Police on my back
Violenza al confine

La violenza della polizia croata

Al confine tra la Bosnia e la Croazia, nella fascia di terra che va da Bihac a Velika Kladusa, sono attualmente bloccati circa 8mila migranti. Circa la metà di loro vive nei campi di accoglienza, che però scarseggiano e che hanno costretto gli altri 4mila migranti ad accamparsi in strutture fatiscenti, come vecchie case e fabbriche abbandonate, senza acqua e riscaldamento, nel gelido inverno bosniaco. Come nella vecchia fabbrica abbandonata alla periferia di Bihac, la Krajina Metal, un enorme complesso siderurgico chiuso subito dopo la guerra e ormai in gran parte crollato. Qui alloggiano e sopravvivono circa 50 rifugiati. Scappano per lo più da zone di guerra, Afghanistan, Siria, Iraq, Pakistan e cercano di raggiungere l’Europa, dove intendono costruirsi un nuovo futuro. Ma qui attraversare il confine, quello che loro chiamano “The Game”, il gioco, diventa duro, non solo per le condizioni climatiche.

Un migrante all’interno della vecchia fabbrica abbandonata Krajina Metal, Bihac, Bosnia

Passare la frontiera non è semplice. La zona è infatti circondata da montagne innevate e da campi minati, residui nascosti e mortali di una guerra balcanica ormai dimenticata. E il cammino verso l’Italia, attraverso la Croazia e la Slovenia, è lungo, dai 10 ai 15 giorni a piedi, spesso fatto senza cibo e acqua. Ma alla fine, paradossalmente, la difficoltà maggiore è un’altra: riuscire a superare la polizia croata e sopravvivere a loro nel caso in cui dovessi essere preso.

Cartello che indica la presenza di mine dove passano i migranti al confine tra Bosnia e Croazia

Come ci raccontano Anas, Ali, Raz e molti altri rifugiati, bloccati nella vecchia fabbrica Krajina Metal da oltre due mesi. Il freddo intorpidisce le ossa qui, e loro si scaldano con la legna appena raccolta dalle travi del tetto crollato della fabbrica. Hanno provato diverse volte il “gioco”, e sono sempre stati catturati e respinti dalla polizia croata. Ma il respingimento – illegale in quanto la Croazia dovrebbe dare la possibilità ai migranti di richiedere asilo – è il male minore. I migranti devono infatti sopravvivere alle botte e agli abusi che la polizia croata perpetra ormai sistematicamente da più di due anni. Dal 2017 al 2019 organizzazioni non governative come “Border Violence Monitoring Network”, “Human Rights Watch”, “No Name Kitchen” e ”Amnesty International” hanno ricevuto più di 6200 denunce, tutte documentate, di abusi da parte della polizia croata contro i migranti.

L’abuso non è il solo respingimento, ma soprattutto tutto quello che fa sistematicamente la polizia croata contro i migranti, cioè un crimine continuo ai limiti della tortura. Regolarmente la polizia croata, quando cattura i migranti li fa spogliare, li umilia psicologicamente, li deruba delle loro poche cose, soldi e cellulare, e li picchia a sangue con calci, pugni e manganelli, per poi rimandarli indietro nudi in mezzo alla neve o gettarli nelle gelide acque del fiume Korana che separa la Bosnia dalla Croazia. Non importa il sesso o l’età. Sia donne che minorenni hanno subito questo inferno. Molti di loro hanno avuto menomazioni permanenti e fratture, alcuni addirittura sono morti per le percosse ricevute.

Ali Muhammad, 16 anni, mentre mostra il braccio spaccato dalla polizia croata, Bihac, Bosnia

“Quando ci hanno presi sulla strada 71 e ci hanno arrestati ci hanno picchiati violentemente e rinchiusi in una piccola stanza”, racconta Raz Mohmmad, seduto nella gelida e decrepita fabbrica Krajina Metal. “Faceva molto freddo e ci hanno tenuti per una notte, e anche adesso il freddo mi fa male alle gambe. Quando ci hanno portati vicino al confine ci hanno fatti scendere dalla macchina uno ad uno e ci hanno chiesto quanti di noi erano musulmani o cristiani. Gli abbiamo detto che eravamo musulmani e non gli è importato se eravamo adulti o minori, ci hanno picchiati perché eravamo musulmani. Mi hanno percosso con il bastone nelle gambe e adesso se sto in piedi o anche seduto sento dolore alle mie ginocchia.”
Raz Mohmmad viene dall’Afghanistan, è scappato due anni fa dalla guerra e ha solo 14 anni. E si vede molto bene che è un minorenne, ma non per la polizia croata, che lo ha respinto. Peggio è andata a Ali Muhammad, anche lui minorenne (16 anni): “La seconda volta che ho provato la polizia croata mi ha catturato nella città di Delic e mi hanno portato alla stazione di polizia. Hanno scritto il mio nome e mi hanno chiesto la mia età e io gli ho detto la mia vera età. Ma loro sui documenti non hanno riportato la mia reale età, l’hanno aumentata. Nei documenti hanno scritto 18 anni e mi hanno rispedito indietro. Durante la deportazione ci hanno chiamati uno ad uno e ci hanno picchiati.

Anas Poyan, 19 anni dall’Afghanistan, qui è in una delle case abbandonate vicine al confine con la Croazia che servono ai migranti come rifugio prima di partire per “The Game”

Quando hanno chiamato me, c’erano sei poliziotti ad aspettarmi sulla strada, tutti con i manganelli in mano e mi hanno picchiato così violentemente che mi hanno spaccato il braccio. E ancora oggi non riesco a estendere il mio braccio.” I racconti sono tutti uguali, tutti seriali. Tutti i profughi che abbiamo incontrato e intervistato raccontano la stessa storia di violenza e disumanità, di crudeltà e cattiveria. Il confine bosniaco-croato non è un semplice confine, un “game”, un gioco come viene definito, ma una Caporetto. Solo pochi riescono a fuggire e a raggiungere l’Italia.

Migranti mentre cucinano il pranzo all’interno della vecchia fabbrica abbandonata Krajina Metal, Bihac, Bosnia

Il 27 gennaio 2020 nel Parlamento europeo, alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, diversi parlamentari europei tra cui Clare Daly, Dietmar Koster, Cornelia Ernst e Malin Bjork mostrano al ministro degli interni croato Davor Bozinovic prove inconfutabili, con foto, date, luoghi, nomi, dei crimini che effettua regolarmente la polizia croata sui migranti, chiedendo spiegazioni e chiedendo soprattutto al Governo croato, per di più alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, e che quindi dovrebbe dare il buon esempio a tutti, di fermare questa pratica, ormai equiparata a tortura. La risposta del ministro, impacciata e confusa, è stata alla fine di non ammissione dei fatti e negazione della realtà e delle evidenze delle prove. Il Governo croato ha ricevuto dall’Europa, solo nel 2019, 7 milioni di euro per monitorare i confini, di cui 300mila per istituire una commissione indipendente per indagare i casi di abuso della polizia croata, commissione che non è mai stata istituita dalla Croazia.