I gruppi paramilitari ungheresi

I gruppi paramilitari ungheresi

“Il problema è che se menzioni il semplice fatto di essere un bianco, spaventi le persone comuni”. Il cranio rasato e gli occhi inquisitori, Bela Ince gira lentamente il cucchiaino nel caffè, seduto in un bar di Budapest: “Non c’è alcun male in questo, perché dopotutto ogni mattina quando ti svegli e ti guardi allo specchio, sai benissimo a che razza appartieni”.

Ince, che è a capo del movimento giovanile delle 64 Contee nella regione di Pest che circonda la capitale, non nasconde il suo pensiero: “Il concetto di ‘supremazia’ implica una ‘gerarchia’, e quindi sì, sono convinto che ci sia una chiara gerarchia tra i gruppi etnici…la razza ungherese si distingue per il suo eroismo”. Il suo movimento, ufficialmente, si batte per la ricostituzione della Grande Ungheria prima dello smembramento dei territori magiari con il trattato di Trianon del 1920 e per la protezione delle minoranze ungheresi che vivono al di fuori degli attuali confini nazionali.“Le nostre attività sono molto estese, alcuni di noi lavorano nei governi locali, con Jobbik, altri nei media nazionali”, continua Ince: “Per far parte del gruppo devi essere un vero nazionalista, prestare giuramento di fedeltà e accettare antiche regole istituite nel 1945”. Non specifica quali, però, e non vuole dare i numeri dei membri che aderiscono al movimento: “È un’informazione sensibile”, spiega.Il leader delle 64 Contee di Pest indossa una maglia nera, anfibi e pantaloni mimetici grigi dalle cui tasche spunta il serramanico di un coltello e racconta che il suo gruppo è pronto all’azione: “Facciamo training ideologici, fisici e organizziamo competizioni tra i vari gruppi regionali per tenerci in allenamento”. Lo scorso anno, racconta, quando l’Ungheria era nel culmine della crisi dei rifugiati, pattugliavano le strade e organizzavano manifestazioni anti-migranti. “In special modo alla stazione ferroviaria di Keleti, a Budapest…cacciavamo i migranti da lì e chiamavamo la polizia per farli sgomberare”.

Peter Krekó, analista al think tank Political Capital Institute, è convinto che Jobbik foraggi e si appoggi politicamente a “organizzazioni satellite ed estremiste come le 64 Contee, che promuovono apertamente la violenza”, per mantenere un forte contatto con la base del suo elettorato, composto per la maggioranza da giovani dai 20 ai 45 anni.“Del resto l’unica forza politica che oggi può rappresentare i giovani ungheresi è l’estrema destra: l’unica in grado di prendere il loro linguaggio, seguire i loro trend e crearne nuovi; l’unica a presentare un’ideologia rivoluzionaria”, commenta Krekó. Secondo una ricerca approfondita del Political Capital Institute, i sostenitori di Jobbik sono anti-convenzionali, disillusi dal sistema e con attitudini anti-establishment: “L’estrema sinistra non è attraente per gli ungheresi, perché hanno vissuto 40 anni di dittatura sovietica”.Il partito governativo Fidesz in questo è in grande svantaggio rispetto a Jobbik: non attrae giovani e non si adatta. Nonostante questo il premier Viktor Orban ha guadagnato un 10% fisso nei sondaggi nel giro di un anno, soprattutto grazie alla sua ‘abilità’ nello sfruttare politicamente la crisi dei rifugiati e a una retorica xenofoba e identitaria che ha strappato numeri dal bacino elettorale di Jobbik. Il risultato è che ora Fidesz, da partito centrista qual era, ha volutamente adottato un programma politico di estrema destra, “diventando come il Front National francese o l’FPO austriaco”, commenta Krekó del Political Capital Institute.Per approfondire: Cos’è il partito governativo Fidesz“Jobbik ha risposto prendendo atteggiamenti cosmetici più moderati, perché punta a vincere le legislative del 2018, ma in realtà è ancora pieno di negazionisti dell’Olocausto, di anti-semiti e persone che appartengono a movimenti per la supremazia della razza bianca”, precisa Péter Krekó. Ad esempio, cita l’analista: “Non sentiamo più parlare della Guardia Ungherese – Magyar Garda (MG), l’ala paramilitare di Jobbik che li ha resi così famosi e popolari in prima battuta”.Mente cammina per i corridoi del Parlamento, Gyöngyösi Márton, deputato di Jobbik, non si rassegna al fatto che MG sia stata smantellata e dichiarata illegale – “con Magyar Garda eravamo sulla strada giusta!” – e ripromette di aggiustare il tiro: questa volta facendo in modo di far finanziare una simile ala paramilitare direttamente da fondi pubblici.“Stiamo studiando una nuova proposta di legge per consentire ai giovani e alle loro organizzazioni di ricevere veri training militari, in modo da sopperire al controllo delle frontiere”, spiega invece Gyöngyösi Márton: “Ispirandoci all’esempio polacco, stiamo considerando di riunirli poi in un solo corpo paramilitare che risponda direttamente al Ministero della Difesa”.

È convinto che il suo partito ce la farà: “Fidesz ha copiato il nostro programma elettorale al 99,9%, abbiamo una forte capacità di pressione sul governo in questo momento”.Non è assolutamente d’accordo il portavoce del governo Zoltán Kovács: “La polizia e l’esercito sono corpi centralizzati e sono sufficienti all’Ungheria per mantenere l’ordine”, spiega: “Gruppi paramilitari sono assolutamente illegali e politicamente inaccettabili, perché istituirli significherebbe che l’Ungheria non è più un paese sovrano”. “Il governo però chiude spesso un occhio sui gruppi paramilitari esistenti”, sostiene Krekó.Nel piccolo villaggio di Felsőgöd della regione di Pest, alcuni ex-paramilitari nostalgici della MG si stanno riorganizzando su internet per raggruppare il più gente possibile e organizzare azioni “concrete” anti-migranti.Dal giardino di casa sua Isvan Vosch, ex militare ultrasessantenne ed ex-membro della MG, racconta di aver fondato la Nuova Guardia Ungherese: “Ogni tanto la polizia ci dà qualche noia, per questo finora ci siamo organizzati solo tramite internet, soprattutto Facebook”, spiega nella sua tenuta da MG.La Nuova Guardia, con le dovute precauzioni di segretezza, sta preparando un training di auto-difesa e di utilizzo delle armi per chiunque vicino al movimento fosse interessato ad imparare. “È giunto il tempo di uscire allo scoperto”, conclude Vosch, “e di muovere le nostre azioni da internet alla realtà”.

Ha collaborato Eleonora Vio