Tra i cristiani in Iraq
L’attesa per papa Francesco

Tra i cristiani in Iraq in attesa per papa Francesco

Questo reportage è stato realizzato grazie al contributo di Aiuto alla Chiesa che Soffre

 

QARAQOSH – “I terroristi dello Stato islamico hanno decapitato la statua della Vergine Maria e le hanno pure mozzato le mani. Verrà portata davanti al Papa nella grande messa nello stadio di Erbil. La stiamo restaurando, ma vogliamo mantenere i segni del crimine contro un simbolo sacro per i cristiani”. Malik Kadifa, 49 anni, viene da una famiglia armena, che ha subito il genocidio turco. Nel 2014 è scappato ad Erbil, “capitale” del Kurdistan iracheno quando lo Stato islamico ha occupato con brutalità Mosul e la piana di Ninive, il cuore dei cristiani in Iraq.

Il corpulento ingegnere ha il compito di rimettere in sesto la statua, che arriva dall’orgoglioso villaggio cristiano di Karemlash, dove i tagliagole del Califfato hanno oltraggiato i simboli degli “infedeli” scoperchiando addirittura le tombe per depredare qualsiasi cosa di valore. “Sono cristiano e convinto che non dobbiamo lasciare il Medio Oriente, la terra dei nostri padri” ribadisce Kadifa con un tono di voce triste, di chi si sente perseguitato ancora oggi.

Statua della Vergine Maria decapitata dallo Stato islamico. I tagliagole le hanno mozzato anche le mani. I cristiani di Iraq la stanno rimettendo a posto per portarla alla messa del Papa nello stadio di Erbil

Fra il 5 e l’8 marzo Francesco compirà, il primo, storico viaggio di un Papa in Iraq, la culla della civiltà e del cristianesimo. Nelle chiese di Baghdad, più volte attaccate dai terroristi all’incontro con il grande ayatollah, Ali Al Sistani, il “santo” in Terra degli sciiti iracheni, maggioranza della popolazione, sarà un evento senza precedenti.


La tappa ad Ur, la patria di Abramo, avrà una grande valenza simbolica, come il passaggio a Mosul fra le macerie della grande battaglia che ha liberato la “capitale” del Califfato. E poi ancora a Qaraqosh nella cattedrale data alle fiamme dalle bandiere nere, appena ristrutturata per accogliere il Papa fino alla grande adunata di 10mila cristiani nello stadio di Erbil.

“Sarebbero venuti in 30mila, ma a causa delle restrizioni del Covid abbiamo dovuto limitare le presenze” spiega monsignor Bashar Matti Warda, arcivescovo della “capitale” curda. Per primo aveva invocato l’arrivo del Santo Padre nel 2017 durante la battaglia che infuriava nella piana di Ninive e Mosul. “Alcuni fondamentalisti sono ostili alla visita del Papa e sostengono sui social che sta arrivando il “re” dei crociati – spiega Warda – ma non abbiamo paura delle minacce. Il governo e gran parte degli iracheni accolgono con favore la visita di Papa Francesco”.

Sul ponte pedonale all’ingresso del villaggio di Karemlash, a nord di Mosul, sventolano le bandiere gialle e bianche del Vaticano assieme a quelle irachene. Due grandi foto di Papa Francesco sovrastano la strada con la scritta “benvenuto”. I cristiani in armi delle Unità di protezione di Ninive presidiano il piccolo centro e controllano gli ingressi. Armi, mimetica, attrezzatura da corpi speciali sono 500-600 uomini addestrati dagli americani, che rispondono a Baghdad come catena di comando.

 

Il Campanile della cattedrale di Karemlash porta ancora i segni della distruzione delle bandiere nere

Padre Paolo ci aveva guidato fra le macerie di Karemlash appena liberata dallo Stato islamico. La sua chiesa è come nuova, ma il campanile ha ancora i segni delle esplosioni e la croce è piegata a metà. “Abbiamo voluto lasciarlo così per testimoniare e non dimenticare quello che ha subito la comunità cristiana” spiega il sacerdote in perfetto italiano.

Statua del bambin Gesù decapitata dall’Isis

I rintocchi della campana rimasta intatta chiamano i fedeli alla preghiera. Nella chiesa una suora suona l’organo per accompagnare il coro di giovani cristiane con un leggero velo di pizzo bianco sul capo. Lo stesso coro che canterà davanti al Papa fra le macerie di Mosul.

 

Coro delle ragazze cristiane

Al tramonto fra le case di una zona ancora distrutta di Karemlash si aggira un’anziana di mezza età, che non lesina critiche: “E’ rimasto così dalla guerra. La corruzione dilaga ed il governo non fa nulla per aiutarci”.

Qaraqosh è il cuore della cristianità nella piana di Ninive. La chiesa dell’Immacolata ha più di mille anni. All’esterno una foto di Papa Francesco sovrasta gli archi scarnificati dai proiettili delle bandiere nere che usavano il piazzale come poligono. La chiesa è gremita di fedeli per la prima messa domenicale alle 7 del mattino. Le antiche volte, i fumi dell’incenso, il prete con gli abiti talari di un tempo, i segni delle raffiche di mitra, i ritratti di Gesù e dei santi fanno ricordare la fede dei cristiani nelle catacombe. L’anziano fedele che a malapena si regge in piedi, le donne coraggiose che sgranano il rosario, i bambini con le candele accese al lato dell’altare e il potente “Amen” che risuona quando i fedeli si fanno il segno della croce rende ancora più coinvolgente l’attesa per il viaggio del Papa.

“La visita del Santo Padre ci darà forza – spiega padre Ammar – Il nostro problema più grande è l’esodo, la fuga all’estero. In Iraq siamo rimasti in 300mila (da oltre 1 milione ai tempi di Saddam nda). La paura delle violenze, la crisi economica, la corruzione spingono i nostri fratelli ad emigrare. Temo che ci sia un piano per svuotare il Medio Oriente dai cristiani”.

A Qaraqosh prima dell’Isis vivevano 50mila cristiani. Ben ventimila sono scappati soprattutto in Libano e Giordania per cercare di raggiungere l’Europa o gli Stati Uniti. Gli altri sono tornati per il 90% ricostruendo le case distrutte o saccheggiate, ma manca il lavoro e la sicurezza è sempre incerta. Nella piana di Ninive è tornato il 45,53% dei cristiani. La fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre ha investito quasi 50 milioni di euro soprattutto per la ricostruzione della case. L’occupazione del Califfato ha distrutto o danneggiato 369 chiese e 14.035 abitazioni cristiane solo nella piana di Ninive.

Immagini sacre deturpate dallo stato islamico

Padre Ammar ci accompagna nella cattedrale, la più grande dell’Iraq, che l’Isis ha dato alle fiamme, dove il Papa reciterà l’Angelus. Le possenti colonne annerite dall’incendio ora sono tornate del bianco splendente di un tempo. “Il Pontefice si siederà in questo punto davanti all’altare, che abbiamo lasciato annerito dal fuoco” spiega Ammar. Il prete assieme ad una cristiana di Qaraqosh che ha perso il figlio piccolo ucciso dai terroristi dello Stato islamico racconteranno al Papa le pene dei cristiani d’Oriente. All’esterno c’è grande attività per asfaltare la strada che porterà Francesco all’ingresso della cattedrale.

E varcata la soglia si troverà di fronte ad una specie di “museo”, prova tangibile della persecuzione dei cristiani. Un colpo di scimitarra ha tagliato in due la testa di una statua di San Giuseppe. Padre Ammar quasi piange con un piccolo bambin Gesù senza testa decapitata dall’Isis. I tagliagole islamici hanno sfregiato ritratti sacri, bruciato i libri della fede cristiana e si sono accaniti su un’antica croce in legno spezzandola in due. Oltre 120mila cristiani erano fuggiti in pochi giorni, nell’agosto 2014, davanti alla terribile avanzata delle bandiere nere.

Padre Ammar mostra una croce di legno spezzata dall’Isis

Adesso le nuove ombre minacciose sulla presenza cristiana sono gli shabak, l’etnia sciita della piana di Ninive che vuole espandersi comprando o conquistando terre con l’appoggio delle milizie. Sulla strada principale di Bartella, cittadina cristiana, ad ogni lampione è appesa la foto del generale dei Pasdaran iraniani, Qassim Suleimani ucciso nel gennaio dello scorso anno da un drone americano a Baghdad.

Posto di blocco delle Unità di protezione cristiane di Ninive

 

Ad un posto di blocco delle forze di protezione cristiane Andrios Ghiwardes, infagottato nel giubbotto antiproiettile, controlla la strada piazzato alla mitragliatrice pesante di un mezzo semi blindato. “Ho deciso di tornare dalla Nuova Zelanda. Questa è la mia terra – spiega in perfetto inglese il combattente assiro – Sono felice per la visita del Papa, ma i problemi restano.