La stretta di Erdogan sulla stampa
Storie da un giornale di opposizione

La stretta di Erdogan sulla libertà di stampa

Quando Cem Şimşek sbuca dalla porta del suo ufficio, la redazione ha già iniziato a riempirsi. “Di solito la riunione è alle 10, ma questi non sono giorni come gli altri”, dice con un sorriso. Şimşek è il caporedattore di Evrensel Gazetesi, uno dei principali quotidiani turchi di opposizione. Nel 2021, è stato condannato a 11 mesi e 20 giorni di carcere per avere ripreso una vignetta contro il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Ma in questi anni, spiega, il governo turco ha preso di mira l’intera testata: “Vogliono metterci a tacere”, dice Şimşek. Fuori dal suo ufficio, due reporter sfogliano l’edizione del giorno. Il direttore, Fatih Polat, guarda le notizie sul cellulare. Nella redazione di Evrensel, al secondo piano di un anonimo palazzo di Şirinevler, quartiere sulla sponda europea di Istanbul, si respira un’atmosfera di attesa. “Il governo vede queste elezioni come una questione di vita o di morte”, dice Şimşek. “Per giornalisti come noi non è facile raccontarle”.

All’indomani del voto del 14 maggio, Evrensel ha titolato in prima pagina “Erdoğan Geriledi”. “Erdoğan perde terreno”. Il presidente uscente si è fermato poco sotto la soglia della maggioranza assoluta, al 49,4%, e per la prima volta nella sua carriera politica non ha vinto un’elezione al primo turno. Ora si giocherà la riconferma al ballottaggio del 28 maggio, dove parte favorito. Lo spoglio è stato caratterizzato da accuse reciproche di manipolazione tra l’AKP del presidente turco e il CHP di Kılıçdaroğlu. L’opposizione, in particolare, ha puntato il dito contro l’agenzia di stampa Anadolu, controllata dallo Stato. Secondo le accuse, avrebbe diffuso i risultati parziali dando la precedenza alle regioni in cui il CHP è più debole, in modo che il vantaggio di Erdoğan risultasse più ampio e che le persone ai seggi abbassassero la guardia. “Anadolu è il centro di propaganda del governo”, dice Şimşek, “ma l’intero settore dei media in Turchia ha subito un processo di monopolizzazione. Alcune testate sono state fondate, e altre sono state finanziate, da grandi conglomerati economici vicini al governo”. In questo contesto, dice Şimşek con orgoglio, “Evrensel rappresenta una delle poche eccezioni in tutto il Paese”.

Il quotidiano, fondato nel 1995, è nato per “essere la voce della classe lavoratrice in Turchia”, e attualmente conta circa 50 giornalisti negli uffici di Istanbul, Kocaeli, Ankara, İzmir, Diyarbakır e Adana. Evrensel si è schierato più volte contro le politiche di Erdoğan. Prese di posizione che hanno attirato i tentativi di censura del governo. “Noi giornalisti siamo stati portati in tribunale”, dice Şimşek, la cui condanna per “insulti al Presidente” è attualmente sospesa in attesa del verdetto della Corte Suprema, “mentre la testata ha subito ispezioni da parte delle autorità, ha ricevuto lettere di avvertimento, è stata multata”.

Nel 2022 la Basın İlan Kurumu (BİK), l’agenzia statale che regola la distribuzione della pubblicità ai giornali in Turchia, ha giudicato Evrensel non idoneo a pubblicare annunci sul giornale. “Hanno detto che non raggiungevamo la soglia minima di copie vendute”, dice Şimşek, “ma dal conteggio sono state deliberatamente escluse le copie in abbonamento vendute ai sindacati e alle sedi di alcuni partiti politici”. Una decisione che ha avuto un forte impatto sui conti economici di Evrensel. “La pubblicità è la nostra principale fonte di ricavi”, dice Şimşek. “Abbiamo maturato debiti a causa del taglio degli annunci”. “Si è trattato di una decisione profondamente ingiusta”, commenta Barış Altıntaş, fondatrice e co-direttrice della Media and Law Studies Association (MLSA), associazione no-profit con sede a Istanbul che offre supporto legale ai giornalisti. “Evrensel è stato punito per il solo fatto di non essere un quotidiano filo-governativo”.

Foto di Giada Ferraglioni e Sergio Colombo.
Foto di Giada Ferraglioni e Sergio Colombo.

In sala riunioni, i giornalisti di Evrensel prendono posto attorno a un grande tavolo ovale. Il direttore ci mostra la notizia degli arresti di 11 giornalisti: “Uno di loro è mio amico”, dice Polat accendendosi una sigaretta. Secondo i dati di MLSA, sono almeno 67 i membri della stampa attualmente detenuti in Turchia. Solo a Istanbul, dice Altıntaş, “ogni settimana si tengono in media 5 processi contro giornalisti, è inaccettabile”. Anche l’ultimo rapporto di Reporter Senza Frontiere ha certificato un peggioramento della situazione per i giornalisti in Turchia, crollata al 165° posto nella classifica mondiale della libertà di stampa. “Le condizioni sono in continuo deterioramento”, dice Altıntaş. “La stretta è arrivata dopo le proteste di Gezi Park, nel 2013, e si è fatta ancora più forte dopo la riforma presidenziale del 2017, che ha reso la Turchia molto simile a una monarchia. Ora la situazione è estremamente grave”.

Queste elezioni, dice Altıntaş, potrebbero rappresentare un punto di svolta: “Se Erdoğan dovesse perdere, nel breve periodo i processi contro i giornalisti e le restrizioni che ne limitano il lavoro diminuirebbero significativamente”. Tuttavia, aggiunge la co-direttrice di MLSA, anche una sconfitta del presidente uscente non risolverebbe tutti i problemi: “Non dobbiamo dimenticare che la Turchia non è mai stata una democrazia perfetta, anche prima che Erdoğan salisse al potere, ormai 20 anni fa”. È dello stesso avviso Şimşek: “Se il governo dovesse cambiare, assisteremmo a una normalizzazione anche nel settore dei media”. Ma la questione, avvisa il caporedattore di Evrensel, va oltre il risultato delle elezioni. “Serve più solidarietà tra i giornalisti”, dice abbracciando con un gesto delle mani la sala riunioni.