“In Irak la chiesa è viva”. La festa dei cristiani per il Papa pellegrino
Questo reportage è stato realizzato grazie al contributo di Aiuto alla Chiesa che Soffre
Qaraqosh (Irak) I cristiani di Qaraqosh, perseguitati dall’Isis, sono in strada da ore, pigiati uno sull’altro, per salutare Francesco, il primo Papa pellegrino in Irak. Ramoscelli d’ulivo, foto di Bergolio, bandierine del Vaticano fanno da contorno a una grande, indimenticabile, giornata di festa. Il popolo cristiano è variopinto. I primi che incontriamo sono dei monaci libanesi con saio, cappuccio e barboni grigi, che camminano scalzi verso la cattedrale. Una giovane madre ha portato il figlio piccolo vestendolo come il Papa. Alcuni Rambo dei corpi speciali vestiti di nero e armati fino ai denti si sono addirittura infilati le bandierine dell’Irak e del Papa sui giubbotti antiproiettile. La coreografia è organizzata da un prete e una suora, giovani, che ballano scatenati e cantano a squarciagola lanciando la folla nei ritornelli in italiano. Su un tetto è appostata una pattuglia di suore compresa Patrizia, l’unica italiana dell’Irak, che si occupa di un asilo a Qaraqosh.
L’arrivo del Papa è un tripudio fin dal sorvolo dell’elicottero su Mosul. La folla si scatena quando intravede il Santo Padre che saluta. Tutti vogliono fare un selfie, ma la sicurezza è rigidissima e i cristiani si accontentano della foto con l’immagine stampata su un volantino. Davanti alla cattedrale dell’Immacolata Concezione semi incendiata dall’Isis, il Pontefice benedice il portone d’ingresso che si apre su una parte della chiesa ancora annerita.
«Vi incoraggio a non dimenticare chi siete e da dove venite. A custodire i legami che vi tengono insieme, le vostre radici» esordisce il Papa davanti all’altare ancora annerito dal fuoco. Bergoglio invita i cristiani al «perdono necessario da parte di coloro che sono sopravvissuti agli attacchi terroristici. Per favore non scoraggiatevi, serve capacità di perdonare e nello stesso tempo il coraggio di lottare». Il Papa ha ricevuto in ricordo due stole con il simbolo delle croci distrutte dall’Isis e riportato in Irak un libro sacro sfuggito miracolosamente all’avanzata del Califfato, messo in salvo in Italia.
La dedica del Papa come ospite d’onore della cattedrale è toccante: «Da questa chiesa distrutta e ricostruita, simbolo della speranza di Qaraqosh e di tutto l’Irak, invoco da Dio, per intercessione della Vergine Maria, il dono della pace».
Poche ore prima Francesco era a Mosul, l’ex capitale del Califfato, nell’impressionante scenario di distruzione della piazza delle quattro chiese trasformate in corte talebana e orribile prigione dall’Isis. Alla fine la coalizione alleata contro il terrorismo l’ha bombardata radendola al suolo. «Com’è crudele che questo Paese, culla di civiltà, sia stato colpito da una tempesta così disumana, con antichi luoghi di culto distrutti e migliaia di persone – musulmani, cristiani, yazidi – annientate» ha denunciato Bergoglio davanti alle macerie elevando una preghiera per tutte le vittime della guerra.
L’ultima tappa dello storico viaggio di tre giorni in Irak è la messa nello stadio di Erbil, nel Kurdistan: un bagno di folla con 10mila persone. Quando Francesco arriva sulla Papamobile e fa il giro dello stadio i cristiani vanno in visibilio. Il Santo Padre viene rincorso da giovani e anziani come una rockstar. Sull’altare mostra tutti gli acciacchi dell’età zoppicando sensibilmente, ma la funzione è toccante e Bergoglio ammette che questo viaggio «mi resterà per sempre nel cuore». Nell’omelia lancia il messaggio di resistenza: «Oggi, posso toccare con mano che la Chiesa in Irak è viva, che Cristo vive e opera in questo suo popolo santo e fedele».