagli attivisti accorsi nel tentativo di fermare lo sgombero, Nora Ghaith Sub-Laban ha urlato che la casa, un giorno, ritornerà di sua proprietà. “Sfrutterò ogni pretesto giuridico per continuare la battaglia per il possesso della mia casa, del mio Paese”, ha detto mentre il figlio Ahmad le teneva il braccio.
È improbabile che ciò accada. Dopo una battaglia legale durata 45 anni la Corte Suprema, l’ultima istanza giuridica di appello nell’ordinamento israeliano, aveva ordinato lo sgombero in un giorno che il sindaco di Gerusalemme Arieh King, leader del movimento dei coloni, ha considerato “da celebrare”, definendo i membri della famiglia “occupanti abusivi” e il caso come un semplice conflitto sulle proprietà immobiliari.
In realtà la battaglia su questo edificio di tre piani costruito due secoli fa a pochi metri dalla Moschea al-Aqsa e dal Muro del Pianto si inserisce nella cornice più ampia della disputa territoriale tra israeliani e palestinesi che si concretizza in una lotta senza quartiere per il possesso di ogni singola abitazione di Gerusalemme. In gioco c’è la conquista della maggioranza demografica nella città che sia israeliani che palestinesi rivendicano come capitale.
“Gli sgomberi servono un doppio scopo del governo israeliano: incrementare la presenza ebraica in città e accrescere il controllo sul territorio”, spiega Amy Cohen dell’ong israeliana Ir Amim, specializzata nel controllare l’attività dei coloni a Gerusalemme. “Ogni casa conquistata dai coloni rinforza la continuità territoriale della Gerusalemme ebraica ed ostacola la possibilità di una soluzione condivisa al conflitto”, continua Amy Cohen.
A Gerusalemme Est abitano oltre 220mila israeliani e oltre 350mila palestinesi che vivono in quartieri sovraffollati, costituendo il 38% della popolazione in una città in cui le autorità israeliane stanno implementando “politiche sistematiche di ingegneria demografica”, secondo l’Onu. Attualmente Gerusalemme sfiora il milione di abitanti. La maggioranza demografica ebraica è salda grazie all’alto tasso di natalità degli ebrei ultraortodossi che rappresentano circa un terzo della popolazione cittadina.
Per questa ragione il controllo di ogni casa rappresenta un’opportunità per affermare la propria presenza in questa città contestata. La storia dell’appartamento della famiglia Sub-Laban rispecchia in ogni suo aspetto l’andamento del conflitto israelo-palestinese.
Nella prima metà del Novecento, l’abitazione era posseduta da un gruppo di interesse dell’Europa orientale che raccoglieva fondi per le famiglie ebraiche di Gerusalemme. È poi diventata di proprietà del regno di Giordania dopo la guerra scatenata dalla creazione dello stato di Israele e, fino a pochi giorni fa, è stata oggetto di una controversia giuridica durata 45 anni, risoltasi con lo sgombero forzato della famiglia palestinese nonostante la pressione internazionale di diplomatici europei e americani.
Con l’istituzione dello Stato di Israele nel 1948, l’edificio diventò di proprietà del regno di Giordania dopo la guerra scatenata dalla creazione dello stato di Israele, che coincide con l’evento storico che i Palestinesi chiamano Nakba o ”La Catastrofe”, all’origine del conflitto israelo-palestinese. Più di 700mila palestinesi furono espulsi dalle loro città, senza potervi far mai più ritorno, mentre Gerusalemme fu divisa in due: l’Est alla Giordania, l’ovest al neonato Stato di Israele.
I Sub-Laban, come altre centinaia di famiglie palestinesi, firmarono un contratto d’affitto per la loro abitazione nella Città Vecchia con un ente giordano incaricato di gestire le proprietà immobiliari abbandonate a Gerusalemme Est. Nora nacque in questa casa due anni dopo, nel 1955.
I conflitti giuridici sulla proprietà iniziarono proprio quando poi l’ente fu posto sotto l’autorità israeliana nel 1967, a seguito della Guerra dei Sei Giorni con cui lo Stato ebraico sottrasse alla coalizione di stati arabi la Penisola del Sinai, la Cisgiordania e, appunto, Gerusalemme Est.
Nonostante i residenti palestinesi furono allora riconosciuti come “affittuari protetti” dalla legge israeliana, gruppi di interesse ebraici, incentivati dal governo, iniziarono a contestare la proprietà palestinese degli immobili nelle aule di giustizia, mentre i coloni ultra-ortodossi occupavano illegalmente le abitazioni palestinesi.
È così che è iniziata la battaglia legale che dopo 45 anni ha portato la famiglia Sub-Laban ad essere sfrattata dall’abitazione in cui viveva da quasi 70 anni. La proprietà dell’appartamento era rivendicata dalla fondazione Kollel Galicia, legata ad Ateret Cohanim, un gruppo di coloni all’origine di altri ricorsi per il passaggio delle proprietà immobiliari palestinesi nelle mani degli israeliani.
“Lo sgombero è parte del progetto di giudaizzazione di Gerusalemme che ha lo scopo di confiscare sempre più case ai palestinesi in favore dei coloni con il supporto del governo”, spiega Shir Tarabas, attivista del gruppo israeliano Free Jerusalem, i cui membri sono stati arrestati per aver tentato di fermare l’espulsione dei Sub-Laban, alla fine di una lunga campagna di intimidazione della famiglia palestinese da parte dei coloni.
I gruppi di interesse che rappresentano i coloni sono impegnati in una lotta senza quartiere per la conquista di Gerusalemme Est, sfruttando una legge del 1970 che permette soltanto ai cittadini di fede ebraica di reclamare la proprietà di immobili persi dopo il 1948. Questa legge non garantisce ai palestinesi lo stesso diritto e mette in piedi un impianto discriminatorio che non fornisce loro uno strumento di contestazione diverso dalla difesa nelle aule di tribunale. Spesso il giudice è lui stesso un colone, come accaduto ai Sub-Laban.
La Città Vecchia è solo uno dei teatri in cui si combatte la battaglia demografica tra israeliani a palestinesi a Gerusalemme. Casi di sfratto e demolizioni forzate si verificano nel quartiere di Sheikh Jarrah, all’origine della guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza 2021, che ha portato alla morte 256 palestinesi, inclusi 66 bambini e 13 israeliani. I Ghaith-Sub Laban sono solo due degli oltre 3mila residenti di Gerusalemme Est a rischio sfratto, cumulandosi con altre 20mila case palestinesi in tutta la Cisgiordania soggette a ordini di demolizione perché erette senza il permesso di costruire israeliano, che secondo un report dell’Onu è “virtualmente impossibile” da ottenere.
Le autorità israeliane concedono poca terra per lo sviluppo urbanistico e la costruzione di abitazioni nelle aree palestinesi, favorendo l’edificazione e il rafforzamento delle colonie. Il risultato è una crisi degli alloggi e di sovraffollamento nei quartieri palestinesi che, secondo alcuni gruppi di difesa dei diritti umani, è volta ad alterare il rapporto demografico a favore degli israeliani.
Avendo esaurito tutte le vie di ricorso, i Sub-Laban non hanno altri strumenti per far valere il lodo diritto a conservare quella che hanno considerato per decenni la loro abitazione. Mentre le utenze sono ancora a loro nome, la famiglia è stata condannata a pagare una multa di circa 2.500 euro come risarcimento alla municipalità di Gerusalemme per le operazioni di sgombero, senza che ciò rappresenti l’ultima beffa per la famiglia.