
Donne che volano
Il mio cuore si avvia sul ritmo dei loro passi. C’è profumo di melograno e di tè nell’aria tiepida e silenziosa delle case e un’inquietudine calma e misteriosa mi allarma. Sto per entrare in qualcosa di proibito e sconosciuto nel misticismo di questo Iran. La casa è modesta.
Nella penombra della stanza, alle pareti intravedo le immagini del Rumi e del Profeta. Allah, Muhammed, Habibi: ecco le parole che legano il passato al presente.Â

Mi lascio avvolgere dalla serenità e dalla complicità del momento. Sono tra di loro e con loro, finalmente, e mi rendo conto delle distanze, dei secoli che ci separano e ci uniscono. Dalle strofe meravigliose di Hafez, il poeta più amato, dal Mani fino a Abu al Walid, per noi Averroè, colui che salvò Aristotele dai roghi di Isabella la Cattolica.

Poi, sottovoce, tutto inizia e io mi sento estranea, perduta e un po’ spaventata. Piano piano mi avvicino alla sacralità del momento. La macchina fotografica mi pesa. Vorrei essere nel cerchio tra di loro ma è solo un attimo e mi rendo conto che la mia danza saranno le immagini. Non c’è forse qualcosa di mistico nelle fotografie? Non c’è forse un legame forte tra foto e meditazione?

Accucciata, le osservo. Ora è silenzio. Si vestono una con l’altra con una veste bianca che ricoprono di un mantello nero, simbolo terreno di cui si libereranno quando, dolcemente, inizieranno a suonare i tamburi e dolcemente ripeteranno il nome di Dio: “Allah”… e la danza inizia.
Circolare prima, con una lenta spirale. Una mano verso il cielo e l’altra verso la terra. Poi sempre più veloce alla ricerca del loro Amato, spingendo l’anima verso l’universo intero.

Qualcosa nel mio animo mi agita. Non sono sicura di volermi alzare e fare ciò per cui sono venuta: una forma di pudore mi impedisce di fotografare, il timore di disturbare la loro devozione, il loro cammino. Ora sì, mi sento veramente estranea e perduta ma, con fatica, inizio a fotografare.