Così Chisinau è diventata la capitale europea delle spie russe
Il Servizio di intelligence estera russo, noto come SVR, è una delle agenzie di spionaggio nata dalle ceneri del KGB. Nonostante il cambio di nome, tuttavia, la sua missione rimane la stessa, vale a dire raccogliere informazioni segrete da obiettivi esterni alla Federazione Russa e consegnarle al presidente. Da quando al Cremlino è iniziata l’epopea di Vladimir Putin, uno che di spionaggio se ne intende parecchio, il suo quartier generale dell’intelligence russa, a Yasenevo, ha triplicato la sua cubatura. Segno evidente che con la dissoluzione dell’Unione sovietica le spie russe non sono andate in pensione, anzi, hanno dovuto rimodulare il loro modo di lavorare in base ai nuovi contesti sociali e culturali nati negli anni ’90 specie nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia.
Non è un gran segreto, ad esempio, che la Russia gestisca un centro di intelligence regionale a Sofia, in Bulgaria, fin dall’epoca sovietica. Il “Balkans Centre” (o Centro B) era, e per un certo periodo di tempo è anche rimasto, il centro più importante da cui veniva diretta la rete di spie sovietiche in tutta la penisola balcanica.
Col passare degli anni e con l’espansione della NATO verso est, però, il centro nevralgico del coordinamento degli agenti russi è diventato quello di Chisinau, la capitale della Moldova. O meglio, quelli di Chisinau.
Nei vari punti sensibili della città utilizzati dal Centro B (ville, uffici, appartamenti utilizzati con la copertura da affittacamere, filiali locali a Tiraspol, in Transnistria etc.), dall’ala nord del centro di Yasenevo (quella deputata ai dossier dell’est Europa) sono stati dislocati sempre più agenti, approfittando della posizione strategica che la Moldavia ha acquisito negli ultimi 20 anni: confine esterno dell’Unione Europea, Paese a ridosso del fronte orientale della NATO, spina nel fianco dell’Ucraina occidentale.
Fino ai primi anni Duemila la missione principale del Centro B di Chisinau era quella di creare un clima politico e informativo ostile all’adesione della Romania alla NATO, ma pure quella di monitorare la situazione politica ed economica nella Repubblica di Moldova in ottica di possibili tentativi di regime change, principalmente ai danni di Vladimir Voronin e il suo entourage. Da quando Voronin divenne Presidente nel 2001, infatti, le sue posizioni ondivaghe sulle aperture nei confronti dell’Europa e più in generale i suoi processi di riforme strutturali del Paese offrirono molte occasioni alle spie russe per veicolare i malcontenti della popolazione. Non solo nell’aprile 2002, quando alcune manifestazioni antigovernative rischiarono di sfociare nel sangue, ma pure nel 2004, quando rinnega gli accordi proposti dalla Russia per federare la Transnistria e decide di bollare i governanti della regione separatista filorussa come “gruppo criminale transnazionale”, ordinando un blocco economico e chiudendo le scuole di lingua moldava al di là del Dnestr.
In quegli stessi anni, però, la presenza massiccia di apparati di spionaggio in Moldavia attira l’attenzione di un attore internazionale che ha via via puntellato la sua presenza politica, militare e di intelligence nella vicina Romania: gli Stati Uniti. Solo nel 2002-2003, il Centro B di Yasenevo segnalò a Chisinau di aver rilevato 40 casi in cui l’ambasciata degli USA a Mosca aveva rilasciato passaporti di viaggio a cittadini americani in visita “sospetta” in Moldavia.
Sono gli anni, è bene ricordarlo, della rivoluzione arancione in Ucraina, nata all’indomani delle elezioni presidenziali del 21 novembre 2004 e volta a contestare la vittoria del filorusso Viktor Janukovyč. Lo sfidante, Viktor Juščenko contestò i risultati, denunciando brogli elettorali, ed esortò le piazze a mobilitarsi per chiedere la ripetizione delle elezioni. Da quel momento, le intelligence di Russia e Stati Uniti non smisero più di confrontarsi circa i rispettivi progetti di inserimento all’interno delle dinamiche politiche dell’Ucraina.
Circa un decennio dopo l’equilibrio di forza in Moldova addirittura si ribalta, con il capo delle spie moldave che nel 2013 lancia un allarme: la sede dell’agenzia, risalente all’epoca sovietica, era spiata da “agenti stranieri” (la CIA) e chiese ai legislatori del Paese di trovare al Centro B un nuovo edificio.
L’anno dopo, grazie alle azioni delle intelligence occidentali, una mega inchiesta di Novaya Gazeta, The Guardian e Sueddeutsche Zeitung denuncia gli strani movimenti finanziari tra i dipendenti del Servizio Federale di Sicurezza russo, i dirigenti bancari di Mosca e i giudici e gli ufficiali giudiziari moldavi.
Circa 20 miliardi di euro provenienti dalla Russia erano stati ripuliti e riciclati per poi raggiungere i conti di oltre 5.000 aziende sparse in 96 Paesi del mondo. La mente di questo progetto di riciclaggio su vasta scala, Alexandr Grigoriev, il direttore di due delle banche coinvolte, aveva come soci un generale del FSB Iuri Ansimov e il cugino del leader del Cremlino, Igor Putin.
Altri casi eclatanti esplosi in tempi più recenti, nel periodo post-rivoluzione di Maidan, furono l’espulsione nel 2017 di 5 diplomatici russi dalla Moldavia poiché sospettate di essere spie che stavano reclutando combattenti per l’insurrezione sostenuta da Mosca in Ucraina.
I diplomatici erano ufficiali sotto copertura di un’altra agenzia di intelligence militare russa, il GRU, e stavano operando nel reclutamento non solo in Transnistria ma anche in Gagauzia, una regione autonoma del sud della Moldavia che ospita una popolazione di etnia turca ma filorussa ed eurocritica.
Due anni fa, invece, ha fatto la sua comparsa nella scena della lotta tra spie l’Unità 29155, che tra i primi tentativi di destabilizzazione di Paesi dell’Est Europa scelse proprio la Moldavia, in occasione delle elezioni che portarono quell’anno alla vittoria di Maia Sandu contro il filorusso Igor Dodon. Poco prima, l’Unità 29155 venne accusata dall’avvelenamento di un trafficante di armi in Bulgaria e di un colpo di stato sventato in Montenegro. Sebbene gli 007 occidentali abbiano tracciato i contorni dell’Unità 29155 solo negli ultimi due o tre anni, il gruppo è già attivo da almeno un decennio.
Procedendo a ritroso, le agenzie di intelligence occidentali hanno persino individuato gli agenti dell’unità 29155 durante le manifestazioni per l’indipendenza della Catalogna del 2017 e l’hanno abbinati al tentativo di assassinio dell’ex spia russa Sergej Skripal e di sua figlia, nel 2018.
Con l’inizio della guerra in Ucraina, in Moldavia è tornata prepotentemente in auge la proposta di aderire all’Unione europea attraverso un iter speciale ed accelerato, un’ipotesi che da Bruxelles hanno per ora congelato per non inasprire il clima intorno ai Paesi con territorialità contese. Ma è chiaro che il Cremlino non intende perdere la sua influenza né in Moldavia meridionale né tantomeno in Transnistria. La piccola Repubblica della Bessarabia sarà destinata ad essere ancora un terreno di scontro politico e diplomatico tra Occidente e Russia. Con le spie pronte ad operare in prima linea.