S., 23 anni, da Lagos, città della Nigeria, è ritratta sul letto di una casa di una sua amica a Castelvolturno. Per tre anni, S. ha vissuto in una delle tanti "connection houses" di questa zona. (Foto di Alessio Paduano)
Schiave
Le prostitute di Castel Volturno

Le prostitute di Castel Volturno

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Castel Volturno è un non luogo. Fisicamente si trova in Italia, ma potrebbe essere in qualsiasi luogo del mondo in cui si vive di disperazione. In questo comune di 25mila anime nella provincia di Caserta si incrociano i destini di centinaia di donne partite dalla Nigeria, che arrivano in Europa, convinte di trovare una vita migliore e un lavoro legale. Nulla di più falso. Non appena arrivano nel nostro Paese, infatti, queste ragazze vengono ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi. La loro storia, però, è diversa rispetto a quella di tutti gli altri migranti. Le nigeriane vittime della tratta non scappano né dalle guerre né dai regimi che non rispettano i diritti fondamentali dell’uomo. Loro scappano da un futuro che non c’è, in un Paese costantemente in bilico.

A., una ragazza nigeriana di 19 anni, nella camera in cui di solito accoglie i suoi clienti (Foto di Alessio Paduano)
A., una ragazza nigeriana di 19 anni, nella camera in cui di solito accoglie i suoi clienti (Foto di Alessio Paduano)

Negli ultimi tre anni, secondo lo Iom (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni) il numero delle potenziali vittime di traffico in Italia per sfruttamento sessuale è aumentato del 600%. Il fenomeno coinvolge sempre di più ragazze giovanissime – spesso minorenni – che diventano oggetto di violenze e di abusi già durante il lungo viaggio verso il nostro Paese.

Una volta arrivate a destinazione, decine di clienti senza scrupoli sono pronti a soddisfare i loro desideri sessuali pagando pochi euro. Lo fanno con leggerezza, senza pensare a ciò che è successo a quelle ragazze e, soprattutto, senza pensare che la persona che hanno di fronte, molto spesso, viene sfruttata dalle cosiddette “madame”, cioè ex prostitute che ora gestiscono le giovani che sono appena arrivate in Italia. Ma non solo. Il fenomeno della prostituzione a Castel Volturno è bene organizzato e si sviluppa su due livelli.

A pregnant girl is seen in her bedroom in Castelvolturno, Southern Italy on May 27, 2018.

Al primo livello c’è la prostituzione di strada, dove solitamente ci sono le ragazze costrette a saldare il proprio debito ad una “madame”. Non è difficile incontrare anche ragazze che, nonostante siano riuscite a pagare il debito, continuano a vendere il proprio corpo in maniera indipendente, non riuscendo a trovare nessuna occupazione regolare. La cifra che i clienti spendono per consumare un rapporto sessuale con una di loro può andare dai cinque ai 15 euro.

Un uomo discute con una donna per decidere la tariffa di una prestazione sessuale all’interno di una “connection house” di Castel Volturno (Foto di Alessio Paduano)

Al secondo livello, poi, c’è la prostituzione praticata nelle “connection houses”. Le “connection houses” sono degli appartamenti privati che funzionano come ristoranti, luoghi di ritrovo o anche bordelli. Gli uomini africani (gli italiani sono presenti solo di rado) le frequentano per bere un drink, fumare marjuana o, se vogliono, consumare un rapporto sessuale spendendo pochi euro.

La scritta “Le puttane di rovinano” in una strada vicino a Castelvolturno (Foto di Alessio Paduano)

Il vodoo per plagiare le donne

Le vittime della tratta sono infatti costrette a pagare un debito fittizio che a volte può arrivare anche a 50mila euro. I trafficanti controllano psicologicamente le giovani donne attraverso il rituale del juju (voodoo) che viene praticato loro prima di lasciare la Nigeria. Durante questo rituale uno sciamano chiamato “native doctor” mescola pezzi di unghie, capelli, peli pubici e alcune gocce del sangue delle ragazze. Un miscuglio che poi le stesse dovranno bere per completare il rituale. Il juju le condiziona a tal punto da far credere loro che il mancato pagamento del debito potrebbe portare alla loro morte o a quella dei loro cari.

Un momento di una cerimonia religiosa all’interno di una chiesa pentecostale a Castel Volturno (Foto di Alessio Paduano)

Il 9 marzo dell’anno scorso, però, durante una cerimonia tenutasi nel palazzo reale di Benin City, l’oba Ewuare II, monarca di Benin (attuale Stato di Edo, in Nigeria) e massima autorità religiosa locale, ha celebrato un rito contro chiunque promuovesse l’immigrazione illegale nei suoi territori. In questo modo, Ewuare II ha eliminato i riti voodoo che vincolavano alla schiavitù sessuale le donne vittime della tratta di esseri umani in altri Paesi. “Da questo momento” – ha affermato l’oba Ewuare II – “tutti coloro che finora hanno vissuto nella paura e nell’obbligo di dover ripagare un ingente debito per rispettare il giuramento, si sentano liberi da questa paura perché qualsiasi forma di giuramento viene annullata”.