Kosovo: alta tensione
Le due anime di un Paese a metà

Kosovo: alta tensione

Il Kosovo è al centro di un grande scacchiere internazionale. Le rivendicazioni della Serbia, infatti, trovano sponda anche nel gioco di Cina e Russia, anche se per motivi diversi. Di fronte ai grandi scenari geopolitici, però, uno dei punti più caldi rimane una cittadina di 70mila abitanti nella parte settentrionale del Paese: Kosovska Mitrovica, divisa tra una minoranza serba e la maggioranza albanese. Le due parti sono divise dal fiume Ibar e il ponte che le unisce è presidiato tutto il giorno dalle forze Nato, in particolare dai carabinieri italiani, tra i pochi a essere accettati da entrambe le fazioni.

Girando per la parte albanese, a maggioranza islamica, è forte l’impronta europea e internazionale. Passeggiando per la via dello shopping si riconoscono marchi noti, a pochi metri dal ponte c’è un centro commerciale, si paga in euro. Oltre il ponte lo scenario cambia: pochi i simboli occidentali, non mancano invece le bandiere serbe e, sui muri, la Zeta simbolo dell’invasione russa in Ucraina.

In realtà, le due metà non sono del tutto divise: un cimitero albanese sorge nel lato serbo. Ancora, nella parte albanese, a poche centinaia di metri dalla moschea più importante della città, troviamo una chiesa ortodossa, assaltata nel 2004 durante quello che i serbi considerano un “pogrom” ai loro danni. Il bilancio dell’epoca, in realtà, parla di 29 chiese o monasteri ortodossi devastati, ma anche di perdite da entrambe le parti, con 11 albanesi e otto serbi uccisi, oltre a 900 feriti. L’8 gennaio 2023, il giorno dopo il Natale ortodosso, circa duecento persone si sono radunate a nord della città sotto la sede del Chc, il partito del presidente Aleksandar Vučić, per protestare contro l’abbandono della minoranza da parte di Belgrado e le misure del premier kosovaro Albin Kurti.

Venendo dalla parte albanese, nel passaggio sul ponte incontriamo la polizia kosovara: “Di là c’è una manifestazione, non possiamo garantire la vostra incolumità, per cui sono affari vostri se superate il fiume”. A manifestare ci sono anche gli attivisti del Movimento per la difesa del Kosovo e Metochia, uno dei gruppi della minoranza più attivi qui a livello politico. “Vogliamo che Vučić congeli il negoziato con il Kosovo finché la Rosu (l’unità speciale della polizia kosovara, Ndr) non ritirerà i propri agenti dal nord del Kosovo”, ha dichiarato uno dei loro leader, Nebojsa Jović, ai nostri microfoni dopo il suo comizio, aggiungendo: “Li vogliamo fuori perché non ci sono ragioni giuridiche che spieghino la loro presenza qui. E chiediamo anche la liberazione di quanto sono stati imprigionati”.

Negli ultimi mesi sono esplose le tensioni tra i serbi della zona e il governo di Pristina, specialmente dopo l’annuncio del premier kosovaro Albin Kurti di una stretta sul riconoscimento delle targhe serbe nel Paese. Ad aggravare ulteriormente la situazione, l’arresto di un poliziotto serbo e le dimissioni in blocco dei rappresentanti istituzionali della minoranza, con il rischio di paralizzare la macchina burocratica, basata sul sistema delle quote. Il simbolo di queste proteste sono stati i blocchi stradali in tutto il nord del Paese. Verso la fine di dicembre, la situazione è tornata alla calma, ma la crisi è tutt’altro che superata. Nel frattempo, le auto serbe circolano a Kosovska Mitrovica coprendo ogni riferimento alla madrepatria con delle fascette bianche sulle targhe.

Venuti meno i riferimenti politici interni, prendono piede come interlocutori anche politici la Chiesa ortodossa e la Russia. Tra i serbi di Kosovska Mitrovica è forte la critica nei confronti dell’Occidente, e la ferita inferta dai bombardamenti Nato del 1999 è ancora aperta.

Il tema dell’influenza russa (favorita anche dalla comune fede ortodossa) non si limita ovviamente ai serbi di Kosovska Mitrovica, ma arriva fino a Belgrado. Nella capitale serba sono recentemente terminati i lavori della chiesa di San Sava, la più grande chiesa ortodossa nei Balcani, in costruzione dal 1935. Putin, grande finanziatore dell’opera, nel 2019 aveva simbolicamente posto una delle ultime tessere dei mosaici della chiesa. Le raffigurazioni interne sono un trattato di propaganda della Serbia odierna. Il Kosovo è onnipresente con i suoi monasteri raffigurati sulle mura della cripta.

Non mancano poi i riferimenti alla battaglia di Kosovo Polje del 1389: non esiste serbo che non conosca gli eventi della Piana dei Merli, quando i cristiani guidati dal Knez (principe) Lazar si scontrarono con gli ottomani (islamici) del sultano Murād I. Morirono entrambi i condottieri: la tomba di Lazar, santo per la Chiesa ortodossa, è posta nella cripta e nelle bancarelle di Belgrado ancor oggi si vendono le magliette con la sua immagine. Una enorme statua di Lazar è stata inoltre costruita anche nella metà serba di Kosovska Mitrovica. Il condottiero-santo guarda in direzione della parte albanese.

Negli ultimi anni, però, si sono intensificati anche i rapporti sull’asse Belgrado-Pechino: secondo alcune stime, sono oltre otto miliardi i prestiti arrivati dalla Cina per la ricostruzione delle infrastrutture serbe, con il Dragone che ha investito anche sulle miniere del Paese (con danni enormi sotto il profilo ambientale). A consacrare questa influenza, un enorme centro culturale cinese a Novi Beograd al posto dell’ambasciata distrutta durante il bombardamento Nato del 1999. La Cina ha poi tutto l’interesse a supportare la causa di ri-annessione del Kosovo, auto dichiaratosi indipendente nel 2008, rafforzando così anche le proprie posizioni verso il separatismo di Taiwan. Pechino approfitta poi degli spazi lasciati da Mosca, attualmente impegnata su un altro e ben più gravoso fronte, quello ucraino.