I parà italiani in Kurdistan
“Questa è la direzione d’attacco contro l’Isis. Ok?” urla un paracadutista del 187° reggimento Folgore tracciando frecce e posizioni sulla sabbia. Le reclute curde in mimetica verde attorno a lui rispondono come un sol uomo: “Ok”. E scattano a prendere posizione per l’addestramento a fuoco organizzato dai soldati italiani, in prima linea nel nord dell’Iraq ad arginare il Califfato. Colpo in canna e sdraiati a terra i curdi cominciano a sparare verso delle sagome. Poi rotolano e si alzano avanzando di corsa in maniera alternata, come un vero assalto contro le bandiere nere. Alle spalle di ogni combattente curdo, i leggendari Peshmerga, un basco amaranto della Folgore li incita e indica la direzione di tiro. Per la prima volta la Difesa apre le porte della missione di addestramento in Kurdistan iniziata a gennaio. L’Italia comanda 600 militari europei dall’Inghilterra alla Germania fino alla Norvegia, che hanno già formato 4mila combattenti curdi.I paracadutisti sono 231 schierati nell’operazione Prima Parthica dal nome della legione romana di Settimio Severo, che si spinse fino in Mesopotamia. Il corso base, che dura da tre a sei settimane, è di fanteria. Il comandante della missione europea è un colonnello juventino degli alpini convinto che “dall’11 settembre la guerra al terrore non sia mai finita. L’Isis è un pericolo globale non solo in Iraq e Siria, ma nel Sinai, in Nigeria e Libia alle porte di casa nostra. Una minaccia contro la civiltà che va sconfitta”. I militari italiani hanno l’ordine di tenere un basso profilo. Niente nomi e davanti all’obiettivo si coprono il volto per non farsi riconoscere.
La minaccia di rappresaglie, anche sulle famiglie in patria è concreta. Proibito postare foto su Facebook o twittare. Nel centro addestrativo di Benaslava le reclute gridano “viva Kurdistan, viva Italia”. I paracadutisti italiani li hanno appena fatti “pompare” con un po’ di flessioni. “Li prepariamo a lottare contro l’Isis e sopravvivere al fronte” spiega Giampaolo, il giovane capitano con la barba, che comanda una quarantina di istruttori.I parà si lanciano armi in pugno con i curdi nei camminamenti e prendono posizione in trincea, come se fossero in prima linea. “Non vedono l’ora di andare a combattere. Lo fanno per il Kurdistan, ma in fondo difendono anche noi” racconta Domenico, veterano della Folgore. In Afghanistan è saltato in aria su una trappola esplosiva lungo la 517, “l’autostrada per l’inferno”. Il parà si è ritrovato con le vertebre schiacciate, senza sensibilità su due dita di un piede e sordo da un orecchio. Il 2 giugno gli hanno consegnato la medaglia come vittima del terrorismo. Poi è partito per l’Iraq. Gustavo è soprannominato il messicano per i baffi da sparviero. Urla gli ordini alla sua squadra di reclute anche in curdo con termini misti: “Magazine per caricare l’arma, zamen per la sicura, boro per andare avanti e zigo zago per farli muovere su due file”. Michele, nome in codice Sax, accompagnava gli afghani durante le operazioni: “In Kurdistan al posto dei villaggi di fango e paglia vedi sfrecciare le Porsche. Di un Peshmerga, però, mi è rimasto impresso lo sguardo spento. Gli avevano massacrato tutta la famiglia”.Alla fine dell’addestramento a fuoco i parà versano il tè alle reclute curde e distribuiscono il pane piatto come la nostra pizza. Assad Murad, che parla bene inglese e porta un paio d’occhiali da sole trendy non ha dubbi: “Combatto l’Isis per salvare la nostra terra e la mia famiglia”.
La squadra dei combattenti curdi avanza lentamente e guardinga ai due lati della pista sabbiosa fra le colline di Hatrush, nel nord dell’Iraq. Il primo Peshmerga non fa in tempo ad alzare il pugno chiuso verso l’alto e gridare “stop”, che si accende un fumogeno rosso fra le sterpaglie. “E’ saltato su una mina. Addestrarli ad individuarle è fondamentale. L’Isis è abilissimo a trasformare il campo di battaglia in un reticolo di trappole esplosive” spiega il sottufficiale dei guastatori paracadutisti, che li guida sul terreno. Più avanti c’è un curdo che sembra morto, ma sotto il giaccone ha dei candelotti di esplosivo. “Imbottiscono di tritolo i corpi degli animali oppure i terroristi suicidi fanno finta di essere cadaveri e saltano in aria quando il plotone si avvicina” racconta il parà. I bombaroli dell’Isis minano addirittura i rubinetti dell’acqua. Chi lo apre esplode. “Osservate, controllate” urla di continuo il guastatore paracadutista alle reclute curde. Nella gran parte dei casi si sono comprati di tasca propria i kalashnikov. Uno dei Peshmerga chiamato per scherzo tip-tap è venuto a sparare con i mocassini.”Dateci più munizioni e armi nuove non obsolete. Stiamo combattendo anche per voi italiani, per l’Occidente contro una minaccia che riguarda il mondo intero. E dopo vogliamo diventare un paese indipendente” dichiara, sudato come una fontana, Abdul Salam Razak della compagnia Leoni. Il veterano della guerra in Kuwait, Abdullah Hussein, sostiene che “questo conflitto è peggiore, orribile e senza pietà. Piuttosto che finire nelle mani dei tagliagole mi sparo l’ultimo colpo in testa”. L’età dei combattenti curdi varia dai vent’anni ai 60 di Ahmed Abdullah, che spera: “Inshalla (se Dio vuole) questa sarà l’ultima guerra”. A Baghdad abbiamo un manipolo di carabinieri che addestra la polizia e da ottobre diventeranno un centinaio. Sul fronte del’Iraq sono dispiegati in tutto 500 italiani. In Kuwait l’aeronautica ha schierato 4 caccia bombardieri Tornado e dei velivoli senza pilota. Niente bombardamenti, ma solo voli di ricognizione per individuare gli obiettivi, che verranno colpiti dagli alleati. “Ringraziamo gli italiani per l’appoggio e l’addestramento, ma 18 giorni sono troppo pochi per trasformare una recluta in soldato” sottolinea il colonnello Shukur Ghasem, comandante di un battaglione yazida, la minoranza religiosa massacrata dal Califfato.