Dove gli ebrei convivono con l’antisemitismo
Il vecchio ghetto è diventato il quartiere della movida di Budapest. I ristoranti Kosher si alternano con le luminose insegne dei locali e club più frequentati della città, le botteghe ebraiche sono affiancate da negozi che vendono panini ai ragazzi che escono dalle discoteche. Per le strade camminano fianco a fianco giovani ungheresi e nutrite famiglie di ebrei ortodossi, che si riconoscono dagli abiti scuri, dalle kippah in testa, dalle lunghe basette e dalle barbe degli uomini e dalle gonne lunghe e nere delle donne.E’ in una di questi vicolo che nacque Theodor Herzl, teorizzatore dei sionismo e fondatore del Congresso Sionista Mondiale, l’organizzazione che dopo l’Olocausto pose le basi per la fondazione dello Stato d’Israele in Palestina. E’ questo il quartiere che, durante la Seconda Guerra Mondiale, venne trasformato nel ghetto, in cui morirono migliaia di persone a causa delle uccisioni e delle pessime condizioni igienico-sanitarie dovute all’emergenza bellica. Oggi i legami tra questo quartiere e Gerusalemme sono più forti che mai.
“L’Ungheria è dove abitiamo, Israele dove abbiamo il cuore” spiega Andràs Heisler, presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche Ungheresi (MAZSIHISZ ). “Non potremmo mai vivere senza Israele, che aiuta molto noi e le nostre istituzioni locali. Siamo fieri di essere ebrei e dei nostri valori, che vogliamo preservare senza farci assimilare dagli ungheresi”.Gli uffici della MAZSIHISZ sono nel cuore dell’ex ghetto, in un palazzo che visto dall’esterno è fatiscente, ma che una volta entrati e aver superato gli accuratissimi controlli ai quali si è sottoposti è ampio, ordinato ed elegante. Da qui i dirigenti della comunità ebraica gestiscono le proprie attività. “Abbiamo una squadra di sondaggisti a nostra disposizione” continua Heisler, “che misurano l’antisemitismo tra gli ungheresi. E i risultati sono sorprendenti: perché ci dicono che non è solo la destra ad essere antisemita. Anzi.” I dati raccolti, infatti, mostrano che il 30per cento dell’elettorato sia conservatore che socialista non ami gli ebrei. A Budapest non è difficile conoscere dei votanti del partito socialista che si dichiarino apertamente antisemiti. Un sentimento, questo, trasversale e fortemente radicato in larghe fette del popolo ungherese.
“Ciò mostra che l’assimilazione è la strada sbagliata” spiega Heisler. “Noi ebrei dobbiamo promuovere la nostra identità ed i nostri valori avendo Israele come punto di riferimento”. Heisler è anche il vice presidente del Congresso Mondiale Ebraico, network internazionale che si pone in continuità con il Congresso Sionista Mondiale per promuovere gli interessi delle comunità ebraiche di tutto il mondo: i propri obiettivi principali sono la diffusione degli interessi e dei diritti di tali comunità, il rafforzamento dei propri rapporti con Israele, la trasmissione e la diffusione dell’identità ebraica nel mondo, la difesa della memoria e del ricordo dell’Olocausto; e anche l’ottenimento della restituzione o il compenso delle proprietà ebraiche perse nel tempo, tramite risarcimenti per le persecuzioni subite, negoziando con le istituzioni internazionali, i governi nazionali e le banche (soprattutto svizzere).Con i suoi 120mila esponenti quella ungherese è una delle comunità della diaspora più nutrita del mondo. E anche una delle più conservatrici e nazionaliste. Il sionismo, il cui fondatore era appunto di Budapest, nacque nell’ottocento come forma di nazionalismo ebraico che si contrapponeva a quello degli altri popoli europei. Oggi gli ebrei ungheresi non hanno intenzione di rinunciare alla propria identità, scontrandosi per questo con i forti movimenti nazionalisti ungheresi che non vedono di buon grado la loro resistenza all’assimilazione. A preoccupare la Comunità è la crescita elettorale di Jobbik, il partito di destra che conta del 24per cento dei consensi nazionali e che è il primo partito tra gli studenti ungheresi. Molti dei suoi dirigenti hanno in passato attaccato pesantemente gli ebrei e Israele, venendo accusati di antisemitismo dalla stampa e dagli osservatori internazionali.
Grande scandalo, per esempio, destarono le dichiarazioni di Márton Gyöngyösi, parlamentare che propose la schedatura di tutti gli ebrei presenti nelle istituzioni e nelle amministrazioni, in nome della difesa dell’Ungheria dall’ingerenza di “potenze imperialiste straniere come Israele”.L’avversione per gli ebrei non è dunque solo presente nel popolo, ma anche i parte delle istituzioni. Cosa che, però, non si è tradotta in aggressioni fisiche o a problemi di ordine pubblico. “Negli ultimi 10 anni abbiamo registrato solo due aggressioni antisemite” racconta Heisler, “siamo decisamente al di sotto della media europea”. I Paesi più critici in questo senso sono quelli ad alta intensità di immigrati musulmani, come la Francia e il Belgio. In Ungheria, invece, il pregiudizio anti-ebraico è qualcosa di meno appariscente ma maggiormente interiorizzato da persone di ogni estrazione sociale.“L’antisemitismo negli ungheresi ha origini antiche” spiega Peter Magyar, giornalista che scrive per l’Ansa. “Quando nell’Ottocento si diffuse il capitalismo a trarne vantaggio furono soprattutto gli ebrei, che occuparono importanti cariche pubbliche e nella stampa, a discapito della vecchia nobiltà terriera. Per questo si creò un forte sentimento di avversione verso di loro”. Questa avversione contribuì a rendere gli ungheresi il popolo che maggiormente appoggiò la Germania nazionalsocialista durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel Paese non si fermarono alcune forze partigiane anti-tedesche, che vennero al contrario accolti con benevolenza dalle milizie magiare, che si misero al loro fianco per combattere l’avanzata sovietica. E si resero protagoniste di numerose ed efferate stragi antisemite. Sotto il comunismo, poi, queste pulsioni vennero ibernato per 60 anni, per poi riemergere negli anni 90 es essere tutt’oggi presenti nell’opinione pubblica.
E cosa fa il presidente Orban contro tutto ciò? Secondo Heisler molto, ma non abbastanza. “Ha aiutato molto la nostra comunità, riconoscendo le responsabilità storiche dell’Ungheria nell’Olocausto, definendoci dei compatrioti e difendendoci da chi ci attacca pubblicamente. Ciò nonostante continua a fare cose che a noi non vanno bene, soprattutto in ambito culturale”. La rielaborazione dell’identità ungherese che il primo ministro magiaro sta portando avanti, infatti, prevede anche la rivalutazione di politici e scrittori antisemiti, in onore dei quali lo Stato erige monumenti e pubblica libri.La letteratura ungherese, infatti, è ricca di opere scritte da persone dichiaratamente nazionaliste e antisemite. E’ il caso di Joszef Nyiro e Albert Waas, i cui testi sono stati introdotti tra le letture obbligatorie nelle scuole. O anche di Cecile Tormay, scrittrice ammiratrice di Mussolini, alla quale è stata intitolata una via a Budapest. Per questo i progressisti ungheresi accusano l’esecutivo di volontaria ambiguità per ottenere consensi. La Comunità ebraica, però, non ritiene che la maggioranza sia antisemita, ma pensa che lo sia parte della stampa governativa. Il governo, però risponde sostenendo che l’esclusione di questi scrittori dalla storiografia ufficiale significherebbe l’eliminazione di una parte della propria storia nazionale. E non ha intenzione di censurarli.Secondo Massimo Congiu, fondatore dell’Osservatorio Sociale Mitteleuropeo e autore del libro ‘L’Ungheria di Orban‘ le sitituzioni intenazionali non hanno capito le origini di questo fenomeno e per questo non riescono a proporre strategie efficaci. “Quello che in Occidente non è stato capito è che l’antisemitismo ungherese è trasversale e non solo di destra o di sinistra. È radicato in una mentalità popolare che si sente ingiustamente sconfitta dalla storia. Che ritiene che l’Ungheria abbia subito gravi ingiustizie e ingiustificabili privazioni territoriali. E che per questo ha dato la colpa alle minoranze che non si lasciano assimilare e che accusano di fare riferimento a potenze straniere: in primis, dunque, gli ebrei”.Quando cala la sera nel quartiere ebraico di Budapest gli ebrei rientrano a casa. Al loro posto le strade si popolano di ragazzi provenienti da tutta la città, che passeranno tutta la notte a far festa. Fino a mattina, quando torneranno a casa. E quando riapriranno i ristoranti kosher, le botteghe e i negozi ebraici. Gestiti da una comunità che è lì da secoli. E che non ha intenzione di andarsene.