Midterm e voci da New York: “Molti si accorgono del disastro dei dem”

Midterm e voci da New York: “Molti si accorgono del disastro dei dem”

Mentre tutti aspettavano i risultati della notte elettorale, a New York il Metropolitan Republican Club ha aperto le porte della sua storica sede nel cuore dell’Upper East Side per accogliere i simpatizzanti del GOP (acronimo di Grand Old Party, ndr) per un’election night che da queste parti ha assunto fin da subito il sapore della rivincita. 

Fondato nel 1902 da sostenitori di Theodore Roosvelt per promuovere gli ideali del conservatorismo, il Club di Manhattan è considerato alla stregua di un vero e proprio tempio della destra americana: basta varcarne la soglia d’ingresso, ascoltare il caldo scricchiolio del parquet e guadarsi intorno per sentirsi catapultati in una dimensione in cui la politica non si riduce ai 240 caratteri di un tweet, ma è riflessione, passione, visione e anche tradizione.

Tra un bicchiere di vino bianco e una fetta di pizza, nel salone in cui tra due coccarde a stelle e strisce è stato allestito il maxischermo su cui proiettare la maratona elettorale di Fox News, si accavallano le voci dei presenti, che hanno commentato i risultati esultando ogni volta che in sovraimpressione appare un candidato repubblicano in vantaggio sul rivale democratico.

“Anche i newyorkesi si stanno accorgendo del disastro causato dai democratici”, dice Elizabeth, che sfoggia con orgoglio una spilla di Lee Zeldin – candidato repubblicano alla carica di governatore dello Stato di New York – e pone l’accento sul tema della sicurezza perché “la città è peggiorata tantissimo negli ultimi anni, in certi quartieri è impensabile girare da soli la sera”.

La mancanza di sicurezza è sintomatica di un equilibrio sottilissimo che si è spezzato con la crisi innescata dal Covid, i cui effetti sono stati acuiti dall’oggettiva debolezza della leadership di Joe Biden che, per compensare i suoi palesi insuccessi, dal disastroso abbandono dell’Afghanistan in poi ha alzato il livello dello scontro sia in politica interna sia sullo scenario internazionale, sforzandosi di contrastare la sua immagine di tallone d’Achille dell’Occidente, oltre che degli Stati Uniti.

Un affanno che ha spinto l’attuale inquilino della Casa Bianca a tentare di compattare l’elettorato dem attorno a temi identitari come la l’aborto e la “difesa della democrazia” dagli attacchi dell’acerrimo rivale Donald Trump e dei MAGA Republicans, i duri e puri del trumpismo (MAGA è l’acronimo del celebre slogan Make America Great Again, ndr) che Biden ha più volte definito come “minaccia estremista”.

Scelta che si è rivelata un errore, poiché da diversi sondaggi emerge che le priorità degli americani sono ben altre: tasse, inflazione, sicurezza, immigrazione e difesa del diritto a possedere armi sono voci che vengono prima di aborto e clima anche per la rilevazione effettuata da YouGov, che evidenzia la debolezza dell’Agenda Biden.

“Si stava decisamente meglio quando c’era Trump, lo dicono tutti”, racconta Vincenzo, italoamericano proprietario della pizzeria Mariella, che sta a due passi dal consolato italiano e dove ogni giorno si fermano centinaia di clienti che rappresentano un campione considerevole per percepire i desiderata della vox populi della Grande Mela, che nonostante tutto rimane a maggioranza democratica “per una questione ideologica, ma anche a causa di molti atteggiamenti sopra le righe di Trump, che se solo si fosse morso la lingua qualche volta, oggi qui sarebbe molto più popolare”.

Nel frattempo l’ex presidente si scatena e sui suoi canali si affretta a pubblicare un comunicato stampa con il quale si intesta quello che lui stesso definisce “un successo senza precedenti” sottolineando, tra le altre cose, di aver fatto 30 comizi in 17 Stati negli ultimi 18 mesi, garantendo il suo sostegno a 330 candidati repubblicani a queste elezioni Midterm, per i quali ha raccolto “quasi 350 milioni di dollari”.

Anche se non lo ammetterà mai, è del tutto evidente che Trump senta la pressione per la più che probabile candidatura del neo-rieletto governatore della Florida Ron DeSantis, che negli ultimi anni è diventato popolarissimo per aver attuato il trumpismo pur non essendo Trump, un concetto che Mike, giovane militante repubblicano, sostiene convintamente affermando che “DeSantis porta avanti le stesse battaglie, ma senza avere i problemi di Trump con fisco e giustizia, più o meno come ha fatto la vostra Giorgia Meloni con Berlusconi”.

Quando sul maxischermo appare il volto dell’ex capo stratega di Trump Steve Bannon – che il 14 novembre sarà l’ospite d’onore di una serata proprio qui al Metropolitan Republican Club – in sala è esploso un vero e proprio boato, segnale più eloquente di mille parole riguardo al grado di approvazione di cui l’ex presidente gode all’interno del suo partito. 

Consenso che è innegabilmente figlio di una campagna elettorale cominciata quando tutto il mainstream considerava l’ex presidente morto e sepolto sotto le macerie dell’assalto a Capitol Hill e condannato all’oblio dalla chiusura dei suoi profili sui social network. I 728 giorni che ci separano dalle elezioni del 2024 ci diranno se a cavalcare la riscossa repubblicana sarà lui oppure DeSantis. Nel frattempo a Biden toccherà l’ardua impresa di governare pur avendo perso la maggioranza in almeno una delle due camere.