
Fame da sanzioni
L’Afghanistan in ginocchio
L’Afghanistan in ginocchio
Fame da sanzioni
Nulla è tirannico e totalizzante come la fame: travolge chiunque, non conosce limiti, non permette di opporvisi e pialla ogni biografia che investe riducendo tutto a un’uniforme tragedia . Oggi, in Afghanistan, la miseria, quella vera, maligna nella sua violenza e perniciosa nella sua condanna, sta attanagliando il Paese. Dopo vent’anni di conflitto, la nazione asiatica, dall’agosto 2021, quando i talebani hanno di nuovo preso il potere, sta affrontando una crisi economica senza precedenti. Milioni di persone versano in uno stato di assoluta povertà e a rendere manifesta la dimensione del fenomeno sono le stime diffuse dal World Food Programme che parlano di 22,8 milioni di persone, di cui 14 milioni di bambini, su una popolazione di 40 milioni di cittadini, affette da malnutrizione acuta e 8,7 milioni di persone in uno stato di emergenza alimentare.
Nell’ospedale Indira Gandhi di Kabul decine di medici e infermieri cercano, con i pochi mezzi che hanno a disposizione, di fronteggiare una situazione disperata . In ogni corridoio e in ogni camerata decine di madri coperte dai burqa e padri avvolti nei salwar kameez, con il tradizionale turbante nero intorno al capo e gli occhi contornati dal kajal, assistono i propri figli che anelano alla vita tra ragnatele di cannule e sondini. L’odore di disinfettante impregna l’ambiente, le urla dei bambini echeggiano nei reparti, le madri nascondono il dolore dietro i burqa, i padri provano a far lo stesso dietro la durezza dei lineamenti. Ma non basta.
“Lei è un dottore? Dov’è un dottore? Ho bisogno di un dottore per mio figlio!”. Un uomo, dagli occhi opachi per il piangere difficilmente trattenuto e pervasi da un dolore inaccessibile, supplica ogni presente di un aiuto. Una madre, attende seduta su una vecchia panca di legno, mentre culla il proprio figlio sulle ginocchia e due lacrime gemelle intanto le solcano il viso come due rughe indelebili di dolore.
“La malnutrizione è una delle malattie peggiori con cui ci si rapporta perché provoca una pluralità di problemi all’organismo e spesso, nei più piccoli, i danni causati dalla mancanza di cibo possono produrre problematiche irreversibili”. A spiegare la situazione è il Primario del reparto di pediatria il Dottore Mohammed Arif Hassanzai. “La malnutrizione è una patologia che colpisce soprattutto i bambini e a volte noi non abbiamo nemmeno abbastanza posti letto per accoglierli tutti e spesso dobbiamo mettere più pazienti negli stessi lettini”. Il medico spiega la situazione mentre visita i degenti e intorno a lui, intanto, si ha la comprensione della spietatezza della fame. Un neonato con le ossa del torace che si gonfiano ad ogni respiro, frenetico, cerca lo sguardo della madre mentre un dottore provvede a medicare le piaghe del suo piccolo corpo. Una bambina di soli due anni, esausta, dorme rannicchiata nel suo lettino priva ormai anche della forza per un pianto.

Le infermiere, senza tregua, riempiono tazze e biberon con dei preparati di latte in polvere e vitamine, un ‘altra operatrice, con il capo coperto da un velo verde, prova a immobilizzare con una corda le braccia di un bambino di pochi mesi che si è strappato il sondino dal naso. E mentre legge le cartelle cliniche e si informa delle condizioni di ogni paziente, il dottor Hassanzai spiega: “La causa principale di questo stato di miseria sono le guerre che hanno devastato l’Afghanistan e la crisi economica che ora sta travolgendo il Paese”. E il Primario poi prosegue accusando anche l’Occidente e gli Stati Uniti dell’attuale stato delle cose: “E permettetemi di dire che anche la decisione di congelare i fondi dell’Afghanistan sta causando tutto quello che voi adesso osservate. I soldi che sono stati bloccati, sono soldi che appartengono al popolo afghano non sono beni privati dei talebani. Privare un Paese delle proprie riserve significa condannarlo a questa situazione”.

Dopo il 15 agosto e il ritiro dall’Afghanistan dei contingenti americani ed europei, l’amministrazione Biden, subito, ha congelato oltre 9 miliardi di dollari della Banca Centrale Afghana in istituti di credito americani ma anche europei ed arabi. Un provvedimento che molto ha fatto discutere dal momento che legalmente questi beni appartengono al popolo afghano e sono di proprietà della Da Afghanistan Bank. E solo a fine settembre 2022 Washington ha annunciato il trasferimento di una prima tranche di 3,5 miliardi di dollari, sino ad oggi bloccati, in un fondo fiduciario svizzero amministrato dalla Bank for International Settlements, con lo scopo di salvare la Banca centrale dell’Afghanistan, aiutare l’economia del Paese e supportare la popolazione attraverso versamenti mirati.
In ogni caso il congelamento di questi beni per oltre un anno, le sanzioni, l’inflazione, il rincaro dei costi dei beni di prima necessità e i danni provocati dalla siccità che ha investito la nazione durante l’estate continuano a mietere vittime e a opprimere la popolazione afghana.
“Sapete qual è la cosa più dolorosa con cui mi devo rapportare quasi ogni giorno?” Chiede il dottore Hassanzai mentre sorseggia un tazza di tè nel suo studio dopo ore di lavoro senza tregua. “ Ciò che mi fa più male è che a volte, dopo settimane o mesi di cure in ospedale, i bambini riescono a recuperare e, poco a poco, guariscono e li dimettiamo. Una volta a casa però non hanno modo di poter continuare con il trattamento, le famiglie non hanno risorse per comprare neanche i nutrimenti basilari, non hanno soldi per poter garantire un tozzo di pane e una ciotola di latte e riso ogni giorno, e così i bambini ricominciano di nuovo a perdere peso e tornano in ospedale in una situazione peggiore di quando erano stati ricoverati la prima volta. Questa è una maledizione senza soluzione di continuità”.

Il maglio della povertà sta condannando il Paese asiatico a drammi per i più impossibili anche solo da immaginare. E basta recarsi nel quartiere di Sharak, nella periferia della capitale, dove in una casa di terra battuta vive Awa Akbari, una donna hazara di 28 anni e madre di quattro figli, per rendersi conto, in modo tangibile, di che cosa sia la disperazione e cosa sia l’Afghanistan di oggi, una terra infettata da una tragedia tanto spietata da far dubitare persino del significato stesso della parola speranza.
Un sacco del WFP è l’unico bene di cui dispone la donna, intorno a lei quattro bambini, seduti su un tappeto, osservano stanchi i visitatori: ‘’Il mio bambino più grande deve essere sottoposto a un’operazione al cervello e non ho i soldi per pagare l’intervento. Io non ho niente.” Racconta la madre che prosegue spiegando: “Il cibo mi viene dato grazie agli aiuti umanitari. Non ho un solo centesimo e l’unica cosa che posso fare per pagare le cure di mio figlio è vendere la mia figlia più piccola! La vendo per 1200 dollari e vendo lei perché è la più piccola, ha solo tre anni ,e non può rendersi conto di quello che sto facendo”.

Ha gli occhi impietriti da un dolore senza colpe e senza remissione Awa, ma conserva ancora la pervicace tenacia materna di credere in un domani per i suoi figli; nonostante i talebani, nonostante la crisi alimentare e le illusioni inoculate in vent’anni di intervento militare, nonostante le promesse fatte a vuoto e le rivalse postume contro il nuovo governo ma sulla pelle della popolazione afghana: “Lo faccio per i miei figli. Solo per loro. Come pensate che mi senta a vendere mia figlia? Ma non ho altre scelte. Lo faccio per permettere a mio figlio di essere curato e alla mia piccola di avere un futuro. Prego che chi la prende le garantisca un domani e le consenta di vivere, di studiare, di avere una bella vita. Non come me che non ho nulla. La mia non è una vita”.
C’è solo una foto, nella casa di Awa; una foto che la ritrae insieme ai suoi figli e che ha il potere di ricordare a lei, ma anche noi, che c’è stato un passato migliore, anche felice, in Afghanistan.