Fino alla fine del mondo
La crisi del Sud Sudan

Fino alla fine del mondo

Il Paese più giovane del mondo travolto dalle piaghe più antiche dell’umanità. È questo il paradosso, o forse il sunto, del Sud Sudan, la nazione africana nata il 9 luglio 2011 con un referendum che ne ha sancito l’indipendenza dal Sudan e che oggi è attraversata da una delle crisi umanitarie più spietate dei nostri tempi, in particolare nelle regioni dei Lakes e dell’Equatoria dove si vive, si uccide e si muore per il bestiame, per il cibo e per l’acqua.

È notte a Kapoeta, città del Sud Sudan vicino ai confini con l’Etiopia, il Kenya e l’Uganda, e decine di bambini vagano soli per le vie polverose della città. Si trascinano in gruppi che sembrano branchi, hanno 5, 6, 7, massimo 10 anni. Ognuno porta con sé un cartone o un sacco vuoto con cui allestire un precario giaciglio per trascorrere la notte. Poi all’alba, sempre in piccoli gruppi, incominciano a vagare tra i banchi dei mercati con una latta o una vecchia tanica di plastica, mendicano, o forse sarebbe meglio dire supplicano, qualche centesimo, un avanzo di cibo, un sorso d’acqua, un rimasuglio di pietà.

Africa, Sud Sudan, Equatoria, Kapoeta, maggio 2023. La stazione di polizia di Kapoeta, dove i bambini vanno a cercare un riparo di notte, dormendo per terra, su pezzi di cartone, e sacchi. L’emergenza in Sud Sudan è attualmente una delle più gravi al mondo, con più di 8.3 milioni di persone – di cui 4.5 bambini- – che necessitano di assistenza umanitaria. La popolazione varia dal 95 al 98% di analfabetismo in base alle determinate aree. Il tasso di abbandono dei bambini è altissimo. I bambini vengono mandati nei vari centri urbani, come Narus, come Kapoeta, dalle famiglie che rimangono nei villaggi. Qui per sopravvivere sono costretti a medicare nei mercati. Il governo non è in grado di provvedere a nessun tipo di servizio per questi bambini.

L’abbandono dei figli maschi è una delle conseguenze più spietate della crisi alimentare che sta attanagliando lo Stato africano e nella popolazione di allevatori dei Toposa, uno dei 64 gruppi etnici che compongono la nazione africana, l’allontanamento dei minori è divenuta una problematica estremamente drammatica e intrinseca nelle famiglie. “Questa secondo me è una delle piaghe peggiori che stanno colpendo la zona di Kapoeta. I bambini che vedete che vagano per le vie di Narus o Kapoeta, è bene specificarlo, non sono orfani, ma vengono allontanati dai loro genitori perché questi non sono in grado di mantenerli e quindi per i figli la vita si riduce a una ricerca continua di resti di cibo. La situazione è estremamente grave e non è sostenibile. Il governo non è in grado di far fronte a questa emergenza e il solo soccorso offerto a questi bambini viene dai presidi dei missionari che hanno delle scuole e dei dormitori”. A spiegare la situazione è Roberto Trisciani, 33 anni, da 8 anni in Sud Sudan, capo progetto dell’ong italiana Avsi. Avsi è presente nel Paese africano, regione di Great Kapoeta, dal 2017 con lavori sull’agricoltura e sull’educazione. E negli ultimi anni l’organizzazione non governativa ha incrementato i suoi sforzi nel portare aiuto alla popolazione sud sudanese. 

Africa, Sud Sudan, Stato dei Lakes, Rumbek, May 2023. Pastori Dinka: secondo un censimento del 2008, si calcola che siano 4,5 milioni di persone, corrispondenti al 18% della popolazione totale del Sudan del Sud, di cui rappresentano quindi il maggiore gruppo etnico.

L’instabilità politica, l’isolazionismo dettato dalla pandemia del Covid-19, i danni provocati dal cambiamento climatico che in Sud Sudan ha causato l’alternarsi di una stagione arida e di una di piogge alluvionali e la difficoltà di reperimento delle materie prime e del grano a causa della guerra in Ucraina e dell’ultima crisi nel confinante Sudan, hanno esasperato una situazione già estremamente fragile. Nel 2021 si è infatti verificata la peggior crisi alimentare mai vista dall’indipendenza del Paese ad oggi, e circa il 60%della popolazione tuttora versa in uno stato di bisogno e oltre 7 milioni di persone sono in una condizione di insicurezza alimentare acuta.

Africa, Sud Sudan, Equatoria, Kapoeta, maggio 2023.

Dal punto di vista sociale la crisi ha comportato un incremento dell’utilizzo di strategie di sopravvivenza negative tra la popolazione come il matrimonio precoce al fine di ottenere un reddito, e l’abbandono scolastico forzato per impiegare la manodopera minorile in attività di sussistenza. Inoltre, l’investimento statale in servizi essenziali è minimo e l’accesso a quelli di base, quali educazione, sanità, protezione e tutela legale, è quasi inesistente.

Toposa: comunità pastorale, gruppo Ataker ( che comprende toposa karamoja e i Turkana ) vive nel sud-est del Sud Sudan ed è una delle etnie maggioritarie del Paese

“Nell’area in cui ci troviamo la gente non ha assolutamente accesso ai servizi principali come la sanità, l’educazione o la reperibilità di acqua potabile. E gran parte della popolazione non sa cosa sia una scuola, il tasso di alfabetizzazione raggiunge appena il 2% e i bambini e le bambine non vengono indirizzati verso strutture scolastiche.” Ha spiegato Trisciani che poi ha proseguito dicendo: “Il progetto Iniziativa di emergenza in supporto all’integrazione socioeconomica delle popolazioni sud sudanesi sfollate, ritornanti, rifugiate vittime della crisi umanitaria protratta in Sud Sudan, Etiopia e Uganda che ora Avsi sta realizzando in partnership con Intersos con il finanziamento dell’Agenzia italiana per la cooperazione e  lo sviluppo, mira proprio all’aiuto e al supporto delle fasce più deboli e riguarda l’educazione scolastica e l’agricoltura, due fattori estremamente connessi”.

Africa, Sud Sudan, Equatoria, Kapoeta, maggio 2023. AVSI supporta la scuola primaria femminile “St.Bakhita” a Narus (contea di Kapoeta Est, EES).  La scuola ha non solo lo scopo fornire l’educazione di base in una zona dove le scuole non ci sono, ma soprattutto di sostenere bambine e ragazze madri e/o vittime di matrimoni forzati. La scuola ospita più di 600 studentesse

Uno degli obiettivi del progetto di Avsi è l’introduzione dell’aratro a traino animale nelle comunità dei Toposa. L’aratro, per quanto possa sembrare uno strumento antico, ad oggi è un attrezzo quasi del tutto sconosciuto in Sud Sudan. E il suo inserimento nelle comunità agricole, sebbene richieda molto tempo, potrebbe però avere un impatto rivoluzionario sia in termini di resa agricola, poiché permetterebbe di avere un incremento considerevole del raccolto, ma anche in termini sociali portando a un vero e proprio cambiamento delle comunità. Per i Toposa le vacche hanno un valore assoluto; sono merce di scambio, di sopravvivenza, un’ipoteca di esistenza e a pagare le spese di questa “sacralizzazione” dei bovini sono in primis le bambine che vengono date agli anziani leader locali in cambio di capi bestiame, divenendo così vittime di matrimoni precoci e poi, a tutti gli effetti, delle schiave sessuali.

Africa, Sud Sudan, Equatoria, Kauto, maggio 2023. Le donne sono il volano della società toposa, compiono la maggior parte delle attività quotidiane, come quella di prendere l’acqua dai pozzi o fiumi, agricoltura, costruzione delle capanne, raccolta del fuoco, la cucina e cura dei bambini. Vivono in una condizione subalterna. Alcune donne trasportano pesanti taniche d’acqua. Sono molto comuni i casi di stupro nel momento in cui le donne vanno dal villaggio a raccogliere l’acqua al pozzo perchè restano fiori 4/5 ore al giorno, e rimangono esposte a situazioni molto spiacevoli

La rivoluzione agricola che provocherebbe l’aratro, qualora riuscisse a divenire uno strumento di uso comune, sarebbe sostanziale e strutturale poiché frutterebbe una maggior resa di prodotti con un minore utilizzo di manodopera e di conseguenza, disponendo di più risorse, nelle comunità si ridurrebbe drasticamente l’abbandono dei minori poiché le famiglie avrebbero molti più mezzi per il mantenimento dei figli. In sintesi, l’aratro sarebbe lo strumento attraverso il quale si avvierebbe una rivoluzione copernicana in grado di porre fine all’abbandono scolastico e alla cessione delle bambine.
“Dare un bambino a un vecchio, significa uccidere il bambino!”. Josephine è seduta nel dormitorio del centro scolastico di Kapoeta, è una bambina e intorno a lei tanti altri bambini con divise color porpora e quaderni in mano scrivono, disegnano, giocano, si riappropriano di un’infanzia che non hanno mai avuto. “Quando ero a scuola i miei zii un giorno sono venuti a prendermi perché volevano riportarmi al villaggio dal momento che la dote di mia madre non era completa e quindi mi volevano dare a un uomo affinchè lui in cambio desse alla mia famiglia delle mucche”.

Africa, Sud Sudan, Equatoria, Narus, maggio 2023. Josephine Nakidor John, 15 anni. Josephine è scappata dal un matrimonio forzato, trovando rifugio nella scuola primaria femminile “St.Bakhita” a Narus, supportata da AVSI. Quando Josephine aveva 11 anni, i suoi genitori la volevano dare in sposa ad un uomo anziano che aveva già 5 mogli. Nonostante la giovane età Jospehine per tre giorni è riuscita ad opere resistenza e scappare trovando poi un posto sicuro dove stare nella scuola di St.Bakhita.

È un racconto destabilizzante e che toglie il fiato quello della giovane ragazza sud sudanese che oggi studia in un centro sorto grazie al contributo di Avsi. “Ho chiesto alla suora che gestiva la scuola se potesse ospitarmi per non tornare al villaggio e lei così ha fatto. E oggi sono qua”. La storia di Josphine è analoga a quella di altre decine di bambini e bambine fuggiti o abbandonati dalle loro famiglie e che ora, grazie alla scuola e al dormitorio che li ospita, vivono il proprio presente e sognano un futuro.

Africa, Sud Sudan, Equatoria, Narus, maggio 2023. AVSI supporta la scuola primaria femminile “St.Bakhita” a Narus (contea di Kapoeta Est, EES).  La scuola ospita più di 600 studentesse, tra le quali almeno 20 sono supportate da Avsi attraverso il pagamento delle tasse scolastiche, l’acquisto di libri e materiali scolastici da aggiungersi ai corsi di formazione che Avsi organizza per gli insegnanti.

Non rischiano più di essere uccisi dai razziatori di bestiame mentre portano al pascolo le greggi e nemmeno di divenire le mogli bambine di vecchi capi villaggio. Studiano, imparano, vivono, costruiscono speranza.  “È un Paese che non cambierà mai, un Paese in cui ci saranno sempre guerre e violenze e bambini che muoiono di fame…è questo quello che comunemente si dice e si pensa del Sud Sudan”, ha chiosato Roberto Trisciani  che poi, prima di accomiatarsi, ha concluso dicendo: “Ma lavorando sulle persone e lavorando con tutti quelli che vogliono cambiare la loro terra, io sono certo che qualcosa qui cambierà. Sì in Sud Sudan, qualcosa cambierà!”.

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