Viaggio nel sottobosco nazionalista della Russia
In un parcheggio nella periferia di San Pietroburgo sono in partenza furgoni carichi di aiuti umanitari. Destinazione: il Donbass. A dirigere le operazioni è German Vladimirov, nazionalista russo e attivista politico. “Se l’Ucraina si trovasse da qualche altra parte, che so io, nell’emisfero meridionale, sarebbe un conto, ma il nostro Paese non poteva permettersi di avere un vicino dotato di armi offensive”, afferma spiegando il suo totale appoggio all’”operazione militare speciale” contro l’Ucraina. Vladimirov è il fondatore del Museo del Valore Militare del Donbass, dedicato ai volontari che hanno combattuto per gli interessi della Russia nel mondo, dall’Ucraina orientale alla Siria. Un vero e proprio tempio del nazionalismo russo, il museo esibisce cimeli di guerra, fotografie dei combattenti caduti oltre alle spoglie dei nemici uccisi – le spalline del Battaglione Azov e non lontano una bandiera dello Stato Islamico.
Il movimento nazionalista russo ebbe un ruolo centrale nella rivolta che nel 2014 portò alla nascita delle repubbliche separatiste del Donbass. Con il tacito benestare del Cremlino, migliaia di cittadini russi si unirono alla lotta armata contro le forze governative di Kiev. Quando la fase calda della guerra terminò nel Febbraio 2015 con gli accordi di Minsk, la maggior parte dei volontari fece ritorno in Russia. Negli anni successivi, la crisi ucraina passò in secondo piano nell’agenda di Mosca e molti nazionalisti si sentirono traditi: Putin aveva lasciato il Donbass in un limbo. Questo fino all’annuncio dell’ “operazione militare speciale”.
Il momento tanto atteso
“Per otto anni abbiamo predetto che questo momento sarebbe arrivato prima o poi, e finalmente ci siamo”, esclama il nazionalista russo Aleksandr Ljubimov. Ljubimov è il direttore del Centro di Coordinazione per l’Aiuto alla Novorossiya, un’organizzazione che ha come missione aiutare “tutti coloro che combattono contro l’Ucraina”. Nel 2014, Ljubimov offriva supporto logistico ai combattenti volontari diretti nel Donbas. Ora la sua organizzazione si occupa di raccogliere fondi, acquistare e inviare equipaggiamento militare alle milizie filo-russe impegnate al fronte. “Noi non rappresentiamo lo Stato russo, ma la volontà della società civile”, spiega Ljubimov.
Il movimento nazionalista russo è molto variegato: ci sono i monarchisti ortodossi, nostalgici dell’Impero Russo. C’è il gruppo paramilitare di estrema destra Rusich, che sfoggia simbologia neo-nazista. Ci sono poi i nazionalbolscevichi, seguaci del defunto Eduard Limonov. E molti altri. Nonostante le diversità ideologiche, questi gruppi condividono un tratto comune: l’ostilità verso lo Stato ucraino, considerato un’aberrazione della Storia, un costrutto creato dall’Occidente in funzione anti-russa e colpevole di crimini contro la gente del Donbass. “L’esperimento che portò alla nascita di due Stati russi separati è fallito” mi spiega Ljubimov. “Noi siamo la Russia giusta. Mentre la Russia sbagliata, la cosiddetta Ucraina, deve essere annientata”.

Il rapporto con lo Stato
Nonostante il fervore patriottico, i nazionalisti faticano a guadagnarsi la fiducia delle autorità: diverse organizzazioni di estrema destra sono state messe al bando, i loro leader accusati di estremismo e arrestati. Nelle scorse settimane, ai nazionalisti è stato più volte negato il permesso di organizzare manifestazioni in sostegno alle forze armate.
“Per le autorità non c’è differenza tra noi patrioti e gli oppositori politici”, si lamenta Aleksandr Krasnogorodzev, pittore, ex-volontario combattente e membro dell’organizzazione nazionalista Unione Militare Russa. “Se usciamo a manifestare a favore dell’esercito senza autorizzazione, ci mettono dentro”.
Anche la partecipazione dei nazionalisti all’operazione speciale è strettamente regolamentata: mentre nel 2014 gli aspiranti combattenti raggiungevano l’Ucraina in maniera relativamente spontanea, ora il processo viene rigidamente controllato dall’alto. “Non si può più attraversare il confine passando tra i cespugli”, commenta Krasnogorodzev. Come osserva Pavel Nikulin, giornalista esperto dei movimenti nazionalisti, il Cremlino è sempre più intollerante a qualsiasi iniziativa proveniente dalla società civile. Questo vale per movimenti liberali come quello di Aleksey Navalny, ma anche per le forze patriottico-nazionaliste. La forza di Putin, infatti, non si fonda sulla mobilitazione delle masse. “Se coinvolgi le masse, le rendi un soggetto”, osserva Nikulin, “e poi c’è il rischio che questo soggetto ti spodesti”.

Le critiche all’”operazione speciale”
L’entusiasmo iniziale dei nazionalisti verso l’“operazione militare speciale” si è presto trasformato in scetticismo: molti di loro criticano il governo per aver preso sotto gamba il conflitto. “Gli obiettivi non sono stati spiegati chiaramente”, commenta Krasnogorodzev. “Le vaghe dichiarazioni sulla “denazificazione” e “demilitarizzazione” dell’Ucraina si prestano a diverse interpretazioni, ci vuole più concretezza”, aggiunge.
Come molti nazionalisti, Krasnogorodzev rifiuta gli eufemismi del linguaggio ufficiale: non si tratta di un'”operazione militare speciale”, ma di una “guerra esistenziale”, il cui risultato può essere solo la capitolazione dell’Ucraina e la sua più o meno totale annessione alla Russia, o la fine della Russia stessa. “La Russia non può esistere senza i suoi territori storici”, commenta Krasnogorodzev. Ma per ottenere la vittoria totale, le risorse messe in campo fino ad ora non bastano: la resistenza degli ucraini è più accanita del previsto, mentre l’offensiva russa conta su un numero relativamente limitato di militari professionisti. Secondo Krasnogorodzev, il governo dovrebbe decidersi a mobilitare la nazione. “Una mobilitazione almeno parziale è necessaria per fare in modo che le nostre truppe siano altrettanto numerose come quelle del nemico”, spiega l’ex-combattente. Lui stesso non esclude che potrebbe tornare presto in Ucraina a dare manforte ai suoi.
Krasnogorozev, come altri nazionalisti, esita a criticare pubblicamente il governo per timore di risultare anti-patriottico. Altri invece non si trattengono: il leader nazionalista Igor Girkin, uno degli architetti della rivolta armata nel Donbass, ha scritto una recente lettera a Putin. “Il Paese non accetterà, né perdonerà le mezze misure”, scrive Girkin. “Ci aspettiamo grandi cose da lei, signor Presidente. Se ce le darete, saremo pronti a seguirla anche attraverso il fuoco e l’acciaio. Ma non provate a deluderci”.