
Educazione, gentilezza, rispetto: l’identikit dei “samurai del XXI secolo”
“Irasshaimase!”. È notte fonda, e all’interno del convenience store di Tokyo siamo gli unici clienti. Appena varcata la soglia d’ingresso scatta una simpatica musichetta, quasi coperta da un saluto forte, secco, deciso, che proviene dal bancone. Un ragazzo sta armeggiando con la cassa. Sembra non accorgersi di nulla, immerso com’è nelle sue attività. E invece, nonostante la tarda ora, ha ancora voglia di accogliere gli avventori come se fossimo all’ora di punta. “Irasshaimase!”, e cioè “Benvenuto”, ripete ancora più forte non appena gli passiamo di fronte. Una volta tornati da lui, con alcuni articoli prelevati dagli scaffali, scansiona i prodotti ed indica sul display la cifra da pagare. Appena intuisce che intendiamo saldare il conto utilizzando i contanti, ci porge una piccola vaschetta di plastica all’interno la quale depositare le monete richieste. A quel punto, il cassiere inizia a parlare rapidamente. Ci sta semplicemente ricordando quanti soldi gli abbiamo dato e, una volta preso il resto, conta a voce alta quanto ci deve restituire. Terminata l’operazione di routine, ci chiede se vogliamo conservare lo scontrino. In caso di risposta negativa, basta lasciare la copia indesiderata in un apposito “cimitero” accanto alla cassa. Il rituale d’acquisto termina con un piccolo inchino da parte dell’addetto, mentre la nostra uscita dal mini market è scandita da un ultimo ringraziamento, “arigato gozaimasu”, pronunciato dallo stesso addetto.
Tutto questo accade di notte, quando c’è un solo cliente, ma anche di giorno, mentre decine e decine di persone frenetiche entrano nei konbini per consumare una rapida pausa pranzo. Saluti e ringraziamenti non mancano mai, per nessuno, a conferma di come la gentilezza sembri guidare i giapponesi nelle loro relazioni sociali. In realtà, l’atteggiamento mostrato nei nostri confronti dall’addetto del mini market è soltanto la punta di un iceberg enorme e, soprattutto, non è una semplice conseguenza dell’educazione. Al contrario, è un’espressione evidente della griglia interpretativa che consente agli abitanti del Giappone di “incasellare” la quotidianità, con tutti i suoi vari episodi e sfumature, in scene predefinite. La gentilezza è dunque uno dei collanti necessari a tenere in piedi l’intera impalcatura relazionale nazionale. Che si tratti di un giovane commesso di un convenience store, di un autista o di qualsiasi altra figura inserita nella società giapponese, il risultato è quasi sempre identico.
La gentilezza non è tuttavia l’unica caratteristica che contraddistingue i “samurai del XXI secolo”, e ce ne stiamo rendendo conto nel corso del viaggio che ci porterà da Tokyo a Kyoto. I samurai, un tempo fedeli ai loro padroni, oggi sono diventati cittadini modello obbedienti al loro governo, educati al limite dell’immaginabile e rispettosi del prossimo. Il bushido, il codice di condotta e lo stile di vita, composto da una serie di regole e principi filosofici tradizionalmente adottato dai vecchi samurai, si è implicitamente aggiornato alla giungla urbana del presente. La “via del guerriero” ha lasciato spazio alla “via del cittadino perfetto”. In Giappone non si sogna più di seguire le orme degli antichi samurai ma si spera di ricoprire il proprio ruolo all’interno di una società moderna, ultra tecnologica e talvolta cinica. E allora, eccoli i samurai moderni: non più abili spadaccini ma fedeli lavoratori delle zaibatsu, le grandi multinazionali giapponesi, servitori dello Stato e impiegati impeccabili.
Non è difficile rintracciare questo spirito nella quotidianità di Tokyo, cartina al tornasole di ogni battito cardiaco del Giappone. Sui mezzi pubblici, si tratti della metro, di un autobus o di un treno, il silenzio regna sovrano. Con i pochi oggetti acquistati la sera precedente, al mattino prendiamo un treno veloce per lasciare la capitale odierna e raggiungere la vecchia capitale imperiale: Kyoto. L’atmosfera è unica nel suo genere. Dimenticatevi la musica martellante che esce dalle casse di qualche viaggiatore maleducato, gli squilli molesti di smartphone lasciati a tutto volume, o le discussioni amplificate da risate e grida. Qui il silenzio, nei limiti dell’educazione, è quasi totale. Chi parla lo fa a bassa voce, ben attento a non disturbare gli altri.

Gli adesivi che invitano i viaggiatori ad abbassare le suonerie dei loro cellulari sono presi alla lettera. Persino i suggerimenti prima di salire o scendere da un mezzo – per intenderci: quelli che invitano a formare una fila in un certo modo, mantenere la destra e via dicendo – sono eseguiti con serietà. Il risultato è ordine nel caos. Un ordine sacro, impossibile da violare, come notiamo uscendo dalla stazione ferroviaria di Kyoto. Nonostante la ressa, la folla risponde a regole assimilate nel corso degli anni. Nei corridoi più trafficati, c’è sempre una sorta di barriera invisibile che separa i passanti che si spostano nei due sensi di marcia. Per il resto, la sensazione che si ha è che si potrebbe tranquillamente girare con lo zaino aperto e lasciare i bagagli incustoditi, senza che nessuno allunghi le mani dove non dovrebbe.
Una volta giunti a Kyoto, le prime impressioni di ritrovarsi nell’antico Giappone feudale, in una città tradizionale, sono infrante dalla colata di cemento antistante alla stazione centrale. Certo, l’ex capitale del Paese è ricca di luoghi affascinanti, dal Santuario di Fushimi Inari-taisha al Padiglione d’oro, ma il suo nucleo assomiglia molto ad una città cinese di fine anni Novanta: un lungo stradone centrale e due lati di marciapiede dove si susseguono boutique di lusso e negozi di ogni tipo. In ogni caso, al nostro arrivo la pioggia scende pesante sull’asfalto che ribolle. Non abbiamo un ombrello e stiamo per acquistarne uno, quando un ragazzo, accortosi della nostra situazione, ci offre un consiglio non richiesto. “Se non volete comprarlo ed essere più leggeri con i bagagli potete utilizzare uno di quegli ombrelli di cortesia”, ci dice indicando il porta ombrelli vicino all’ingresso di un mini market. Rimaniamo perplessi. “Sì, proprio quelli. Potete prenderne in prestito quanti ve ne servono per poi lasciarli in un luogo simile. Così altre persone, nella vostra stessa situazione, potranno fare altrettanto”, aggiunge salutandoci di fretta. Gli “ombrelli di cortesia” sono un altro tassello della gentilezza nipponica. Una gentilezza che collide con la recente storia del Paese, con il suo vecchio militarismo e con tutte le discriminazioni riservate a molti lavoratori stranieri, delle quali sono spesso piene le cronache dei giornali stranieri. È difficile guardare il Giappone oltre la sua maschera, risolvere i suoi enigmi, scioglierne le contraddizioni.