Il vescovo di Tripoli: “La mia paura più grande è il fondamentalismo”

Il vescovo di Tripoli: “La mia paura più grande è il fondamentalismo”

“Oggi francamente quel che mi fa più paura è il fondamentalismo. La Libia non è mai stata integralista, ma purtroppo il fanatismo continua a prendere piede. Dietro a questa continua espansione c’è la propaganda e la capacità di questa gente di trascinare l’Islam verso l’estremismo. Dobbiamo essere molto rispettosi e muoverci con molta cautela. In Cirenaica siamo stati costretti a far partire le suore. È stata una grave perdita, ma ormai era impossibile fronteggiare quell’ondata fanatismo”. La voce di Giovanni Innocenzo Martinelli riecheggia decisa e amareggiata nella penombra della sacrestia di san Francesco di Tripoli, scuote in un sussulto di disappunto quel corpo fragile appoggiato ad una stampella.Giovanni Martinelli è nato in Libia 72 anni fa. C’è tornato da sacerdote nel 1971 immediatamente dopo la “Rivoluzione Verde” del Colonnello Muhammar Gheddafi. In quegli anni difficili, prima della nomina a vescovo nel 1985, è stato testimone della cacciata degli italiani ed ha vissuto il sequestro della Cattedrale di Tripoli trasformata in moschea.

Ma quello a cui assiste ora a tre anni dalla Rivoluzione del 2011 non lo entusiasma molto. “La caduta del vecchio regime – spiega in questa intervista esclusiva a “Il Giornale” – è stato un passo avanti perché Gheddafi era un elemento negativo, ma la confusione che regna oggi non mi sembra il preludio di una soluzione positiva. Bisogna uscire dall’inerzia. C’è troppa fiacchezza nell’affrontare i problemi e individuarne le soluzioni”.

Siamo davanti ad una campagna di persecuzione contro i cristiani?

“Grazie a Dio per il momento non c’è persecuzione, ma dobbiamo essere molto rispettosi e prudenti. La persecuzione che oggi non c’è, ma potrebbe esserci se facessimo proselitismo. L’accusa di proselitismo potrebbe rivelarsi un pretesto assai potente per metterci sotto accusa. Per questo i nostri sacerdoti sono assai prudenti, si muovono con molta precauzione e cercano di non attirare l’odio dei musulmani”

Teme gesti di odio concreti?

“Sia adesso sia al tempo di Gheddafi non ho mai avuto problemi. Colpirci sarebbe facile. Basterebbe una bomba contro la chiesa quando è piena….ma non l’hanno mai fatto. Da questo punto di vista anche l’identità della nostra comunità, composta quasi esclusivamente da cattolici, filippini e africani, aiuta a non attirare l’odio dei fondamentalisti.Le recenti profanazioni del cimitero dove riposano i resti dei nostri connazionali vengono attribuite a nostalgici gheddafiani”

Vogliono alimentare un clima anti italiano?

“Non penso esistano milizie gheddafiane. E se ci sono non hanno certo un grande potenziale politico. Inneggiare a Gheddafi è un modo per premere sul governo e spingerlo a fare qualcosa. Non penso neanche che l’attacco al cimitero sia da interpretare come un gesto di ostilità verso l’Italia. Secondo me c’è stata piuttosto una spinta fondamentalista. Vogliono farsi notare, venir identificati come quelli che si battono per la libertà. Ma in Libia i morti sono sempre stati rispettati. Questo è sicuramente è un passo all’indietro, molto negativo per quanti vogliono una Libia libera”

I resti degli italiani devono rientrare in Italia?

“Come le dicevo in Libia hanno sempre rispettato i morti. Oggi purtroppo quel rispetto non c’è più e dunque quei morti non hanno più pace. Per questo devono esser portati via. Devono poter avere un ricordo diverso per poter continuare a riposare in pace”

Sono passati tre anni dalla rivoluzione. A conti fatti si sta meglio oggi o si stava meglio prima?

“Prima si stava bene perché tutti lavoravano e avevano la possibilità di procurarsi quello di cui avevano bisogno. Oggi tutto è incerto. Sul piano teorico oggi si sta meglio perché sono garantiti i diritti. Prima però ci si sentiva difesi e protetti. Questa protezione oggi non esiste più. La Libia può dire di essere libera sulla carta, ma una libertà vera e concreta deve ancora conquistarsela”