Vucjak, la Lampedusa terrestre: “Vogliamo andare tutti in Italia”
(Vucjak) Uno dei giovani nepalesi indossa una maglietta bianca con una grande scritta: “World tour”, giro del mondo. Il gruppetto avanza nella boscaglia nel nord ovest della Bosnia ad un passo dal confine europeo della Croazia. “Vogliamo andare tutti in Italia” ammette candidamente una specie di capetto paffutello e con il sorriso pronto, che avrà poco più di 18 anni. Poco importa se non fuggono da una guerra e sono arrivati in Turchia comodamente in aereo per poi infilarsi clandestinamente nella rotta balcanica. Quello che conta è partecipare “al gioco”, come viene chiamato in gergo da tutti i migranti il passaggio del confine croato, poi quello sloveno e alla fine l’arrivo a Trieste, per proseguire verso altri paesi europei. Oppure chiedere asilo politico, anche se non ne hai diritto.
“Negli ultimi due anni stimiamo che siano passati da noi attorno a 20mila. In questo momento solo in quest’area ci saranno 5mila migranti” spiega l’ispettore Ale Siljdedic, portavoce della polizia del cantone di Bihac, l’angolo a nord ovest della Bosnia, più vicino al confine croato con l’Unione europea. Un imbuto dove arriva una media di 100 migranti al giorno, che fa impallidire Lampedusa. Farhad, capelli corti e sguardo triste, è partito dal Bangladesh assieme ad una dozzina di compatrioti. “No documenti, no soldi, ma andremo avanti fino in Italia” dichiara deciso davanti ad una grande mappa della Croce rossa, che indica i campi minati della guerra nell’ex Jugoslavia.
I bengalesi non hanno trovato posto nella precaria tendopoli per 500 migranti a Vuciak, che significa “tana del lupo”. Un campo provvisorio nel mezzo del nulla, distante dalla città di Bihac, che non ne poteva più dell’ “occupazione” di afghani, pachistani e maghrebini. Sotto un tendone della Mezzaluna rossa turca ancora in allestimento Ahmad Zia sta divorando la razione mattutina di viveri appena distribuita. “Vengo dell’Afghanistan e sto viaggiando da 4 anni per raggiungere l’Europa – racconta il ragazzino tajiko fuggito dai talebani – Ieri è andata male. La polizia slovena mi ha preso e rimandato in Bosnia. Ci riproverò fino a quando non arrivo in Italia”. Altri migranti sono al decimo tentativo e qualcuno al ventesimo.
Un pachistano racconta: “Vedevo le luci di Trieste, ma gli sloveni mi hanno intercettato. Riparto di nuovo fra qualche giorno”
Tutti sono terrorizzati dalla polizia croata, che ha sigillato il confine con corpi speciali, droni, camere termiche e pure elicotteri. “Solo il 10% riesce a passare al primo colpo. Gli altri vengono bastonati e rimandati in Bosnia dai croati, che li portano via le scarpe come deterrente” spiega chi fa la guardia ai campi dei migranti. Oltre alle botte la polizia croata rompe i cellulari con le mappe e il tragitto segnato dal Gps del telefonino inviato da chi ha già raggiunto la meta a Trieste. Il flusso arriva via Turchia in Grecia e poi Macedonia e Serbia, dove i migranti vengono volentieri lasciati passare attraverso la sguarnita frontiera con la Bosnia. A Tuzla prendono d’assalto la stazione degli autobus verso Sarajevo e poi si dirigono a nord ovest nell’imbuto di Bihac.
“Vogliono andare in Italia, ma molti proseguono verso Francia, Germania o paesi scandinavi” osserva Marine, una volontaria di Venezia della Ong dell’ Associazione cristiana dei lavoratori. Lunga treccia e giubbotto mille tasche distribuisce il tè ai migranti convinta che “la rotta balcanica non fa tanto effetto come gli sbarchi a Lampedusa, ma il traffico di esseri umani è immenso e prima o dopo tutti passano”.