
Le 10 cose più strane
Le 10 cose più strane di Tokyo
Tokyo è una città infinita. Come una piovra, si estende su oltre 2mila chilometri quadrati, che diventano 13.500 considerando l’intera area metropolitana. Un mostro di cemento e acciaio inframezzato da piacevoli aree verdi, piccolo refrigerio quando, in estate, le temperature raggiungono i 37/38 gradi centigradi con picchi di umidità pari all’80% o più.
Dall’alto dei 332 metri della Tokyo Tower, una torre per telecomunicazioni affollata di turisti, situata all’interno del distretto di Shiba-koen, nel quartiere di Minato, ci troviamo di fronte ad un essere informe. Impossibile catturare l’essenza della capitale del Giappone, visto che ogni quartiere, ogni distretto, ogni strada offre una prospettiva unica. Anche a voler creare una griglia per orientarsi, suddividendo ad esempio le varie aree in base alla loro funzione principale – ovvero il quartiere degli affari, della moda, della Night Life – si finisce per ingarbugliarsi in un rebus senza soluzione.
“Da quassù è ancora più complicato individuare l’anima di Tokyo. Il suo cuore è nelle persone, nei vicoli, nelle luci. Nelle sue stranezze”. A parlare è uno dei tanti visitatori della torre. Si chiama Katsuro, studia fotografia all’estero e ha molta voglia di parlare con i gaijin, gli stranieri. Quando può, si piazza nei luoghi più panoramici di Tokyo e inizia a scattare a raffica con la sua macchina fotografica. Ha capito, dai nostri appunti, che vogliamo tratteggiare i contorni di questa megalopoli. E il suo consiglio, implicito, è chiaro: scendere in basso e collezionare, in un filo ideale di perle, tutte le particolarità della città. Un modo tanto alternativo e approssimativo per scoprirla, ma anche, forse, altrettanto efficace.
1) Mini uffici a noleggio in metro
I ritmi lavorativi di Tokyo sanno essere infernali. La metro è un reticolo di 13 linee – gestite da due operatori diversi, Tokyo Metro e Toei – che copre ogni punto chiave della megalopoli, compresi uffici e sedi delle più grandi aziende. Manager, businessman e colletti bianchi (pure nella loro versione locale di sarariman, lavoratore salariato) devono rispettare gli orari di lavoro, essere puntuali ad ogni riunione e presentare i progetti richiesti nei tempi prestabiliti. Tutto, nella metro di Tokyo, funziona alla perfezione. Impossibile, o quasi, assistere a ritardi o corse cancellate. Eppure, nonostante la massima organizzazione, può capitare un piccolo imprevisto, come la videoconferenza anticipata o un progetto da rivedere in extremis prima della consegna.
Per chi si trova in una situazione del genere tra una stazione della metro e l’altra, o semplicemente per chi ha bisogno di uno spazio riservato a prova di rumore, ecco i mini uffici a noleggio. In alcune stazioni, le più trafficate ma non solo, appaiono come dei bizzarri scatoloni rettangolari. A prima vista sembrano dei bagni. In realtà sono dei piccoli cubicoli affittabili da chiunque necessiti di un minimo di privacy o silenzio. Ci sono i Coco Desk targati Fujifilm, una quarantina tra Tokyo e Keikyu, o i Telecube, più di 80 sparse in tutto il Paese. Basta scaricare un’app sul proprio smartphone, prenotare lo slot ed entrare nell’ufficio. Gli interni sono ben illuminati e ventilati. Offrono ai clienti una sedia, una scrivania pulita e un monitor, oltre a spine, prese Ethernet, un’ottima connessione Wi-Fi e l’aria condizionata. Insonorizzate, hanno un costo che oscilla intorno ai 250 yen per 15’ (poco meno di due euro).

2) Host club e girls bar
Dimenticatevi il rigore diurno. La night life giapponese si svolge con regole proprie, non sempre di facile intuizione, ed è per questo facilmente fraintendibile. A Kabukicho, un’area nota per essere il quartiere a luci rosse più importante di Tokyo, è facilissimo, camminando, imbattersi in lunghe file di ragazzine disposte a bordo strada. Qui, come in altre zone adibite al divertimento notturno, le giovani indossano abiti succinti e consegnano volantini ai passanti. Ci sono scritte delle tariffe, ma non riguardano le prestazioni sessuali proposte quanto il costo richiesto per passare un po’ di tempo all’interno di un bar pieno di ragazze. Chi mette mano al portafoglio sa bene che non riceverà niente di strano in cambio. Sarà, semplicemente, circondato e accudito da stormi di giovanissime donne vestite da scolarette, o in maniera similare, che ascolteranno i patemi dell’avventore, riempiranno il suo ego di complimenti e belle parole, e lo faranno bere.
Niente prostituzione, vietatissima in Giappone, e niente sesso. Neppure nei cosiddetti Host Club, locali più eleganti dove hostess professionali invitano, con la loro bella presenza, uomini a bere in compagnia. Appena ci avviciniamo ad una ragazza vestita da Sailor Moon, a Shinjuku, riceviamo un cenno con la mano, chiaro segnale di abbassare la fotocamera dello smartphone. La giovane, che avrà intorno ai 20 anni, ci spiega in un inglese basilare che non vuole essere ripresa. Poco distante, Takao, un ragazzo che dice di lavorare nello stesso locale della ragazza, prova a giustificare il suo atteggiamento: “Non c’è niente di illegale in quello che sta facendo. Sakura (nome di fantasia ndr) ha appena iniziato a fare la pr per arrotondare il suo stipendio. Non vuole però dirlo ai suoi amici e alla sua famiglia”. Chiediamo per quale motivo, e la risposta è semplice: “Lavorare nella vita notturna, in Giappone, può generare facili fraintendimenti. Nessuno vuole avere etichette stampate addosso che potrebbero compromettere la loro immagine”.

3) Vending Machines ovunque
Chissà se qualcuno si sarà mai munito di tanta pazienza da stendere un censimento delle vending machines presenti a Tokyo, o meglio ancora, in tutto il Giappone. Sono letteralmente ovunque: all’uscita dei mini market, accanto ai negozi, nelle stazioni della metro, in strade poco trafficate. Secondo l’Associazione Nazionale dei Produttori né esistono più di 5,5 milioni, calcolatrice alla mano uno ogni 23 persone. La merce proposta è sempre fresca, di qualità ed economica. Le più diffuse offrono bibite e bevande, dal caffè di ogni tipo alla Coca cola, da brand autoctoni (la quasi totalità) ad acqua naturale o al gusto di pesca o limone.
Certe macchinette hanno un costo standard di 100 yen a bibita, quindi 0,80 centesimi di euro. Ma perché acquistare qui i prodotti e non nei negozi? Ci sono mille motivazioni. Comunicare con i giapponesi, persone squisite e gentili, per uno straniero è particolarmente complesso, visto che la conoscenza della lingua inglese latita anche tra i più titolati. Yuki, un signore di mezza età, si sforza, con il traduttore del telefono, a rispondere alla nostra domanda. Zaino di pelle alle spalle e gessato da ufficio, questo samurai moderno ci spiega che è tutta “una questione di comodità, una scelta in più da prendere in considerazione quando si è di fretta”.

4) L’estetica Kawaii
Esiste il bello, come lo intendiamo in Occidente, e poi c’è il “carino”, “l’adorabile”, il “grazioso”, traducibile con la parola giapponese Kawaii. A partire dall’inizio degli anni Ottanta, il termine indica una serie di personaggi inventati di manga, anime, videogiochi, e i gadget a loro connessi. Tutto questo costituisce la punta dell’iceberg della cultura pop giapponese, declinabile in più forme e modi. I ragazzi che passeggiano per le strade di Harajuku, una zona nota per essere una fucina di stili e tendenze giovanili, sono a caccia dell’ultima novità, sia essa la spilletta per capelli di Gudetama, sia la cover di un iPhone personalizzata con qualche piccolo, buffo animaletto.
È la subcultura giovanile che imperversa in tutto il Giappone, amplificata da cartoni animati, fumetti e negozi pieni di peluche e pupazzetti colorati. L’aspettò più curioso di questo fenomeno sociale riguarda la sua trasversalità. Non solo soltanto gli studenti e qualche nerd a sfoggiare portachiavi e t-shirt Kawaii. Molto spesso anche adulti insospettabili sono soliti presentare almeno una “carineria” nel loro vestiario. La borsa con un panda innamorato, nel caso di Taka e Aya, sulla quarantina, oppure la borraccia con un criceto che studia nel caso del coetaneo Hiroki. Attenzione però, perché anche sopra i mezzi pubblici o in alcuni luoghi d’interesse, i messaggi rivolti al pubblico sono spesso stilizzati. A chiedervi di non entrare in una stanza o di tenere bassa la voce, ad esempio, a fornirvi i giusti consigli troverete pulcini e rane.

5) La pornografia (anche spinta)
Sono disposte, con ordine, accanto alle riviste di attualità, in bella vista. L’unica accortezza è rappresentata da un piccolo nastro adesivo, posto a mò di sigillo, tra la prima e l’ultima pagina. Nonostante questo chiunque può vedere le copertine delle riviste per adulti, dove donne in carne ed ossa, sensuali e provocanti, invitano i clienti ad assaporare i piaceri nascosti di queste provocanti letture. Niente capezzoli, vagine, peli pubici o atti espliciti in vista, coperti, a seconda dei casi, da vestiti o censura. Il fatto è che persino il mini market dietro l’angolo espone una simile mercanzia, seppur nella sua forma più soft.
Gli amanti dell’hard, anche estremo, con categorie ai limiti dell’umano, possono invece trovare pane per i loro denti in appositi sexy shop e in librerie con piani dedicati al porno nudo e crudo. I clienti, anche in questo caso, proprio come per i girls bar, sono spesso rappresentati da uomini distinti, molto attenti nella scelta della rivista più consona ai loro desideri. Non c’è nessun imbarazzo nella scelta di un titolo, fumetto o giornale con modelle in carne ed ossa che sia. L’imbarazzo, semmai, emerge nel momento in cui qualcuno, soprattutto se straniero, prova a rompere un atto considerato normalissimo tra i giapponesi.

6) I menù (e gli ordini) dei ristoranti
In Giappone c’è un cibo finto che costa più di quello vero. Le vetrine dei ristoranti sono spesso occupate da riproduzioni, a dimensioni reali, dei piatti presenti nei menù offerti. L’obiettivo degli shokuhin sampuru, in italiano “modelli di cibo”, è semplice: far vedere ai passanti le varie specialità della casa, con la speranza di far venire loro l’acquolina in bocca. Eppure, con il passare del tempo, questi modellini artigianali hanno acquistato un valore di mercato fra i collezionisti. Allo stesso tempo, accanto ai locali nei quali si può tranquillamente entrare e ordinare il pasto da un menù di carta, ci sono alcuni ristoranti che chiedono agli ospiti di effettuare l’ordinazione da una macchinetta elettronica. Ciascun pulsante propone la foto di un cibo. Basta selezionare quanto desiderato e pagare in anticipo, salvo poi consegnare i bigliettini degli ordini agli inservienti.

7) Omamori ed ema
“Ognuno ha un significato ben preciso”, ci dice, con poca voglia di dialogare, l’addetto di un piccolo tempio shintoista nascosto tra i grattacieli del quartiere di Chiyoda. Gli omamori non sono altro che piccoli amuleti portafortuna di stoffa dedicati, talvolta a divinità shinto, altre ad icone buddiste. Il loro nome può essere tradotto come “tua protezione”. Al loro interno racchiudono una preghiera. Sono usati (e regalati) per allontanare la sfortuna, superare un esame scolastico, chiedere soldi o successo, salute e via dicendo.
Le persone sono solite legare gli omamori fuori dalle loro borse, agli specchietti delle auto o accanto alle chiavi. “Devono essere cambiati. Non funzionano all’infinito”, ci spiega lo stesso addetto, il cui suggerimento può essere inserito a metà strada tra la credenza religiosa e l’interesse nel vendere più amuleti. A quanto pare si “scaricano”, perdono la loro linfa, così come gli ema, le tavolette rettangolari di legno su cui i credenti shintoisti scrivono preghiere desideri, salvo poi appenderle in apposite bacheche nei pressi dei templi.
8) Il controllore che si inchina
Siamo abituati, sui nostri treni, a vedere controllori malmenati dai passeggeri o intenti a far rispettare la legge a passeggeri maleducati, in una perenne giungla. Niente di tutto ciò accade sui treni giapponesi, dove dei controllori quasi non si avverte la presenza. Di tanto in tanto attraversano i vagoni, in religioso silenzio, e, prima di uscire e aver gentilmente chiesto il permesso di verificare i biglietti, si voltano verso i presenti inchinandosi, spesso togliendosi il berretto in segno di deferenza verso i presenti. Per il resto, sui mezzi pubblici giapponesi difficilmente assisterete a grida o schiamazzi, a meno di non avere a che fare con mandrie di turisti.
9) La fila per fumare
“Smoking area”. Il cartello con una sigaretta accesa fa capolino da un piccolo angolo recintato da pareti di vetro trasparente. È questa l’area più vicina adibita al vizio del fumo. Siamo nel quartiere di Chiyoda, non distanti dal Palazzo Imperiale. Qui, come in tutta Tokyo, è vietato fumare in pubblico. Pena: una sanzione per i trasgressori che spazia dai mille yen (circa sei euro) a salire, a seconda dei casi. Che si tratti di sigarette elettroniche o di tradizionali, per fumare bisogna attenersi alle rigide disposizioni locali. Ovvero: recarsi nelle aree adibite, in quelle pubbliche o private, messe a disposizione da negozi e altre strutture. In realtà, non è raro scorgere qualche fumatore, soprattutto di notte, in qualche vicolo avvolto nel buio. La maggior parte, anzi la quasi totalità, delle persone sembra attenersi alla legge. In giro non si vedono mozziconi, almeno a Tokyo, mentre numerose smoking area presentano una fila di tabagisti in attesa del loro turno. Taro, 53 anni, è appena entrato nella nostra smoking area. Accende una sigaretta dietro l’altra. Consuma giusto un paio di tiri, poi spegne lo stick quando ancora potrebbe assaporarlo per tanti altri minuti ancora. E così via, in un turbinio di sigarette gettate via ancora intonse. “Non riesco a fare altrimenti. Sono un fumatore accanito. Non ho tempo da perdere. Appena posso consumo così un pacchetto intero”, ci spiega Taro, con la scusa di chiedergli da accendere. Quest’uomo, si capisce subito, è un caso particolare. Gli altri fumatori sono più tranquilli. Aspirano a pieni polmoni, con lo sguardo incollato sui loro smartphone. Quando hanno finito gettano tutto nel posacenere e si rituffano nella giungla urbana. “Ma non è così in tutto il Giappone. Nelle città minori le persone sono molto più rilassate nel fumare le loro sigarette”, ci confessa Taro prima di salutarci con un piccolo inchino.

10) I water ultra tecnologici
Il primo pulsante sulla sinistra serve per bloccare lo spruzzo d’acqua. Gli altri due sulla sua destra per attivarlo, regolandone la pressione. Completano la sequenza due ulteriori bottoni: uno, contrassegnato da una nota musicale, fa partire la musica, più o meno alta a seconda del volume voluto; l’altro genera un piccolo getto d’aria a completamento dell’attività. La ciliegina sulla torta è data dall’attivazione del deodorante. Non siamo in qualche spa né alle terme. Siamo in un bagno pubblico della metro di Tokyo e ci troviamo di fronte ad una delle tante, leggendarie, versioni dei “water ultra tecnologici” del Paese.
Sia chiaro: non è così in ogni negozio, ma è più comune di quanto non si possa pensare di imbattersi in water simili. Tecnologici ai limiti dell’assurdo, ma altrettanto puliti. È raro che un occidentale possa fare una simile esperienza di pulizia utilizzando i bagni pubblici della metro della propria città. È invece impossibile che possa chiedere al water di regolare un flusso d’acqua sul proprio sedere, scaldare la tavola e attivare un mini phon con tanto di musica in sottofondo per mascherare rumori imbarazzanti agli orecchi delle altre persone. Tutto è ovviamente gratuito. Non bisogna pagare né il corrispettivo di un euro né di 50 centesimi di euro per utilizzare i bagni pubblici.