Libano in Miseria
Un Paese in ginocchio tra crisi energetica e allarme alimentare

Libano in miseria

Dall’aeroporto al centro di Beirut si attraversa un buco nero. La strada principale che collega lo scalo alla capitale è buia. Soltanto i cigli sono illuminati per qualche centesimo di secondo dai fari delle auto che sfrecciano nonostante il prezzo del carburante alle stelle. Intorno domina l’ignoto: dalle finestre dei palazzi non c’è luce, tutto è spento. Le case illuminate si contano sulle dita di un paio di mani. Sono i fortunati che possono permettersi un generatore di corrente elettrica, gli altri hanno al massimo qualche candela.

La crisi energetica

Da mesi, a causa della grave crisi energetica ed economica del Libano, non si riesce più a garantire la fornitura di energia elettrica per tutto il giorno, così i blackout sono sempre più frequenti. A Beirut, anche nei quartieri borghesi, capita che salti la corrente all’improvviso in qualsiasi momento e che torni nel cuore della notte. È l’effetto di una crisi energetica che in Libano è un’emergenza radicata (già nel 2018 l’azienda pubblica soddisfava soltanto il 63% della richiesta di elettricità nel Paese) ma che ora sta esplodendo e sta contribuendo ad aumentare le forti disuguaglianze. “Quando l’Occidente ci chiamava la Svizzera del Medioriente non sapeva realmente di cosa parlava”, commenta Rashid alla guida del suo taxi.

Proteste all’indomani dell’esplosione di Beirut epa08592431 Un ferito manifestante antigovernativo libanese affronta la polizia antisommossa in una protesta a Beirut, Libano, 08 agosto 2020. La gente si è riunita per il cosiddetto “sabato delle corde sospese” per protestare contro i leader politici e invitarli responsabile dell’esplosione per essere ritenuto responsabile. Il 7 agosto il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno 154 persone sono state uccise e più di 5.000 ferite nell’esplosione di Beirut che ha devastato l’area portuale il 4 agosto e che si ritiene sia stata causata da circa 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio immagazzinate in un magazzino.

Ad amplificare il dramma è la crisi economica del Paese, messo in ginocchio dall’esplosione del porto del 4 agosto 2020 e ferito in maniera irreversibile dalla guerra in Ucraina. Fino a due anni fa il Libano dipendeva per il 66% dal grano di cui aveva bisogno dall’Ucraina e per il 12 dalla Russia. Oggi non ha più linee di approvvigionamento e non può neppure contare su scorte di grano, finite in fumo con la drammatica esplosione al porto, un evento dal quale la città non si è ancora ripresa.

“È la terza volta che vengo e stavolta mi sono accorto che questa profonda crisi economica si percepisce”. A parlare è il colonnello Claudio Guaschino, comandante del Reggimento Lagunari “Serenissima” alla sua terza missione nel Paese dei Cedri. “Nell’atteggiamento della popolazione c’è una considerevole difficoltà nel garantirsi i servizi essenziali. C’è carenza di medicinali, difficoltà ad approvvigionare il gasolio, che peraltro serve per costruire i pozzi per estrarre l’acqua, e anche il prezzo del pane è salito alle stelle”. Guaschino, che è stato qui anche nel 2006, nel periodo più drammatico del conflitto tra Hezbollah e Israele, ha pochi dubbi: “La situazione di oggi mi pare persino peggiore di quella di allora. Se non si trova una soluzione a livello governativo, si rischia davvero il peggio”.

Un lavoratore conta soldi in una stazione di servizio nella città di Khalde, nel sud di Beirut, Libano, 18 maggio 2022. Alcune stazioni di servizio a Beirut sono state chiuse ai clienti a causa di una carenza di benzina. Le società in Libano stanno distribuendo benzina in quantità limitate, ma alcune stazioni hanno interrotto le forniture a causa di un ritardo nelle consegne di benzina e di un ritardo nel completamento delle transazioni di cambio in USD per le società importatrici.

Malumori al Sud

Nel sud del Paese, costellato da piccoli villaggi, si vive persino peggio, come spiega Abdul Qader Safiyeddine, sindaco di Shama – villaggio a una manciata di chilometri dal confine con Israele: “Questi villaggi sono stati abbandonati dal governo libanese. Se c’è un buco in strada nessuno se ne occupa se non il contingente italiano di Unifil”. Shama, questo piccolo paesino di 4mila anime – terra di mezzo in un’area da sempre instabile – ha però legato le sue “fortune” (se così possono essere chiamate) alla base italiana dell’Onu che ospita nel proprio territorio.
Una foto diffusa dal Gabinetto del Ministro della Difesa il 17 giugno 2021. Il ministro Lorenzo Guerini nel pomeriggio ha presieduto – insieme alla ministra della Difesa francese Florence Parly ed al coordinatore speciale per il Libano delle Nazioni Unite, Joanna Wronecka – una video conferenza per discutere sul livello di operatività della Lebanese Armed Forces (Laf) e sulla loro capacità di compiere a pieno la loro missione, ritenuta “fondamentale per la stabilità del Paese e dell’Area”.
“In tutti i villaggi di quest’area Unifil ha portato acqua nelle case dei libanesi costruendo pozzi, ha costruito muri di sostegno e rifatto le strade. Inoltre nella base lavorano 250 persone, tutte libanesi, che prendono lo stipendio in euro. Questo è per loro un grande aiuto per vivere”.