Incubo dal sottosuolo

Incubo dal sottosuolo

Quando il pick-up della Ong viene affiancato da due giovani in moto, che fanno una foto alla nostra targa, si oltrepassa un filo invisibile. Nulla infatti è lasciato al caso quando si sta per entrare in una zona di coltivazione massiccia di coca, dove sono i gruppi armati illegali a dettare legge.

La strada sterrata che porta al municipio di Leiva, nella regione del Nariño nel sud della Colombia, può rappresentare la sintesi di tutte quelle zone rurali del Paese dove lo Stato non esiste.

Le case che si incontrano lungo il tragitto non lasciano alcun dubbio su chi comanda davvero. Le sigle scritte con le bombolette spray marcano i confini dei gruppi che controllano il territorio e aggiornandoci sul recente cambio di potere: la sigla delle Farc è infatti stata cancellata ed è stata sostituita da quella della Agc (Autodefensas gaitanistas de Colombia). Non più la guerrilla, quindi, ma i paramilitari.

Arrivare a Leiva significa ritrovarsi tra un popolo arroccato su di un crinale della cordigliera occidentale della Colombia: di fronte i monti del Cauca, alle spalle, invece, la cordigliera occidentale che fa da barriera naturale all’entrata di quell’enorme estensione di selva che scende fino all’oceano Pacifico, là dove le vie di comunicazione sono esclusivamente fluviali.

La posizione geografica colpisce e fa riflettere e non si hanno troppe difficoltà a intendere l’importanza strategica di tutti i municipi limitrofi a questa cordigliera: storicamente infatti questa zona è un’area fertile per la produzione di coltivazioni illecite e a lungo è stata protagonista di conflitti armati.

Le cronache parlavano di Leiva non solo a causa degli scontri tra l’esercito e i gruppi al margine della legge, ma anche per la lotta clandestina tra i vari gruppi che da tempo si contendono la produzione e il traffico di cocaina e della sua materia prima. La regione del Nariño continua ad essere al primo posto in Colombia per area di estensione di coltivazione di coca, contribuendo quasi ad un terzo della produzione totale del Paese.

“Fino a circa due mesi fa” – rivela Silvio Mellara, capo della missione in Colombia della Ong Perigeo- “la dissidenza della vecchia guerrilla Farc faceva ancora da padrone nell’altro lato della cordigliera. Lasciato poi campo libero della zona, sono subito entrati in forze maggiori i paramilitari, rendendo di fatto off limits ai non addetti l’attraversamento della cordigliera”.

Una montagna che, dal versante opposto rispetto a dove è ubicata Leiva, è una sorta di Disneyland delle coltivazioni di coca e delle operazioni ad essa correlate.

Il cambio di legge repentino ha fatto sì che alcuni miliziani passassero da un gruppo all’altro. Una mossa tanto azzardata quanto difficile da perdonare. Solo il giorno prima del nostro arrivo a Leiva, due corpi carbonizzati sono stati trovati all’ingresso del “pueblo”, così come altri corpi di sono stati rinvenuti nell’ultimo mese.

Attualmente, però, non si commettono omicidi legati al controllo delle coltivazioni di coca all’interno del villagggio e queste morti sono da ascrivere ai regolamenti di conti interni tra gruppi rivali. La gran parte di queste morti però non è registrata ufficialmente.

È in questo contesto difficile che opera la Ong italiana Perigeo, in Colombia dal 2016, che si occupa dello sminamento della regione del Nariño.

Dalle finestre dei loro uffici di Leiva si vedono giovani che giocano a calcio nel campetto di cemento che definisce la piazza la villaggio. Ed è qui che incontriamo Dora, una cooperante della Ong specializzata nello sminamento.

È con lei e con gli altri colleghi che ripercorriamo quello che è il lavoro di bonifica e sminamento dei territori a rischio o con presenza di artefatti esplosivi. Solamente in questo modo, infatti, è possibile comprendere come gli sminatori si muovono sul campo.

Il connubio – grandi estensioni di coltivazioni di coca – presenza di mine/artefatti esplosivi pare essere quasi indissolubile. E Leiva (e le terre che la circondano) ne sono l’esempio che conferma la regola.

“Sono profondamente convinta dell’importanza del lavoro che il mio team sta compiendo, sia per quanto riguarda la bonifica, sia per quanto riguarda l’azione svolta a livello educativo sulle popolazioni locali ” racconta Dora, con occhi che rivelano esperienze di vita non comuni ai più.

Durante il conflitto armato sia la guerrilla che i gruppi paramilitari hanno fatto ampio uso di mine anti uomo e di artefatti esplosivi artigianali, provocando molto spesso vittime innocenti.

Tra loro c’è anche Don Nicolas, contadino della zona, le cui mani scolpite dai calli palesano la dura vita di anni nel campo.  “La mia fortuna”, ricorda, “è stato il fatto che il meccanismo di attivazione della mina che avevo calpestato non era direttamente sull’artefatto ma in una zona vicina. Se la mina fosse esplosa sul colpo, non credo l’avrei scampata”.