Testo e foto di

Gagauzia
Un enigma geopolitico
Un enigma geopolitico
Gagauzia, un enigma geopolitico
“Tenetevi forte, stiamo per entrare. Cercate di non emozionarvi troppo”.
Il nostro autista Oleg non nasconde un certo sarcasmo mentre indica l’ultimo promontorio stradale da percorrere prima di incontrare la stele che segnala l’ingresso in Gagauzia.
Siamo in viaggio da circa un’ora quando ci manifesta per la prima volta le sue perplessità su questa piccola regione turcofona, situata all’interno dei confini geografici della Repubblica di Moldavia.
A scanso di scivolose incomprensioni precisa però subito che, come gran parte dei suoi connazionali, non prova alcun risentimento squisitamente etnico per il popolo gagauzo, ma solo una certa diffidenza storica.
“Non bisogna dimenticare che hanno richiesto loro l’autonomia dalla Moldavia. Non è stata una nostra scelta. Siamo diversi dal punto di vista culturale e linguistico, è innegabile. Ma forse questo dà più fastidio a loro che a noi”, precisa.
Tutto vero in un certo senso. Ma bisogna andare a ritroso nel passato più recente per capirne a fondo le motivazioni.
Sono i confusi anni a cavallo tra la Perestrojka e il crollo dell’Urss, quelli in cui l’autodeterminazione gagauza si concretizza, nel tentativo di distinguersi da una Moldavia sempre più nel perimetro di influenza di un’antisovietica Romania.
L’autonomia costituzionale di questo territorio e del suo popolo, raggiunta nel 1994 dopo un tentativo fallito nel 1990, è dunque figlia di un sentimento fondato sul timore di un’assimilazione forzata alla rumenosfera, di una “romanizzazione” che ne avrebbe di fatto cancellato l’identità.
A fasi alterne, il contrasto etnopolitico imperversa per tutti gli anni del nuovo millennio e sopravvive ancora oggi, escerbato dal conflitto russo-ucraino e ulteriormente alimentato dalla prossimità ideologica dell’Unità Territoriale gagauza con la separatista Transnistria.

Una terra ancorata al passato
Alla paura fondata di scomparire dal radar dei popoli, i gagauzi hanno sempre associato delle affinità elettive con il mondo russo. Un legame ancora attuale, ma che vive perlopiù di rendita, alle spalle di un intramontabile affetto per il mondo sovietico, visto tutt’oggi come un paradiso perduto.
Sono soprattutto le vecchie generazioni, quelle che hanno vissuto i migliori anni dell’Urss fino al crepuscolo del governo Gorbaciov, a mostrare la nostalgia più radicale.

La presenza nel territorio di una certa archeologia socialista non aiuta di certo a superare il rimpianto. Negli spazi rurali è facile imbattersi in vestigia e reperti del periodo, in quelli urbani in busti celebrativi. Le statue di Lenin trovano spazio ovunque: in parchi, piazze, musei, cortili e persino in arrugginiti distributori di benzina fuori dai centri urbani.
Un’estetica in significativa dissonanza con i fabbricati più recenti della capitale, costruiti secondo criteri ingegneristici oltre il naïf e, di conseguenza, tutt’altro che funzionali.

Il centro di Comrat è una selva di edifici incomprensibili, fatta dello stesso alluminio mediocre che in Occidente si può osservare solo in desolate periferie commerciali. Un agglomerato architettonico interrotto soltanto da qualche palazzo governativo e dalla cattedrale ortodossa dedicata a San Giovanni Battista.

È in uno di questi palazzi moderni che veniamo accolti dai responsabili della tv e radio nazionale. L’emittente, ci dicono, va in onda con programmi in russo, con l’eccezione di qualche talk in gagauzo, perlopiù rivolto a un pubblico di mezza e terza età. La lingua moldava è dunque assente nelle comunicazioni mediatiche, quanto in verità rarissima nel parlato colloquiale.
Con i loro contenuti, gli organi di informazione modellano il sentire comune della popolazione, divulgando idee politiche in forte opposizione con il governo centrale di Chisinau e raccontando la cronaca internazionale da una prospettiva sbilanciata verso est.
I politici locali rappresentano plasticamente la sinfonia monocorde dell’infosfera gagauza. Le ultime votazioni per l’incarico del nuovo Başkan (governatore, ndr) hanno visto infatti sfidarsi ben otto candidati, tutti in netta contrapposizione con i progetti europeisti di Maia Sandu, presidente della Repubblica di Moldavia dal 2020.
Il risultato finale della tornata ha visto peraltro prevalere la frangia filorussa più estremista. A vincere il ballottaggio contro il candidato Grigory Uzun è stata Yevgenia Gutsul, membro del partito fondato dall’oligarca Ilan Shor, condannato per frode e riciclaggio, nonché latitante in Israele e fedelissimo di Vladimir Putin.

Dal canto loro, i media moldavi forniscono un costante sostegno ideologico alla causa Ucraina ed euro-atlantica, nella prospettiva futura di una sempre più palpabile adesione all’Ue, principale obiettivo politico del governo in carica.
Che la strategia attuata da Maia Sandu vada in questa direzione è innegabile. Com’è palese che l’inclusione nell’alleanza passi attraverso una potenziale riunificazione con la Romania.
Il 22 marzo 2023 la Presidenza di Chisinau ha infatti promulgato una legge che cancella di fatto la dicitura “lingua moldava” dalle comunicazioni ufficiali, imponendo in sostituzione l’espressione “lingua rumena”. Un atto di forma che fa molta sostanza, in quanto riafferma le radici storiche, culturali e linguistiche comuni tra le due nazioni e i due popoli.

“Hanno già provato a cancellarci dalla storia negli anni Quaranta, poi ancora negli anni Novanta e oggi, nuovamente. Vogliono costringerci ad abbandonare la nostra memoria collettiva e a farci usare una lingua che non ci appartiene”.
A parlare così è Anna Zhekova, una delle personalità più rilevanti della cultura gagauza, impegnata da sempre a divulgarla e a preservarla. Negli anni Settanta Anna ha infatti contribuito a lanciare la prima rivista di approfondimento politico nazionale e da allora continua a fare attivismo in forma concreta. Oggi è impegnata nella stesura di un libro di memorie in cui i ricordi personali si intrecciano alla storia del suo popolo.

Seduta nel salotto della sua casa di Comrat racconta un’infanzia segnata dal nazionalismo rumeno. L’età avanzata la porta a perdersi in dettagli forse più del dovuto, ma la loquela è serrata e non ci concede distrazioni. Dobbiamo infatti attendere la preparazione del tè per guardarci attorno. Ed è a quel punto che notiamo alle pareti il nastro di San Giorgio, simbolo militare del periodo tardo-sovietico e ornamento nelle alte uniformi dell’attuale Federazione Russa.
Nato come emblema commemorativo delle vittime della Seconda guerra mondiale, è oggi un segno inequivocabile del sostegno alla politica del Cremlino. Proibito in Ucraina e nei Paesi Baltici, nel 2022 è stato bandito anche dalle autorità di Chișinău.
Anna ce lo mostra con un certo orgoglio, aggiungendo così un ulteriore livello di profondità allo scontro ideologico in atto in questa fetta enigmatica di territorio moldavo.

Un puzzle di minoranze
Per restituire a tutto tondo l’entropia etnica della regione autonoma è necessario però fare menzione anche delle altre comunità che la abitano, in primis quelle ucraine. Un fattore di complessità che non però ha mai presentato aspetti critici, nonostante la matrice dichiaramente filorussa del popolo gagauzo.
“Conosciamo le nostre origini e siamo contro questa guerra. Ma ciò non ci impedisce di vivere qui in modo pacifico”, ci spiega Georgy Ivanovich Gospodinov, direttore della Casa della Cultura di Chioselia Rusă, villaggio a maggioranza ucraina.

“Sono orgoglioso di dirigere questo spazio del popolo. Credo sia importante tenere vivo il legame con il nostro passato sovietico. Molti di noi sono nati e cresciuti con quegli ideali, che ancora oggi fanno parte della nostra identità. I moldavi invece hanno scelto di cancellare la storia. Siamo molto diversi da loro”, aggiunge.
Le sue parole si fanno traccia di un imprinting culturale inossidabile, e lasciano vigorosamente emergere un certo “sentimento della differenza” nei confronti della cultura cosiddetta “occidentale”. Lo stesso che avevamo già notato dialogando in più occasioni con il popolo gagauzo e che ritroveremo qualche giorno dopo anche a Chirsova, villaggio a pochi chilometri da Comrat quasi interamente abitato da una minoranza bulgara.
Lì conosciamo alcuni residenti e veniamo accolti in casa da Elena e Ilya, coppia interetnica sposata da oltre quarant’anni. Lei bulgara, lui gagauzo: perfetta sintesi dei rapporti filiali che intercorrono tra i due popoli nel territorio.

Sulla strada di ritorno verso Comrat, dopo una lunga e intensa giornata, riflettiamo su come il passato socialista sia qui riuscito a compattare la frammentazione etnica, stendendo il velo uniformante dell’utopia sovietica su radici culturali a volte anche molto diverse e lasciando sola la Moldavia con i suoi aneliti di assimilazione al vento dell’ovest.

e rafforzare il senso di appartenenza a un Paese transnazionale, i giovani sovietici venivano inviati lontano dalle loro “patrie etniche” per svolgere la leva.
Il disastro economico
Le radici comuni del popolo moldavo con quello rumeno non sono l’unica motivazione che spinge Chisinau verso l’Ue. L’adesione all’alleanza europea resta forse infatti l’unica strada per risollevare la martoriata economia della nazione.
Il triste primato di Stato più povero d’Europa – con un Pil pro capite di 2.500 dollari annui – è oggi aggravato da tassi di inflazione fuori controllo , che hanno raggiunto stime pari al 27%. Senza contare gli aumenti continui dei prezzi del gas russo, dal quale il Paese dipende interamente non disponendo di materie energetiche nel sottosuolo.

Questo quadro sconfortante acquisisce contorni drammatici in Gagauzia, considerata come una delle regioni della nazione con il reddito più basso.
“La povertà è opprimente e questo porta le nuove generazioni a lasciare il territorio per andare a lavorare all’estero” – ci spiega Anatoly Topal, sindaco di Ceadîr-Lunga.

“La nostra piccola cittadina fa il possibile per aiutare i giovani, ma non riceviamo abbastanza fondi dal Governo Centrale di Chisinau. Siamo fortunati ad avere dei Paesi amici che ci aiutano a sviluppare diversi progetti”, prosegue.
Anatoly ci porta in visita nella Casa della Cultura locale per mostrarci la scuola d’arte che è stata realizzata grazie al gemellaggio con il governo azero, il quale intrattiene relazioni politiche con la Gagauzia per via delle medesime radici turcofone dei due popoli.

“Organizziamo corsi di teatro, di musica e arte nel tentativo di riaccendere l’interesse dei ragazzi per la cultura gagauza, ma questo forse non può bastare. Stiamo assistendo a un cambio di rotta che rende ancora più incerto il futuro del nostro popolo. Gli anziani hanno delle radici e una lingua in cui riconoscersi, i giovani invece parlano ormai soltanto il russo e sono attratti dalla vita moderna, talvolta anche da quella occidentale”, aggiunge ancora Anatoly.

“Tutti questi problemi sarebbero risolvibili se non ci fosse una spada di Damocle che ci pende sulla testa. Il nostro più grosso spauracchio ha un nome: si chiama Ue”.