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Dall’aeroporto al centro di Beirut si attraversa un buco nero. La strada principale che collega lo scalo alla capitale è buia. Soltanto i cigli sono illuminati per qualche centesimo di secondo dai fari delle auto che sfrecciano nonostante il prezzo del carburante alle stelle. Intorno domina l’ignoto: dalle finestre dei palazzi non c’è luce, tutto è spento. Le case illuminate si contano sulle dita di un paio di mani. Sono i fortunati che possono permettersi un generatore di corrente elettrica, gli altri hanno al massimo qualche candela.
Da mesi, a causa della grave crisi energetica ed economica del Libano, non si riesce più a garantire la fornitura di energia elettrica per tutto il giorno, così i blackout sono sempre più frequenti. A Beirut, anche nei quartieri borghesi, capita che salti la corrente all’improvviso in qualsiasi momento e che torni nel cuore della notte. È l’effetto di una crisi energetica che in Libano è un’emergenza radicata (già nel 2018 l’azienda pubblica soddisfava soltanto il 63% della richiesta di elettricità nel Paese) ma che ora sta esplodendo e sta contribuendo ad aumentare le forti disuguaglianze. “Quando l’Occidente ci chiamava la Svizzera del Medioriente non sapeva realmente di cosa parlava”, commenta Rashid alla guida del suo taxi.
Ad amplificare il dramma è la crisi economica del Paese, messo in ginocchio dall’esplosione del porto del 4 agosto 2020 e ferito in maniera irreversibile dalla guerra in Ucraina. Fino a due anni fa il Libano dipendeva per il 66% dal grano di cui aveva bisogno dall’Ucraina e per il 12 dalla Russia. Oggi non ha più linee di approvvigionamento e non può neppure contare su scorte di grano, finite in fumo con la drammatica esplosione al porto, un evento dal quale la città non si è ancora ripresa.
“È la terza volta che vengo e stavolta mi sono accorto che questa profonda crisi economica si percepisce”. A parlare è il colonnello Claudio Guaschino, comandante del Reggimento Lagunari “Serenissima” alla sua terza missione nel Paese dei Cedri. “Nell’atteggiamento della popolazione c’è una considerevole difficoltà nel garantirsi i servizi essenziali. C’è carenza di medicinali, difficoltà ad approvvigionare il gasolio, che peraltro serve per costruire i pozzi per estrarre l’acqua, e anche il prezzo del pane è salito alle stelle”. Guaschino, che è stato qui anche nel 2006, nel periodo più drammatico del conflitto tra Hezbollah e Israele, ha pochi dubbi: “La situazione di oggi mi pare persino peggiore di quella di allora. Se non si trova una soluzione a livello governativo, si rischia davvero il peggio”.