Identitari contro ecologisti. Così le giovani generazioni sognano l’Europa del domani

Identitari contro ecologisti. Così le giovani generazioni sognano l’Europa del domani

La sensazione che si ha parlando con loro è che più o meno tutti sognino un’Europa differente. Alcuni desiderano che l’Unione europea sia più “potente” e più “politica”, mentre per altri Bruxelles e Strasburgo dovrebbero prendere sul serio l’ambientalismo e le istanze sociali. I giovani di Francia si preparano alle elezioni presidenziali del 2022 guardando in direzioni opposte tra loro. L’Europa resta la costante dei loro ragionamenti. Un fenomeno nuovo è la Generation “Z”, gli identitari raccolti attorno alla candidatura di Eric Zemmour. Un’altra novità, per quanto non recentissima, è la militanza ecologista tagliata sul socialismo reale. Quella che sembra estendersi dal punto di vista quantitativo.

I seguaci di Zemmour si riconoscono con facilità. Molti hanno abbandonato Marine Le Pen dopo anni di fedeltà per il troppo laicismo. Non è un caso che il movimento giovanile che ha deciso di sposare la causa del polemista de Le Figaro sia composto per lo più da cattolici. I giovani elettori di sinistra con cui parliamo, invece, pensano tutto il meglio possibile della candidatura di Jean Lùc Mélenchon: il candidato della France Insoumise raccoglierà parecchi consensi giovanili al primo turno del dieci aprile, proponendo, peraltro durante la guerra scatenata in Ucraina da Vladimir Putin, anche una differente collocazione geopolitica rispetto a quella attuale. Poi, però, le cose cambieranno: “Emmanuel Macron sarà la nostra scelta per il secondo turno”, ci rivelano in tanti.

In Francia funziona così: la prima espressione elettorale delle elezioni presidenziali tende ad essere idealistica. Subito dopo si passa al pragmatismo. Anche Yannik Jadot, il candidato ecologista per l’Eliseo, raccoglie simpatie tra i ragazzi. Ma i sondaggi, un po’ come vale anche per Zemmour, non ritengono possibile che Jadot vada oltre un’affermazione di rilievo. Marine Le Pen e Valerie Pécresse sembrano raccogliere meno successo tra la gioventù d’Oltralpe. Les Republicains hanno un elettorato sedimentato negli anni ma sembrano essersi fermati ad uno stantio 10%. I lepenisti, invece, per la prima volta nella loro storia, devono vedersela con un’alternativa considerata credibile alla loro destra.

La “Generation Z” e la banlieue di Nizza

“Sono una studentessa di Giurisprudenza, e voterò per Zemmour perché è il solo che si preoccupa realmente della sorte della Francia – ci dire Romy, una delle prime universitarie che incontriamo tra coloro che simpatizzano per l’intellettuale francese – . La Francia sta per perdere la faccia per l’arrivo in massa di immigrati, di musulmani radicali che attaccano le nostre libertà e le nostre tradizioni giudaico-cristiane. I delinquenti sulla nostra terra non vengono puniti – aggiunge – e vengono rilasciati anche se hanno ucciso nel nome di Allah. Tutto questo è inammissibile”, chiosa. La propaganda sulla “scristianizzazione” del giornalista francese sta persuadendo i cattolici di tutte le fasce d’età, in specie tra i gruppi considerati “tradizionalisti”.

Alcuni “perché ” di chi preferisce Zemmour li incontriamo a Henri Sappia, una delle strade principali di una banlieue di Nizza. Non è L’Ariane, la banlieue delle radicalizzazioni fondamentaliste, ma resta periferia. La città della Costa Azzurra è quella dalla quale Marine Le Pen, riunendo tutti i sovranisti del Vecchio continente, ha lanciato la sua sfida all’Europa nel 2018. Poi, nel 2020, l’attentato alla Basilica di NotreDame de l’Assomption: l’assalto del fondamentalista proveniente da una periferia che ha tagliato tre teste all’interno di uno dei luoghi di culto più rappresentativi dell’intera nazione. Un ragazzo italo-francese ci offre in fretta e furia un passaggio al ritorno da Henri Sappia. Dice che siamo stati avventati ad avventurarci sino a quel punto della città. Che non capisce come ci siamo finiti. “Voterò per Zemmour. Sono cattolico e non ne posso più di tutta questa violenza. C’è bisogno di qualcuno che dica basta”. Non facciamo neppure in tempo a chiedergli il nome: ha troppa fretta di scaricarci in un luogo considerato sicuro.

D’altro canto ci aveva avvisato anche il tassista dell’andata: “Se potete cambiare zona, fatelo. Se dovete restare qui, state attenti al telefono ed al portafoglio. Il B&B che mi avete chiesto è dietro quella strada (ma non ci accompagna, ndr)”. Ce lo ripete: “Secondo me dovreste cambiare quartiere. Questo non è un posto sicuro”. Svoltiamo l’angolo, incontriamo un gruppo di adolescenti che somiglia molto ad una gang, e ci raccoglie l’italo-francese di prima. Questa è la periferia da queste parti.

La gioventù parigina

A Parigi, com’è noto, la situazione sociale è diversa, in specie tra la gioventù universitaria. Julien, che opera sui big data, è sicuro della sua preferenza: “Al primo turno voterò Jadot, al secondo Macron”. Vale per lui come per molti altri della sua età. “Sono un data scientist e sto lavorando alla creazione di giochi da tavolo per un’azienda”, ci racconta. Le ragioni del suo comportamento elettorale sono le seguenti: “Per me, considerata l’attuale situazione ecologica globale, dobbiamo fare in modo che alcune cose accadano e penso che un candidato ambientalista abbia maggiori probabilità di apportare grandi cambiamenti. Anche se il suo programma non è perfetto, e ignora diversi grandi argomenti. Poi voterò Macron al secondo turno, Jadot del resto non ci sarà.”, esclama con certezza. Sul presidente uscente: “Trattandosi del suo secondo mandato, Macron potrà fare di più senza preoccuparsi del suo indice di popolarità, poiché in ogni caso caso, un presidente francese non può servire per più di due mandati”. Le preoccupazioni divergono a seconda dell’isolato in cui si risiede, non solo della città di appartenenza. 

Ho 22 anni, sono uno studentessa di un master in Affari europei alla Sorbona e domenica voterò per Jean Luc Mélenchon”, ci racconta Margaux. “Il suo programma mi parla, è completo, quantificato e copre molte domande. Ha proposte reali per la gente, per i precari, per i giovani. Le sue misure sociali riguardanti le donne (protezione mestruale, parità di retribuzione, bilancio per la lotta alla violenza sulle donne, aborto) mi colpiscono in modo particolare, così come la lotta al razzismo e all’islamofobia”, osserva. Ma anche sulla gestione dei fenomeni migratori la ragazzi si dice convinta: “Mélenchon propone una politica migratoria che sembra efficace e coerente. Infine, e soprattutto, essendo di sinistra nello spettro politico, è per me il candidato della sinistra per queste elezioni presidenziali. In lui ripongo tutte le mie speranze perché è, sempre secondo me, il candidato che propone più cambiamenti e che permetterebbe di passare da una politica di destra (con la presidenza Macron) a una politica di sinistra, più socialista, più vicino al popolo”. 

Perché i giovani non votano (e il problema degli appartamenti)

L’astensione è telefonata dalle cronache internazionali: sarà dirompente. E in molti, anche tra i politologi, pongono domande sullo stato di salute della democrazia rappresentativa transalpina. Ma come mai, tra coloro che non andranno a votare, è possibile annoverare anche molti studenti universitari? Persino a Parigi si tende a soffrire per eisigenze elementari: “Guardi – ci racconta Chiara, una italiana che frequenta Studi europei nella capitale transalpina – che qui cercare un appartamento equivale a preparare un vero e proprio dossier, compreso di salario percepito!”. A tanti proprietari di casa, in Francia, non basta la provenienza o il cursus honorum: per affittare una stanza o un appartamento viene preteso qualcosa in più. “Uno studente che arriva dalla periferia non può permettersi 800 euro di affitto più tre caparre che corrispondono a tre mensilità. I prezzi sono assurdi. Non ci sentiamo rappresentati da nessuno. Io pago 600 euro per una stanza e mi è andata bene: sono abbastanza centrale. Per avere un prezzo decente, bisogna dimorare in una banlieue”. Gli appartamenti sono minimal o comunque molto limitati per vivibilità. E l’astensione, che è un po’ la reazione, può essere scatenata da insofferenza sociale: “I programmi sono molti e apparentemente sono tutti validi ma i ragazzi francesi non si sentono rappresentati. Tanti non andranno a votare per lanciare un segnale economico-sociale: non è questo il modo di aprire gli spazi alle nuove generazioni”.

Anche il professor Jean Philippe Derosier, che è ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Lille e che abbiamo sentito soprattutto per comprendere la natura post-ideologica della svolta di Macron, conferma: “Penso che il partito più esteso tra i giovani sia quello dell’astensione. A Jean Luch Mélenchon – analizza il professore – non riuscirà il travaso di voti. Consideri che cinque anni fa, per paradosso e rispetto ai sondaggi, è sembrato in grado di assicurarsene di più”.

I giovani che vogliono Macron

Hugo studia alla Sorbonne e la fa breve: “Voto Emmanuel Macron e non ho dubbi in merito”. Perché? “Sostengo il suo progetto di riforma delle pensioni, perché penso che in Francia viviamo ben al di sopra delle nostre possibilità, allo stato attuale delle cose”. Se i gilet gialli hanno contestato la riforma pensionistica, una parte della gioventù francese ritiene che l’innalzamento dell’età pensionabile sia la conditio sine qua non. Altrimenti – dice Hugo – come faremo noi a trovare lavoro? Le motivazioni non si limitano all’aspetto pensionistico: “Sostengo inoltre la strategia di Macron per un’Europa politicamente più forte, oltre a misure specifiche come la tassa sul carbone, la politica delle frontiere e la tassazione dei giganti digitali. Alla fine, nonostante le crisi che il governo di Macron ha dovuto affrontare (Covid-19, guerra in Ucraina), il bilancio economico francese non è poi così male. La Francia è il Paese europeo che attrae il maggior numero di investimenti esteri in termini di numero di progetti”, ricorda.