Gli Iskander russi in Armenia
Da Yerevan – Il 21 settembre la capitale Yerevan, invasa di una folla festante e bandiere, ha celebrato 25 anni di indipendenza dall’URSS con una serie di eventi. Lo ha fatto fra musiche e danze, armi e soldati, fuochi artificiali e fontane colorate, in un allegro caleidoscopio che ha animato per l’intera giornata le vie e le piazze del centro. Nonostante il clima sereno, a dominare la scena è stata la parata militare del mattino, a cui hanno preso parte le maggiori autorità dello Stato e della Chiesa. Lo spettro onnipresente del conflitto con l’Azerbaigian – nato per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh – non scompare neanche in questo giorno di festa.
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La piccola Armenia ha compiuto 25 anni, dicevamo. Un quarto di secolo di guerra ininterrotta, povertà e sangue, ma anche un tassello importante di una storia millenaria e una scommessa per il futuro. Prima nazione a convertirsi al cristianesimo all’alba del IV secolo, l’Armenia è ancor oggi uno dei Paesi più religiosi al mondo quanto al numero dei fedeli. Al contempo – come riportato da uno studio recente – è fra le repubbliche dell’ex-URSS quella dove la nostalgia dell’epoca sovietica è più alta. Contraddizioni soltanto apparenti in un Paese insieme isolato e aperto, tecnologicamente avanzato ma povero, antico ma giovane e dinamico. Un posto unico al mondo, situato alle pendici del Caucaso, da sempre crocevia di popoli, culture e religioni che i geografi arabi del medioevo chiamavano – non a caso – la “Montagna delle lingue”.
I soldati hanno marciato a centinaia insieme a carri armati, missili, droni e ogni tipo di armamenti per la centrale piazza della Repubblica (dove un tempo si trovava una statua dedicata a Lenin) e le vie circostanti. Impossibile dimenticare che l’Armenia, questa nazione sopravvissuta a tante invasioni e un Genocidio – quello compiuto dai turchi ottomani nel 1915 – è ancora protagonista di una guerra dimenticata. A contrapporsi all’Armenia è ancora una volta un Paese di lingua e cultura turca, l’Azerbaigian, a maggioranza musulmana, anche se perlopiù laico. Gli spettri del passato, da queste parti, si presentano in una veste insieme antica e nuova.
Un gran parlare si è fatto in questi giorni a Yerevan dei nuovi armamenti esibiti nella parata, e in particolare del sistema missilistico Iskander di produzione russa, vero protagonista della giornata. Ma a colpire lo spettatore – fra marce di soldati, caccia che sfrecciano in cielo, carri armati in abbondanza e bimbi che sventolano il tricolore armeno – è soprattutto l’accoglienza tiepida riservata dai cittadini alle autorità, e al presidente Sargsyan in testa. La corruzione e i continui abusi del potere stritolano una nazione aperta, avanzata e assolutamente europea per livello di cultura e intraprendenza. La popolazione è visibilmente stanca della politica e dei suoi troppi vizi. Il resto lo fa il blocco ultradecennale dei confini imposto da Turchia e Azerbaigian – il nemico antico e quello nuovo – che ha determinato la nascita di un’economia basata su monopoli, e retta da pochissime famiglie, gli oligarchi.
Ma anche questo non basta a piegare questa gente, avvezza da secoli a ogni genere di abusi, invasioni e persecuzioni. Persiani, romani, mongoli, turchi e russi – fra gli altri – hanno a più riprese nel corso della storia calpestato questa terra disseminata di croci, saccheggiando, uccidendo, sterminando. Ponte naturale fra Oriente e Occidente, l’Armenia è per sua definizione terra di passaggio e di guerra. Ma gli armeni nonostante tutto sono ancora qui e resistono, fieri della propria storia e cultura. Questa gente è dura, inscalfibile come le pietre in cui è scolpito il suo paesaggio.
Aveva colto bene questo aspetto lo scrittore armeno-americano William Saroyan, in un brano che gli armeni – soprattutto i più nazionalisti – amano ripetere: “Avanti, distruggete l’Armenia. Vediamo se ci riuscirete. Mandateli nel deserto senza pane o acqua. Distruggete le loro case e chiese. Poi vedrete se non rideranno, canteranno, e pregheranno ancora. Perché quando due o tre di loro si incontrano da qualche parte nel mondo, vedrete se non creeranno una nuova Armenia”.