Il pugno duro del Marocco

Il pugno duro del Marocco

Tangeri (Marocco) Le strade di Tangeri sono affollate ad ogni ora del giorno e della notte. I petit taxi azzurri e gialli sfrecciano per la città senza sosta. Sui larghi marciapiedi delimitati da grandi palme camminano uomini, donne e bambini marocchini. Ci sono cittadini spagnoli, francesi e tanti turisti. Ma nessun migrante subsahariano. È la linea dura del Marocco.

Marocco invaso da migranti

Lo scorso anno il Marocco è stato preso d’assalto da migliaia di migranti. Un numero sempre maggiore di subsahariani ha iniziato a percorrere la rotta che passa per il Paese nordafricano nel tentativo di arrivare in Europa attraverso lo Stretto di Gibilterra o le due enclave spagnole di Ceuta e Melilla. Da Paese di emigrazione, negli anni il Marocco si è trasformato in un Paese di transito e, spesso, anche di destinazione: un cambiamento che ha obbligato il governo marocchino a sviluppare nuove politiche migratorie per gestire il flusso. Se a partire dal 2015 le due rotte maggiormente percorse dai migranti passavano per la Libia e i Balcani, nel 2018 si è registrato un cambio di passo. Dopo che la rotta centrale ha subito un rallentamento con le politiche del governo italiano, il Marocco è stato investito da un’ondata migratoria senza precedenti. “Da qualche tempo a questa parte, l’unica via possibile da percorrere è quella che attraversa il Paese. E forse sarà di nuovo così a breve, visto il caos in cui si trova la Libia”, spiega Abderrahim Zebbakh, giornalista e presidente del Centre Méditerranéen des Médias.

Secondo i dati dell’Unhcr, l’Alto commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2018 sono arrivati in Spagna oltre 65mila migranti, di cui 58mila via mare e quasi 7mila via terra attraverso le due enclavi nordafricane di Ceuta e Melilla. Più del doppio rispetto al 2017 e oltre il triplo del 2015. Nello stesso anno, gli sbarchi in Grecia sono stati poco più di 32mila mentre quelli in Italia 23mila. Un anno record quindi per il Marocco che si è trovato a gestire un numero sempre crescente di transiti. Migliaia di migranti subsahariani hanno infatti percorso il Paese da Sud a Nord fino a Tangeri, l’ultima tappa africana nella rotta migratoria diretta in Europa attraverso la penisola iberica.

Spaventata dagli arrivi di massa, la Spagna ha cercato subito di rafforzare i legami con il Marocco, diventando la “voce” di Rabat a Bruxelles. “Tra i due Paesi c’è sempre stato un buonissimo rapporto in ogni ambito – spiega Zebbakh -. Sono invece gli Stati del Nord Europa a non capire i nostri problemi. Loro dovrebbero fare di più”. Per anni i flussi migratori erano stati gestiti con abilità dal regno marocchino: il Paese nordafricano aveva infatti capito di poter usare la tratta di esseri umani a suo piacimento, come leva contrattuale. E così, nel tempo, ha aperto e chiuso il rubinetto dell’immigrazione in diverse occasioni. Ad oggi il Marocco ha ancora molte questioni aperte con Spagna ed Europa e detiene quindi il potere di decisione sui migranti. Così, a fine estate, Madrid e Bruxelles hanno promesso 140 milioni di aiuti a Rabat per contrastare i flussi. E il numero di sbarchi sulle coste spagnole è subito diminuito. Secondo i dati del governo marocchino, nei primi mesi del 2019 sono già stati bloccati più di 30mila tentativi di immigrazione clandestina verso l’Europa.

Via da Tangeri

Sotto la pressione dell’Unione europea, il Marocco ha iniziato una vera e propria caccia ai migranti. “Ora per le strade non c’è più nessuno – spiega Inma Gala, responsabile dell’immigrazione alla diocesi di Tangeri -. Da quando, a fine estate, la polizia ha iniziato a fare retate, i migranti non si vedono più”. I subsahariani sono spariti dalla città, abbandonando anche quei quartieri che fino a pochi mesi fa avevano occupato in modo massiccio. “Alcuni migranti sono stati rimpatriati, mentre la maggior parte di loro è stata mandata nel sud del Paese. Il Marocco intende così spostare la frontiera più lontano dall’Europa che, in questo modo, si sente più sicura e protetta. Le forze dell’ordine arrestano tutte le persone che trovano, anche se hanno documenti validi per stare nel Paese”, racconta Inma.

“Non avrei mai pensato di soffrire così tanto come in Marocco”. A parlare, con gli occhi lucidi, è Fatima, 37enne del Senegal. “Qui sto male anche se ho tutti i documenti in regola. La polizia mi ha fermata più volte, come se fossi una criminale”, continua la donna che vive nel Paese nordafricano ormai da quattro anni. “Abbiamo paura della polizia, nessuno esce più per la strada, rimaniamo tutti nascosti. Quando avrò di nuovo la possibilità, cercherò di andare in Spagna: là almeno rispettano i diritti umani”.

La polizia ogni mattina entra nelle nostre case, rompe tutto, ferma le persone. Ma se paghi, ti lascia stare. È tutto un business

A scagliarsi contro le nuove misure è Aissatou Barry, presidente dell’associazione Les Ponts Solidaires – Maroc. “Se la polizia viene qui oggi e vede che ci sono dei migranti, domani torna di sicuro per prenderli perché gli agenti sanno che qua dentro poi ci guadagnano dei soldi”, continua la donna che ha subito più volte irruzione delle forze dell’ordine nella sua casa.

Nascosti

Mesanana, Boukhalef, Branes. Nei quartieri popolari di Tangeri, che fino a poco tempo fa erano abitati da un numero sempre crescente di migranti, ora non si vede più nessuno. “Non possiamo più vivere lì. La polizia viene a cercarci ad ogni ora e in ogni occasione”, spiega Fatima. Ma c’è anche chi, per ora, è riuscito a sfuggire ai raid delle forze dell’ordine marocchine. Migliaia sono infatti i subsahariani che si nascondono nei boschi a sud di Tangeri o in abitazioni fatiscenti fuori città. “Vivevamo in 200 persone in quello che era stato soprannominato il ‘black building'”, ci spiega un giovane del Camerun, soprannominato ‘il generale’. “Poi è arrivata la polizia e ha iniziato ad arrestare le persone e a spedirle nel sud del Paese. Con alcuni sono riuscito a scappare nei boschi, ma anche lì le forze dell’ordine ci hanno trovato”, continua mentre vaga tra i suoi ricordi.

Tra i bianchi palazzi di Boukhalef sorge un piccolo bosco. Lì i migranti avevano cercato, inutilmente, riparo dalle retate. Poi, alcuni di loro hanno trovato rifugio in un edificio poco lontano. “Io vivo da quasi sette mesi sul tetto di quella casetta”, spiega un 22enne del Camerun indicando una stalla tra la vegetazione. “Siamo in 30 persone qui. Ci arrampichiamo sulla parete per raggiungere la cima dove abbiamo sistemato alcune coperte”, afferma prima di farci vedere come scalano ogni giorno l’edificio. “La mattina però dobbiamo abbandonare il nostro accampamento prima dell’arrivo della polizia. Se ci trovano ci spediscono nel sud del Paese, a Tiznit“, racconta. “Vogliamo solo andare in Spagna”, spiega un suo coetaneo che indossa una felpa del Barcellona e sogna di raggiungere l’Europa. “Abbiamo provato mille volte ad attraversare lo Stretto, ma la polizia ci ha sempre fermato e arrestato”. Così il loro viaggio deve iniziare da capo, dal sud del Marocco.

Il pullman pieno di migranti si ferma 900 chilometri a sud di Tangeri, a Tiznit

Ed è proprio nella periferia della cittadina che i subsahariani hanno dato vita ad un accampamento dove si rifugiano nella speranza di riprendere il cammino verso il nord del Paese. Agadir, Marrakech, Casablanca, Rabat, fino alla costa che guarda lo Stretto di Gibilterra. “Mi hanno già portato a Tiznit una volta – racconta il 22enne camerunese -. Ma sono riuscito a tornare a Tangeri pagando la mafia 50 euro e strappando così un passaggio fino a qui”.

Ma c’è anche chi, bloccato dalle forze dell’ordine, viene subito espulso dal Paese. Come è successo a Byron. “Ero al mercato quando la polizia è arrivata e mi ha arrestato. Prima sono finito in prigione, poi sono tornato in Camerun”, ci racconta in collegamento via Skype. “Eravamo 40 persone. Siamo stati tutti rimandati nei nostri Paesi di origine. Ma tra qualche mese – conclude il giovane pieno di speranza – voglio provare a tornare in Marocco e da lì raggiungere l’Europa”. Come hanno già fatto alcuni suoi amici avventurandosi in un viaggio che spesso porta anche alla morte.