
Le nuove tensioni con la Serbia
Il Kosovo in bilico
La musica dei locali riempie le strade e i tavolini dei bar che invadono il marciapiede sono così tanti che si fa fatica a camminare. A Pristina, capitale del Kosovo, la vita è così frenetica e spensierata che è difficile pensare che qualcuno possa anche solo ipotizzare una nuova guerra.
“Una nuova guerra non ci sarà. Chi vive nei Balcani sa bene che le tensioni nascono e si spengono nell’arco di poche settimane”. Robert, professione autista, attraversa il confine tra Macedonia del nord e Kosovo e tra Kosovo e Serbia più volte durante la settimana. “Siamo tutti diversi – continua – ci odiamo, poi ci amiamo, poi ci odiamo ancora. Quello che ci accumuna è il dramma del dovercene andare dai nostri Paesi a causa della crisi economica. Ma andiamo via e poi torniamo sempre. Chi riuscirebbe a vivere per sempre in Germania?”.

Il 21 agosto il presidente serbo Vučić, in un discorso televisivo, ha minacciato un intervento in Kosovo per proteggere la minoranza serba in quella che la Serbia stessa non riconosce come un Paese indipendente, ossia il Kosovo. In molti hanno visto in questa dichiarazione una concreta minaccia alla fragile stabilità che in questa area dei Balcani vige da poco più di vent’anni.
Le tensioni sono aumentate nel corso dello scorso mese, quando si è riaccesa la ciclica disputa relativa all’utilizzo di targhe serbe in territorio kosovaro: una normativa che doveva entrare in vigore il primo agosto prevedeva il divieto di utilizzo di documenti e targhe serbe nelle regioni settentrionali del Kosovo a maggioranza serba. A seguito dell’annuncio, proprio nella zona di confine tra i due Paesi ci sono state proteste con testimoni che parlano anche di esplosione di colpi di arma da fuoco. Al momento, l’entrata in vigore della normativa è stata posticipata. Il 27 agosto, Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in un tweet, ha affermato che si sarebbe raggiunto un accordo, grazie all’intermediazione dell’Unione europea, per facilitare reciprocamente l’ingresso e l’uscita dei veicoli e dei cittadini. Una soluzione che potrebbe, almeno temporaneamente, appianare le tensioni.

“Io non ho problemi: la mia auto ha una targa macedone. Ma se avessi una targa kosovara, avrei problemi a entrare in Serbia”, aggiunge Robert. Sin dal 2008 il governo di Belgrado, infatti, non permette l’ingresso ai veicoli con targa kosovara se non dietro acquisto di una targa provvisoria.
Paese più giovane d’Europa (l’età media è di 29 anni) e a maggioranza etnica albanese, il Kosovo si è autoproclamato indipendente dalla Serbia nel 2008, dopo appena nove anni dalla fine della guerra che aveva visto l’intervento armato della Nato e l’accettazione, da parte dell’allora presidente serbo, Milošević, del mantenimento della pace sul territorio con il ritiro delle truppe serbe.
“Da allora ci sono ancora più di 1.200 famiglie che attendono il cadavere di un figlio, un fratello, un padre… Di molti civili non si sono avute più tracce: probabilmente sono stati uccisi e sepolti in fosse comuni da parte dei militari serbi. Alcuni attendono ancora un impossibile ritorno, altri sono ancorai n attesa di poter seppellire un proprio caro”. A parlare è Astrit, guida turistica che lavora a Pristina.
“È come se la guerra avesse lasciato strascichi ancora molto vividi nella nostra memoria – aggiunge -. Una nuova guerra? Improbabile, contiamo sulla vicinanza dell’Unione europea”.

La vicinanza all’Unione europea è un altro punto di scontro tra Kosovo e Serbia. Pur non essendo riconosciuto da tutti i Paesi membri dell’Unione europea, infatti, il Kosovo ha più volte manifestato il suo interesse a entrarne a far parte e, a giugno, il primo ministro Albin Kurti ha affermato che, entro fine anno, inizierà il processo di adesione. La Serbia ha presentato domanda di adesione già nel 2009 ma, nel corso dell’ultimo anno, la sua vicinanza alla Russia di Putin potrebbe giocare a suo sfavore nei negoziati: il Paese, infatti, non ha imposto sanzioni alla Russia dopo la sua invasione dell’Ucraina, sia per la sua forte dipendenza energetica sia per il supporto che ha nel non riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Il 21 agosto, durante una sua visita a Mosca, il ministro degli interni serbo, Aleksandar Vulin, si è vantato del fatto che “la Serbia è l’unico Stato europeo a non aver introdotto sanzioni e che non ha preso parte all’isteria anti-Russia”.
A Pristina, intanto, secondo i molti giovani che ci abitano, l’Europa è molto più vicina che a Belgrado.

Proprio questa estate, dal 22 luglio e fino al 30 ottobre, la città ospita Manifesta, una delle più importanti mostre europee di arte contemporanea che, ogni due anni, attira appassionati e curiosi in una diversa città del vecchio continente. La capitale del Kosovo ha ospitato l’evento in molti dei luoghi simbolo della propria identità e delle diverse fasi storiche che l’hanno portata a diventare la capitale giovane dei Balcani. Al Grand Hotel, luogo principale di esposizione, tra le opere è possibile dare un’occhiata anche alla camera di Josip Broz Tito, ex presidente della Jugoslavia. Su un cartello espositivo si legge: “Quello che è accaduto qui non è stata solo l’arte della resistenza, ma la resistenza dell’arte”.