Un’iniziativa cristiana
nel conflitto israelo-palestinese

Un’iniziativa cristiana nel conflitto israelo-palestinese

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La coraggiosa visita del Papa in Iraq mi spinge a riflettere nuovamente sugli annosi tentativi di spingere l’Europa cristiana a intervenire più energicamente per cercare di rompere il gelo politico in cui versa il conflitto israelo-palestinese, abbandonando l’illusione che solo gli Stati Uniti siano in grado di mettere fine a questo conflitto. Il pontefice non rinuncia a una visita ampia e capillare in un paese che si trova nel cuore infuocato del mondo arabo. Non dimentichiamo che nei secoli l’Iraq ha assistito a feroci battaglie, a invasioni di potenze straniere, al crudele terrorismo dell’Isis e a pericolosi e violenti scontri tra musulmani sciiti e sunniti, intrattenendo rapporti carichi di tensioni da un lato con il fanatico vicino, l’Iran, e, dall’altro, con la minoranza curda interna. Malgrado tutto ciò, il Papa non si è tirato indietro ed è giunto con il suo seguito per portare un messaggio di pace e di pacificazione, rafforzando al contempo la minoranza cristiana che vive un delicato equilibrio in un paese così fortemente islamico.

Jerusalem, Orthodox Jews at the Western Wall ©Francesco Cito

Non si vede quindi perché il Papa e i suoi consiglieri non possano programmare un’ulteriore visita in Medio Oriente, una visita che riguarderebbe un unico luogo: Gerusalemme; forse nemmeno tutta Gerusalemme, ma quella parte della città entro le mura che viene chiamata Holy Basin (il sacro bacino). Dopo la Prima guerra mondiale, il conflitto israelo-palestinese è uno dei più lunghi e tenaci, malgrado i continui tentativi da parte di molte potenze di risolverlo e di pacificare i due contendenti. Nell’ambito di questo intervento non voglio entrare nel merito delle molteplici cause che caratterizzano questo particolare conflitto, desidero solo sottolineare il fatto che, a differenza di altre dispute territoriali nel resto del mondo, questa riguarda non solo una parte, come accade solitamente in molte lotte, bensì l’intero territorio.

Ragazzi che giocano a fare la guerra sui tetti nella parte araba di Gerusalemme con sullo sfondo la moschea di Omar (Qubbat al-Sakhrà ) sita sulla al-Haram al-Sharif, ©Francesco Cito

Oltre alle pretese di ciascuna fazione verso la totalità del territorio, nel conflitto tra israeliani e palestinesi si annida una trappola insidiosa nella città vecchia di Gerusalemme. Lo splendido recinto con la Moschea di Al-Aqsa e la Cupola della Roccia, che è ritenuto il terzo luogo religioso in ordine d’importanza nel mondo islamico, è costruito sulle rovine del Secondo Tempio ebraico, distrutto nel 70 d.C. Uno dei resti di quel Tempio è il versante occidentale delle mura che lo circondavano, ora contiguo alla moschea islamica, che è considerato dagli ebrei come il luogo santo più importante dal punto vista nazional-religioso, oltre ad essere un luogo permanente di preghiera. L’antagonismo fondamentale tra i luoghi santi adiacenti delle due religioni coinvolte in un conflitto nazionale, nasconde in seno un ulteriore, grave e sostanziale ostacolo alla possibilità di giungere all’agognata soluzione politica della divisione d’Israele in due distinti stati sovrani, israeliano e palestinese, nell’ambito della quale anche Gerusalemme verrebbe divisa in due distinte capitali nazionali.

Palestine, Abu Dis ©Francesco Cito

Com’è possibile vincere questa sfida capitale che da sempre minaccia qualsiasi scenario di trattative? Per colmo d’ironia, l’unico modo per cercare di districarsi dall’insidia religiosa in agguato alla fine dell’agognato percorso politico è quello di connettere un luogo santo di grandissima importanza per una terza religione ai due che lottano per stabilire il proprio status nel cuore della città vecchia di Gerusalemme. Mi riferisco al Santo Sepolcro e alle chiese e ai conventi vicini, a così breve distanza dal Monte del Tempio. Circa un decennio fa promossi ingenuamente una bizzarra missione e mi rivolsi all’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, perché l’Italia, a nome dell’Europa cristiana, chiedesse energicamente a israeliani e palestinesi di far partecipare il cristianesimo in modo attivo e paritetico nel processo verso una soluzione religiosa a Gerusalemme, trasformando la città vecchia entro le mura (in tutto non più di un chilometro quadrato) in un’enclave analoga al Vaticano, non soggetta a nessuna sovranità nazionale, bensì solo ed esclusivamente a quella delle tre grandi religioni monoteiste. In questo seguivo il pensiero politico della direzione sionista all’inizio del secolo scorso: “La parte vecchia di Gerusalemme non appartiene a nessuno perché appartiene a tutti”.

Jerusalem, boy in the Old City ©Francesco Cito

La visita dell’attuale Papa in Iraq è importante, anche perché rende noto al mondo che il mondo arabo non è uniformemente musulmano, ma conta arabi fedeli del cristianesimo nelle sue diverse forme. Il cristianesimo in passato ha assunto una posizione importante, che mantiene tuttora (purtroppo in forma più debole), soprattutto nei circoli intellettuali e tra i ceti più elevati del popolo palestinese. In passato, diversi gruppi di palestinesi cristiani si erano opposti attivamente al Sionismo, mentre altri, soprattutto gli appartenenti al partito comunista palestinese, avevano riconosciuto come legittima la partizione dell’ONU del 1947 che aveva dato agli ebrei il diritto di fondare uno Stato su parte della Palestina mandataria, anche grazie all’appoggio dell’URSS alla risoluzione. Il cristianesimo è nato in terra d’Israele e le tracce della sua meravigliosa nascita dall’ebraismo si ritrovano non solo nel Nuovo Testamento, ma anche nel fatto che Israele, il paese in cui sono nato e in cui è radicata la mia identità di israeliano (la mia famiglia vive nel paese da sei generazioni), è disseminato di chiese e monasteri che sono fonte di fascino e di orgoglio per me, e per altri come me, perché contribuiscono al pluralismo culturale, artistico e, di conseguenza, spirituale di questo piccolo territorio che raccoglie ebrei di tutto il mondo. Non vi è nemmeno dubbio che i palestinesi che vivono in mezzo o accanto a noi sono in parte i lontani discendenti degli ebrei che rifiutarono l’esilio dopo la distruzione del Secondo Tempio e dopo la perdita dell’indipendenza del regno ebraico e che, per rimanere fedeli alla propria terra natale, si convertirono, prima al cristianesimo e poi anche all’Islam.

Gerusalemme, 1964: Paolo VI entra alla Basilica dei Getsemani, ©LaPresse, Torino/Archivio storico

I cristiani, soprattutto quelli europei e in primo luogo i cattolici, possono ancora svolgere un ruolo nel portare la pace tra israeliani e palestinesi, in particolare riguardo il delicato tema dei luoghi santi di Gerusalemme. I cattolici, che nella storia si sono resi responsabili di così tante discriminazioni e persecuzioni contro gli ebrei in Europa, devono oggi farsi portatori di un’iniziativa complessa e per nulla facile, ed esercitare un’attiva e decisa influenza, cercando di contribuire alla pacificazione con la creazione di un’area sacra alle tre religioni in un luogo così delicato come Gerusalemme, che minaccia di far naufragare ogni possibile soluzione del conflitto israelo-palestinese.

Abu Dis, il muro che divide Israele dalla Palestina sotto controllo del Governo dell’Autonomia ©Francesco Cito

Tanto più che, con il loro fanatismo, gli evangelici americani, sostenitori dell’ex-presidente Trump, e i loro simpatizzanti alimentano il conflitto sostenendo in Israele le compagini di destra con il falso miraggio della costruzione del Terzo Tempio e della distruzione della splendida moschea islamica. Il Papa, che non ha esitato a organizzare una visita complessa e addirittura pericolosa in un paese islamico scisso da gravi dissidi e che vive tuttora una fragilità politica e nazionale, con la sua saggezza e con il suo coraggio, potrebbe, secondo me, usare l’influenza del mondo cattolico europeo, e anche di quello protestante, per intervenire in modo più attivo e cercare di disinnescare gradualmente e sapientemente l’insidia che minaccia l’auspicato processo di pacificazione politica tra israeliani e palestinesi.

Palestine ©Francesco Cito

In tal modo il sacro perimetro entro le mura della città vecchia di Gerusalemme si trasformerebbe in un luogo di bellezza e di saggezza. I meravigliosi architetti italiani che hanno costruito edifici religiosi di così grande effetto in tutta Italia sapranno trovare il modo di risolvere il dilemma architettonico degli israeliani che, pur esercitando la sovranità politica sui luoghi santi delle due principali religioni monoteiste, non posseggono altro che un muro spoglio, deludente, strappato alla distruzione, attorno al quale si raccolgono senza riparo dalle intemperie, uno sfacciato testimone dell’inferiorità rispetto alle due grandi religioni. Gli italiani, e innanzitutto i cattolici, discendenti dei Romani che distrussero il Secondo Tempio degli ebrei, provino ad usare il loro talento estetico per convincere gli israeliani a rinunciare alla sovranità e al controllo politico del perimetro sacro, in cambio della costruzione del santuario del monoteismo (che era l’idea originaria e originale che gli ebrei hanno dato al mondo) che troverà posto tra la moschea e la chiesa.