Chioschi, pub e gallerie d’arte: la nuova vita dei bunker sovietici

Chioschi, pub e gallerie d’arte: la nuova vita dei bunker sovietici

(Da Sofia) Sotto le moschee ottomane di Sofia, i monumenti dell’Armata Rossa e le chiese con cupola a cipolla, un imponente groviglio di cunicoli, tunnel e rifugi antiaerei bucherella in lungo e in largo i sotterranei della città. Per chi, i bunker, poteva permettersi di costruirli. Gli altri, durante la Guerra fredda, si arrangiavano allestendo gli scantinati. Oggi, queste reliquie del passato più prossimo della storia della Bulgaria sovietica sono in agguato appena pochi centimetri sotto il marciapiede. Per scoprirli, bisognerà mettersi in ginocchio.

Un’imponente opera di rivalutazione urbanistica delle migliaia di metri cubi del sottosuolo prese vita dall’inizio degli anni Novanta. I bulgari, del resto, avevano già dovuto adattare gli spazi una volta, viste le esigenze pseudo-belliche. Caduto il muro di Berlino, le necessità hanno lasciato posto ad altre necessità. Il popolo avrebbe dovuto iniziare a prendersi cura di se stesso, e centinaia di cittadini più intraprendenti decisero di cogliere l’occasione per trasformare i vecchi rifugi in negozi per la vendita di beni di prima necessità. Così, ben oltre i limiti della legalità, nacquero i “klek”, o “squat” (due verbi che suggeriscono l’atto di inginocchiarsi), botteghe seminterrate senza alcun punto d’accesso ma con una piccola finestra all’altezza del marciapiede attraverso cui comunicare la propria comanda al rivenditore.

All’inizio si trattava perlopiù di un modo per non disperdere le tradizioni. Si vendevano sciroppi, vaniglia fatta in casa, alcolici. Prodotti in grado di trasmettere il senso di familiarità. Col passare degli anni, oltre alla rilevanza storica, si sono trasformati in esempi cristallini di urbanistica dal basso verso l’alto. Con la regolamentazione guadagnata negli ultimi anni, sono diventati chioschi di approvvigionamento aperti 7 giorni a settimana, con delle enormi vetrate colorate che si aprono a ventaglio per mostrare i prodotti offerti. La maggior parte di loro vende sigarette, piccoli snack, bevande, prodotti per la casa. Ma camminando per le traverse della città si incontrano anche calzolai e artigiani d’ogni sorta. Ai clienti non occorre altro che accovacciarsi per fare il loro ordine e pagare il venditore dalla finestra.

L’affitto si aggira sui 5-600 lev (300 euro) al mese, in zone in cui al pian terreno i canoni sarebbero almeno dieci volte superiori. Grazie ai klek, per dire, Radoslav Alexandrov, un vispo vecchietto seduto sul suo sgabello sottoterra nei pressi del Teatro Nazionale, può permettersi di tostare la carne di manzo da usare come ingrediente principale dei suoi panini al formaggio kashkaval. Da bere offre invece un tè alla menta ottenuto da un mazzo di piante bollite che Radoslav raccoglie sui monti Rodopi. Un cocktail di sapori autoctoni da gustare in pieno centro.

Folklore a parte, col numero record di turisti che visitano Sofia, i klek si stanno affermando come alcuni degli spazi sotterranei più creativi della città. E i giovani hipster non stanno certo a guardare. La designer Elena Shemtova, 29 anni, ha fatto del suo klek una galleria d’arte, in cui espone gioielli, dipinti e tessuti di oltre 50 artisti bulgari in ben 236 metri quadrati di allestimento.

I ragazzi del club 5L, invece, hanno trasformato un bunker di due livelli sottoterra nel primo speakeasy della Bulgaria, appena fuori dalla sempre più alla moda Shishman street. Si tratta di uno di quei locali super esclusivi in cui per entrare bisogna conoscere una parola in codice, o un ingresso secondario semi-nascosto, o una combinazione speciale. L’accesso al tempio della mixologia di Sofia, ad esempio, avviene dopo aver individuato la serratura a mezza altezza di un disimpegno di 4 metri quadri arredato con scaffali pieni di libri. Con la giusta chiave, uno degli armadi si apre lasciando spazio a una volta cavernosa rinforzata con muri in pietra larghi due metri e un soffitto in cemento.

Il menu dei cocktail rappresenta una mappa col piano di evacuazione perfetto, un po’ per richiamare l’antica genesi del posto, un po’ per offrire un orientamento al cliente tra le decine di brandy di rakia e ouzos balcanici fruttati che il bartender della casa mescola con sapienza.

L’atmosfera è di quelle indescrivibili: un incrocio tra l’euforia del sorseggio di un drink in epoca di proibizionismo e il godimento dello spazio segreto nell’era della condivisione totale e forzata.

La stessa che si respira al Bsd, solo con più led. Il club sorge tra le mura che fungono da argine per un fiume in realtà diventato ruscello nei pressi del Palazzo Nazionale. È un klek atipico proprio perché rivisitato in salsa contemporanea con l’arredamento ricco di luci blu. La ricreazione è totale: il piano bar non occupa che una manciata dei 400 metri quadrati di superficie, in cui decine di tavoli da biliardo vengono sottratti all’oscurità del seminterrato, un megaschermo proietta qualsiasi evento sportivo il palinsesto mondiale abbia da offrire e i divani Chesterfield fanno da comode sedute per gli amanti delle freccette, giochi da tavolo e Play Station. Buio, in disparte e ricco di passatempi. Il klek perfetto per marinare la scuola. E per di più a prova di bomba.