Voti e macerie
Le elezioni turche nell’epicentro del terremoto

Voti e macerie. Le elezioni turche nell’epicentro del terremoto

Sulla strada che da Gaziantep conduce a Nurdağı, camion carichi di macerie corrono sull’asfalto dissestato. Tende e container circondano le case disabitate dei villaggi. A Nurdağı, città a 26 chilometri dall’epicentro del terremoto che lo scorso 26 febbraio ha colpito Turchia e Siria, le operazioni di demolizione non sono ancora concluse. “Oggi abbatteranno la mia casa”, dice Ahmet, insegnante di Nurdağı, indicando un palazzo di sei piani sventrato dal sisma. “Io vivevo al secondo piano con la mia famiglia, è un miracolo se non siamo morti”. Ahmet ci mostra l’interno della casa interamente distrutta. Poi scatta le ultime foto all’edificio prima che venga demolito. Alle sue spalle, sulla strada principale, un furgone con la foto del presidente Recep Tayyip Erdoğan invita gli abitanti a votare.

Il 14 maggio, in Turchia, si tengono le elezioni presidenziali più combattute da quando Erdoğan è al potere, e una delle incognite principali riguarda proprio le zone colpite dal terremoto. Alle elezioni del 2018, nella provincia di Gaziantep, di cui Nurdağı fa parte, vinse l’Akp del presidente turco. Dopo il sisma, però, Erdoğan è stato pesantemente criticato per la gestione dell’emergenza, dal leader dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu, ma anche dagli abitanti della zona. “Lo Stato si è fatto trovare impreparato. Gli aiuti sono arrivati troppo tardi”, dice Merve Karataş, 26enne di Gaziantep e presidente di una piccola associazione culturale locale, Nar Sanat. “Nei giorni immediatamente successivi al terremoto, qui abbiamo accolto centinaia di persone lasciate indietro dal governo“, aggiunge mostrando un cortile che, dopo il sisma, è stato adibito a rifugio. “Arrivavano anche da città limitrofe. In alcune, come Nurdağı, la situazione era ed è ancora gravissima”.

Nella città devastata dal terremoto, le strade sono ancora un cumulo di detriti. Accanto alla casa di Ahmet, dove prima c’era una banca, i documenti di decine di abitanti spuntano dalle macerie. Ahmet si piega per raccogliere una busta trasparente: “Lui lo conoscevo”, dice indicando la fotocopia di un documento di identità. “Lavorava come poliziotto, e abitava nel mio palazzo. È morto nel crollo dell’edificio”.

Allontanandosi dal centro di Nurdağı, distrutto dal sisma, gli edifici diroccati lasciano spazio alle tende. Alcune recano il cognome della famiglia scritto a pennarello sulla tela bianca. L’area principale che ospita le persone rimaste senza una casa è presidiata dalla polizia. Nelle ultime settimane, con l’avvicinarsi delle elezioni, il controllo delle autorità è stato rafforzato, spiegano fonti locali. A decidere chi può entrare nell’area principale è l’ufficio di coordinamento, organizzato in un container a pochi passi dalla moschea. Ai giornalisti l’ingresso viene vietato. “Dieci giorni fa, i controlli non erano così stringenti”, spiega la mediatrice che ci accompagna. “Sono tutti più nervosi a causa di queste elezioni”. Qualcuno cerca riparo dal sole sulla soglia dell’ufficio, mentre un addetto distribuisce acqua alle persone in attesa. Sul mobile dell’ingresso, è sistemata una pila di giornali con Erdoğan in prima pagina.

Nelle strade di Nurdağı, gran parte dei manifesti elettorali recano il volto del presidente e leader dell’Akp. “Prima del terremoto non ho mai votato per l’Akp”, dice Ahmet, “ma qui a Nurdağı lo Stato ha dimostrato tutta la sua forza. Rispetto a un mese fa, ci sono molti più container”. Tra le persone che ancora sono costrette nelle tende, c’è chi abbozza una critica nei confronti del governo: “Ci manca tutto”, dice una donna. “Ci serve sostegno materiale, ma anche supporto emotivo”. “Abbiamo fatto richiesta più volte per un container, ma ci è sempre stato negato”, aggiunge suo figlio. “Mia madre è malata, ma dopo tre mesi siamo ancora obbligati a vivere qui”. Nonostante tutto, si affretta a chiarire la donna, “voteremo Tayyip (Erdoğan, ndr)”.

Secondo le denunce della Human Rights Association di Gaziantep, il governo ha cercato di limitare la perdita di consensi nelle zone colpite dal sisma appropriandosi degli aiuti che venivano offerti dalla società civile. “Le forze dell’ordine fermavano questi camion, e gli aiuti venivano poi distribuiti come se fossero del governo”, dice Bahri Oğhz, avvocato di 29 anni e presidente dell’associazione. Nella provincia di Gaziantep, dice Karataş, rifugiati siriani e membri della minoranza alevita sono stati deliberatamente esclusi dagli aiuti. In diversi casi, spiega, a essere incolpati per i furti degli aiuti sono stati gli stessi rifugiati: “Alcuni di loro sono stati vittime di violenze da parte degli altri abitanti o, talvolta, delle stesse forze dell’ordine. Ci sono stati anche casi di omicidio”. “In un primo momento, il governo è stato travolto dalla rabbia degli abitanti delle zone colpite”, aggiunge Karataş. “Poi, con la propaganda su media e social network, è riuscito a reindirizzare questa rabbia verso alcune fasce della popolazione, come i rifugiati”.

Sulla strada principale di Nurdağı , alcune persone distribuiscono volantini elettorali. A poche ore dall’apertura delle urne, l’incognita più grande riguarda il corretto svolgimento delle operazioni di voto. Hatice Kübra Korkmaz, membro della Association of Lawyers for Freedom di Gaziantep, teme che possano verificarsi irregolarità: “Molti decessi non sono ancora stati registrati, potrebbe volerci fino a un anno per i certificati di morte. Per questo c’è chi potrebbe iscriversi alle liste elettorali con i nomi delle vittime e votare più volte”. Nella provincia di Gaziantep, gli osservatori indipendenti della Human Rights Association sono pronti a vigilare sulle operazioni di voto: “Siamo stati contattati anche dall’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ndr)”, assicura Oğhz, “monitoreremo le elezioni nell’area e denunceremo ogni violazione”.

Nel tardo pomeriggio, su Nurdağı inizia a piovere. Davanti a una tenda, i bambini smettono di giocare. Uno di loro si mette a piangere. “Quando c’è stato il terremoto pioveva”, spiega il padre. “Da quel giorno, molti di loro hanno paura della pioggia”. In lontananza, una gru continua a scavare tra le macerie. “Il bilancio ufficiale del terremoto parla di 50 mila vittime in Turchia, ma siamo convinti che il numero sia molto più elevato”, conclude Oğhz.