La zona
La seconda fine di Chernobyl

La seconda fine di Chernobyl

L’incidente di Chernobyl avvenne 37 anni fa, il 26 aprile 1986. Da allora quell’area è stata sempre un enorme problema, oltre che una pesante eredità, prima per l’Unione sovietica e dal 1991, anno del suo scioglimento, per l’Ucraina.

Ma dal 2002, cioè da quando il governo ucraino ha aperto le porte della zona di esclusione al turismo, Chernobyl è diventata anche una grande risorsa economica. Quell’anno contò 870 presenze.
Fino ad allora era possibile accedere alla Zona ottenendo permessi speciali, riservato solo a scienziati e giornalisti. Prendeva piede nel frattempo il fenomeno illegale degli “stalker”.


Gli stalker pescano il proprio nome dalla letteratura e cinematografia sovietica, più precisamente dal romanzo Pic-nic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatzki e dal film Stalker, capolavoro di Tarkovskij.
Il loro obiettivo è vivere la Zona nella più completa libertà, sfidare se stessi, sopravvivere qualche giorno a Pripyat (la città abbandonata dopo il disastro) e, negli ultimi anni prima della pandemia, accompagnare a pagamento turisti in cerca di emozioni estreme.


Tutto questo avveniva illegalmente, dal momento che gli accessi sono vietati lungo l’esteso perimetro dei 2.600 chilometri quadrati che formano la zona di alienazione di Chernobyl. A piedi, attraverso i fitti boschi e i numerosi villaggi abbandonati, in circa tre giorni di cammino gli stalker raggiungono la città fantasma di Pripyat.


Negli anni, i tour legali si sono moltiplicati dando vita a svariate agenzie, più o meno affidabili, che promettevano una gita a Chernobyl in assoluta sicurezza a prezzi tutt’altro che contenuti, se rapportati al tenore di vita ucraino. Il prezzo medio per una visita di quattro ore nella Zona si aggirava intorno ai 100 euro e un tour classico prevedeva la visita della città di Chernobyl, la sosta davanti al sarcofago che ricopre il reattore esploso e al monumento in memoria dei pompieri uccisi dalle radiazioni nelle prime ore dell’incidente, la visita a qualche villaggio abbandonato dove sono rientrati a vivere i cosiddetti “coloni” per terminare a Pripyat, la città di 50mila abitanti situata a tre chilometri dalla centrale e evacuata due giorni dopo l’esplosione.

Per i più temerari esistevano tour personalizzati, anche di più giorni. I turisti venivano accolti in un hotel nella città di Chernobyl con alloggi di buon livello e un ottimo ristorante. L’esperienza prevedeva tutte le comodità del turista e l’intensità dell’esperienza da “fine del mondo”. I visitatori arrivavano da ogni angolo del mondo: Stati Uniti, Europa, Australia, Giappone, Sud America.

Il mercato del turismo nella Zona ha garantito ad una delle aree ucraine più depresse economicamente un massivo indotto economico con cui sviluppare una serie di attività legate a questi nuovi flussi turistici: dalle strutture ricettive, ai ristoranti, alle società di traporto persone e le guide, per l’appunto. Allo stesso tempo sono fiorite in Europa e in Italia numerose associazioni che hanno improvvisato viaggi a Chernobyl, appoggiandosi per forza di cose ai tour operator ucraini, ma caricando enormemente sui prezzi, lucrando sull’ignoranza e sulla mancanza di informazioni, proponendo viaggi assolutamente normali spacciandoli per unici.


I numeri sono stati sempre in continua ascesa, e nell’ultimo anno pre-covid, nel 2019, grazie anche al successo della mini-serie HBO Chernobyl, il traffico di visitatori ha sfiorato le 125mila presenze.

Anton era una guida ufficiale di Chernobyl. Aveva messo in piedi una propria agenzia prima della guerra. Gli affari andavano bene, con un incremento notevole di anno in anno, tanto da permettergli importanti investimenti per migliorare i suoi servizi. A causa della guerra tutto è andato perduto: lavoro, presente e futuro in quanto, secondo lui, “difficilmente il turismo ritornerà ai livelli precedenti il conflitto”. Chiaramente, la sua vita e il futuro della sua attività sono legati alla modalità e ai tempi in cui si concluderà il conflitto.


Sasha e Timur erano due stalker molto esperti. Anni fa, proprio con Sasha abbiamo intrapreso personalmente un viaggio illegale nei boschi della Zona per capire cosa rappresentasse per loro quell’area abbandonata e contaminata, percorrendo 80 chilometri in cinque giorni. Grazie a quel viaggio siamo riusciti a comprendere le motivazioni che spingono questi giovani ragazzi ad avventurarsi in un’area rischiosa e interdetta. La libertà e la ricerca dei propri limiti per superarli sono tra le spinte più forti, ma c’è anche la voglia di scoprire di più sul loro passato sovietico in un luogo rimasto congelato nel tempo per oltre trent’anni.

Come tutti quelli che hanno conosciuto la bellezza e la libertà della zona di esclusione – noi compresi – i ragazzi sperano in futuro di poterci ritornare, pur sapendo perfettamente che sarà impossibile per moltissimi anni, a causa delle mine antiuomo piazzate dai russi.

Il traffico di turisti – sia quello legale che quello illegale – è stato interrotto dalla guerra e molto probabilmente non riprenderà più neanche dopo la sua fine, perché la zona di esclusione, essendo al confine con la Bielorussia è diventata area sensibile e militarizzata, ma, problema maggiore, è stata completamente minata sia dai russi in ritirata che dall’esercito ucraino poi per prevenire un nuovo attacco da quel lato.