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al collasso

Messico al collasso

Sono immagini che hanno sconvolto il mondo quelle che a fine settembre hanno mostrato gli uomini a cavallo della Border Patrol rincorrere, catturare e frustare i migranti haitiani che cercavano di raggiungere il Messico. Fotografie del presente ma che sembrano provenire da un’epoca passata. In queste terre dove oggi migliaia di uomini assaltano armati di privazioni e miseria il confine tra Messico e Stati Uniti, a metà ottocento si consumavano gli assalti tra le armate messicane e quelle statunitensi in guerra per un appendice di terra, un lacerto di coste e baie, per un confine sempre più diviso e divisivo.

Fucili spianati, barricate e cavalli a spingere uomini all’assalto per il confine da difendere, per il limite che deve essere invalicabile. Tutto questo è rimasto cristallizzato in questo lembo di mondo blindato dagli uomini per gli uomini. Oggi però non ci sono più uniformi e armate a combattersi , da un lato c’è la polizia di frontiera: alte uniformi, cappelli a tesa larga e briglie, dall’altro c’è il popolo della Grande Migrazione, quello che divora i confini dell’Africa sub sahariana, e che qui, con altri nomi e altri volti, lo stesso germinale febbricitante, senza rimpianti e ripensamenti, incendiato dall’assenza, attraversa rios e si nasconde nei doppifondi dei treni per rincorrere il domani, o comunque ciò che esiste al di là del muro.

(AP Photo/Julio Cortez)

Le redini scoccano, la schiena sanguina e il sangue forma grumi rossi su questa terra così rossa che sembra aver rappreso il sangue che generazioni di uomini qui vi hanno versato. C’è chi fugge, chi si butta sott’acqua, chi viene arrestato e chi si dispera, chi ci riprova e chi guarda indietro e rivede tutto il viaggio affrontato ora sbarrato dall’antemurale della migrazione. Le foto raccontano tutto questo, ce lo descrivono istante per istante le diapositive che dal Rio Bravo hanno alluvionato la rete e i quotidiani. Ma sono foto che vanno osservate in filigrana, dietro quelle immagini si cela infatti una crisi umanitaria senza precedenti che da mesi va aggravandosi sempre più in Messico.

(AP Photo/Eric Gay)

Una crisi che incomincia in Honduras, in Guatemala, che attraversa lo stato nord americano e si arena sulle acque del Rio Bravo, acque nere, acque torbide ma che vanno affrontate in un’apnea piena di spasmo e paura per comprendere quei fremiti e quella paura che provano i ”chicanos” ogni volta che su queste rive affrontano la loro resa dei conti personale con il destino e la loro guerra privata con un’ epoca che li ha confinati in un presente senza domani.

(AP Photo/Felix Marquez)

Nel 2021, spinte dalla fame, dalle violenze delle “pandillas” (bande criminali) e dai disastri naturali, intere famiglie centroamericane hanno deciso di abbandonare le proprie case per inseguire il sogno americano. Vengono soprattutto da Honduras, El Salvador, Guatemala, Ecuador ma anche da Venezuela, Cuba, Colombia e Haiti. Percorrono centinaia di chilometri, quasi sempre a piedi, organizzate in carovane. Il tasso di mortalità durante questi viaggi è altissimo ma il rischio di morire restando a casa è decisamente maggiore, così le persone che vi prendono parte sono sempre più numerose. I numeri parlano chiaro: secondo i dati dell’Onu più di 700mila migranti hanno attraversato il Messico diretti a nord nei primi mesi del 2021 mentre, stando ai rapporti dell’agenzia governativa americana U.S. Customs and Border Protection, nello stesso periodo sono stati intercettati 1.541.651 migranti irregolari solo lungo il versante sudoccidentale della frontiera, il triplo rispetto allo stesso periodo del 2019, prima dello scoppio della pandemia.

(AP Photo/Eric Gay)

Zattere fatte con le camere d’aria dei penumatici dei camion puntellano il Rio Suchiate al confine tra Messico e Guatemala. Decine, centinaia, migliaia di famiglie percorrono a bordo di queste chiatte improvvisate il corso d’acqua che divide i due stati. I traghettatori ricevono il proprio compenso per il viaggio poi uomini, donne e bambini salgono a bordo dei gommoni, portano con sé soltanto l’essenziale, borse di plastica contenenti tutta la loro vita, il resto è stato lasciato indietro, alle spalle. Per sempre. I profughi guadano il fiume e sbarcano sulla riva messicana. Le guardie di frontiera presidiano, osservano, ma il flusso di migranti centro americani che approdano in Messico, diretti negli Stati Uniti, è inarrestabile, nessuno riesce a fermare questa marea umana e le pantagrueliche proporzioni del fenomeno si mostrano in tutta la loro evidenza a Tapachula, la prima città messicana dopo la frontiera guatemalteca.

(AP Photo/Eduardo Verdugo)

La cittadina centroamericana è ormai un luogo dell’attesa, un limbo per migliaia di esistenze che caracollano per le vie cittadine come anonime anime penitenti. Migliaia di uomini, sin dalle prime ore dell’alba, sono accampati fuori dagli uffici dell’ Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati nella speranza di poter ottenere un visto che permetta loro di proseguire il viaggio verso nord. La popolazione dei migranti a Tapachula aumenta giorno dopo giorno, in ogni dove si incontrano famiglie che cercano di costruirsi un giaciglio con materiali di fortuna. Mancano i servizi igenici, i rifiuti sono in ogni dove, l’odore che si leva dalle strade colpisce e disorienta, e le immagini , anche questa volta, sembrano provenire da un’altra epoca, riportano la memoria ai momenti che accompagnano i terremoti con gli sfollati nelle strade e le case abbandonate, ma a Tapachula non c’è stato alcun cataclisma naturale.

(AP Photo/Marco Ugarte)

Questa città è soltanto la porta d’ingresso per il Messico, la prima tappa obbligata per il raggiungimento degli Stati Uniti. “Le istituzioni sono collassate. – Spiega è Mitzi Gomez, portavoce dell’Oim-Unhcr. – Nessuna istituzione potrebbe mai riuscire a gestire un numero così alto di migranti. Per la prima volta giungono intere famiglie. Mai si era registrata una presenza così alta di minori, molti dei quali non accompagnati. Il 50% degli arrivi sono donne. Non è possibile neanche riuscire ad offrire i servizi di base.” La situazione è fuori controllo, i cittadini centro e sudamericani vivono in balia di se stessi e della sorte per le strade di Tapachula. Alcuni raccontano di essere fermi qui da mesi sperando nel visto altri invece vedono ormai nei trafficanti di uomini la loro unica e sola possibilità per poter raggiungere l’America.

(AP Photo/Eric Gay)

Questo esodo ha obbligato Washington a correre ai ripari costringendo il governo messicano a fare da filtro, dapprima minacciandolo di aumentare i dazi doganali e, successivamente rafforzando il programma MPP, “Protocolos de Protección a Migrantes” (Protocollo di Protezione Migranti, creato da Trump e rinnovato da Biden), che impone ai migranti di attendere in Messico l’esito del proprio iter di richiesta di asilo. Le città di confine come Tijuana, Mexicali, Nogales, Ciudad Juarez, Reynosa in brevissimo tempo si sono trasformate in bolge infernali in cui confluiscono sia i migranti provenienti da sud che i deportati, oltre che i ricollocati del programma MPP in attesa di asilo. E sono in molti a puntare il dito contro l’amministrazione Biden per questo aumento esplosivo e incontrollabile del flusso migratorio.

(AP Photo/Felix Marquez)

Padre Persy Cervera, direttore della Casa del Migrante di Tecun Uman in Guatemala racconta: “L’unica differenza fra Trump e Biden è che il primo declamava apertamente le sue intenzioni mentre il secondo agisce in modo più ondivago ed il muro umano ne è la prova. Inoltre il numero di deportazioni non è diminuito e le promesse del nuovo governo americano si sono rivelate parole al vento”. Fanno eco le parole di Josè Luis Perez Canchola, Direttore Municipale degli uffici di Attenzione ai Migranti di Tijuana, che spiega che questa crisi è iniziata durante la campagna elettorale di Biden, quando il candidato presidente promise il rilascio di 125mila visti umanitari nel suo primo anno di mandato. “Questo ha causato una forte ondata migratoria proveniente dal Centro America – racconta Canchola – Una volta eletto Biden però ha fatto marcia indietro posticipando al 2022 il rilascio dei visti promessi. Ma la gente è già qui”.

(AP Photo/Marco Ugarte)

Se Tapachula è il punto di inizio dell’esodo la città di Tijuana, al confine tra Messico e Stati Uniti, è quello finale. In queste ore nella cittadina di frontiera che si infrange contro il muro che separa i due Paesi, decine di migliaia di migranti vivono nei rifugi gestiti dai volontari che offrono gratuitamente vitto, alloggio ed assistenza legale. Ma ormai anche questi centri di accoglienza sono al collasso e così i migranti non possono fare altro che riversarsi per le strade, lungo la frontiera, tra le sterpaglie e a bordo delle carreggiate messicane. Sono centinaia questi insediamenti improvvisati fatti di tende da campo e teli di plastica a ridosso dei valichi di frontiera. A Chaparral, uno dei due ponti pedonali che collegano la città di Tijuana (Messico) con San Diego (Stati Uniti) ventimila persone vivono senza acqua, luce e gas esposti alle intemperie e alle malattie, ancorati unicamente alla speranza che il proprio nome sia incluso nell’elenco delle 125mila persone che beneficeranno di un visto. Se così non sarà per questa gente non ci saranno che due opzioni: il ritorno a casa o l’affidarsi a un coyote: un trafficante.

(AP Photo/Julio Cortez)

In queste condizioni è difficile restare lucidi, è difficile resistere al richiamo del sogno americano che è li, soltanto al di là del muro. E così molti cedono alle lusinghe e alle promesse dei trafficanti di esseri umani che per cifre che vanno dai 7mila ai 12mila dollari traghettano i migranti dall’altro lato. Ma da queste parti nessuno possiede tali cifre. Il meccanismo purtroppo è ormai tristemente noto ed il migrante, accettando l’aiuto dei “coyotes” e dei “polleros” (trafficanti di esseri umani), è poi costretto, per saldare il suo debito, a lavorare per un periodo di tempo più o meno lungo al servizio delle organizzazioni criminali, ma l’esito finale è già scritto: il migrante rimane intrappolato in una rete di ricatti che di fatto lo trasforma in uno schiavo al soldo dei cartelli e degli smugglers. E secondo l’Onu tale commercio frutta alle organizzazioni criminali 6,6 miliardi di dollari l’anno.

(AP Photo/Felix Marquez)

Per cercare di contrastare i cartelli e il traffico di uomini Washington e Città del Messico hanno dato vita alle “operazioni specchio”, operazioni di controllo della frontiera portate avanti in simultanea, specularmente, dalla Border Patrol statunitense e dalle forze di polizia messicana. ”Mia moglie era anche lei un agente che si occupava del controllo della frontiera.- racconta un agente della polizia messicana- Come me cercava di contrastare l’immigrazione illegale e soprattutto il traffico di essere umani che i gruppi di narcotrafficanti gestiscono in questa zona frontaliera. E’ un lavoro che ci espone a molti rischi e infatti mia moglie ha pagato caro il prezzo per il suo sacrificio per la legalità”.

(AP Photo/Fernando Llano)

L’agente di polizia, mentre racconta la sua storia, non smette di setacciare con gli occhi i campi che circondano il muro e prosegue spiegando: ”Alcuni uomini legati a un cartello locale, pochi mesi fa, l’hanno rapita e le hanno sparato. E’ rimasta gravemente ferita ”. L’uomo, che per ragioni di sicurezza ha preferito mantenere l’anonimato, improvvisamente si interrompe. Una donna viene avvistata mentre cerca di superare la frontiera, il fuoristrada delle forze dell’ordine messicane allerta i colleghi statunitensi che raggiungono la migrante originaria dell’Ecuador che viene immediatamente fermata e controllata. Del coyote invece nessuna traccia.

(AP Photo/Felix Marquez)

Spariscono i clandestini, muoiono i poliziotti e franano i sogni di migliaia di persone sotto la grande muraglia che separa USA e Messico, ma le maglie del muro non sono impenetrabili per i cartelli che attraverso questa fascia di terra trasportano, armi, droga e uomini . L’oscurità avvolge la barriera, le tenebre trasportano un eco lontano, forse un pianto, forse un urlo di disperazione.