Givi, il Rommel del Donbass

Givi, il Rommel del Donbass

Per gentile concessione della casa editrice Baldini & Castoldi, pubblichiamo un estratto di Ucraina. La guerra che non c’è di Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini.L’uomo che ci ha cacciati in malo modo dall’aeroporto, sbraitando «italiani, americani: tutti fascisti» non è un personaggioqualunque. Lo scopriamo qualche ora dopo sfogliando foto e video su Internet. Si chiama Mikhail Tolstykh ma il popolo di Donetsk ha imparato a conoscerlo col suo nome di battaglia: comandante Givi.Alto, ciuffo sbarazzino, occhi acquosi alla Sylvester Stallone, sigaretta eternamente accesa in bocca. Tutte le brigate ribelli impegnate sul fronte dell’aeroporto dipendono dai suoi ordini. È considerato il più brillante tra gli ufficiali separatisti. È l’uomo che ha messo sotto scacco le armate ucraine a Ilovaisk nel mese di agosto, un’operazione complessa e brillante. La città, situata a metà strada tra Donetsk e Lugansk fu presa d’assalto dalle truppe governative all’inizio del mese, i miliziani levarono le tende senza colpo ferire e si trincerarono nelle periferie da dove iniziarono ad aprire il fuoco in direzione del centro.

Fu un lento stillicidio: la propaganda di Kiev aveva presentato l’operazione come un successo assoluto ma ben presto dovette ricredersi. Decine di soldati furono messi fuori combattimento. Nella notte tra il 25 e il 26 agosto i separatisti riuscirono a circondare completamente la città chiudendo il nemico in una morsa fatale. La mattina del 29 agosto, grazie alla mediazione di Putin, fu trovato un accordo per permettere agli assediati di ritirarsi pacificamente verso ovest.Gli ucraini si misero in marcia con una sessantina di veicoli ma dopo neanche dieci chilometri furono attaccati e annientati. I caduti furono centinaia, forse addirittura mille. Givi fu tra i principali registi dell’operazione. “Givi, i tuoi uomini fanno più casino di un gruppo di pirati somali”, gli disse qualcuno. La cosa apparve divertente e da allora il battaglione di Givi è stato ribattezzato “Battaglione Somalia”.Un giornalista americano è riuscito a estorcergli una lunga intervista video, consegnando così la sua immagine ai fasti di YouTube. Il colloquio vira in continuazione dal drammatico al comico. Dopo le classiche domande sulla guerra, il cronista fa presente a Givi che molte belle ragazze, anche all’estero, vorrebbero fare la sua conoscenza. Givi si profonde in un sorriso beato da marpione, poi chiama gesticolando il suo autista e insiste affinché il suo numero di telefono venga letto ad alta voce di fronte alla telecamera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di lui si sa pochissimo. Ha 35 anni, non è sposato e non ha figli. Esiste una biografi a ufficiale, sfacciatamente apologetica, secondo la quale Givi avrebbe trascorso tutta la sua esistenza a Lugansk lavorando in una cava di carbone. Allo scoppio della guerra il perfido padrone ucraino licenzia tutti i minatori: al che il patriota Givi, paladino dei deboli e degli inermi, decide di imbracciare il fucile e si unisce alle armate ribelli. È totalmente digiuno di cose belliche ma è diventato ufficiale in un battibaleno. Per rafforzare questa improbabile leggenda, la propaganda separatista ha confezionato un’apposita pagina di Wikipedia in inglese: “Givi ha ottenuto fama mondiale nell’ottobre 2014″ vi si legge tra le altre cose.”In quella data è stato pubblicato su Internet un video che lo mostra tranquillo e incurante mentre un colpo di artiglieria esplode a poca distanza da lui. Il video ha ottenuto oltre settecentomila visualizzazioni”.

Ma la verità a quanto pare è un po’ diversa: Givi parla con spiccato accento georgiano e la Georgia – come è noto – dista parecchi chilometri dal Donbass. L’abilità con la quale dirige i suoi uomini fa pensare a una formazione di tipo militare, a un lungo apprendistato sul campo e a una prolungata permanenza in zone di guerra. C’è chi dice che sia un reduce dalla Cecenia, chi un mercenario, chi un avventuriero di stampo conradiano. Quel che è certo, è ciò che sta sotto gli occhi di tutti: gli piacciono le armi, le belle donne e le belle macchine.Un giorno si mise in testa di conquistare una giovane fixer. La portò in prima linea e la invitò a sparare qualche salva con il mortaio: «It’s easy, baby, it’s easy», e nel frattempo la spingeva verso il puntatore.Possiede un suo Suv personale che lucida ogni giorno con perizia certosina e al quale tiene più che alla propria vita. Ci hanno raccontato il seguente episodio: una mattina il comandante Givi è fermo a uno stop. Improvvisamente sente un tonfo, l’uomo si gira e vede due placidi vecchietti a bordo di una decrepita utilitaria di fabbricazione sovietica. Stavano facendo manovra per posteggiare e inavvertitamente lo hanno tamponato. Non l’avessero mai fatto: Givi scende urlando dal Suv, estrae la pistola, arma il colpo, mira contro l’altro veicolo e gli impallina tutte e quattro le gomme. I due vecchini lo fissano raggelati, senza muovere un muscolo. Givi continua a berciare, spalanca la portiera dell’utilitaria, si fa consegnare a forza i documenti e riparte sgommando. La coppia non osa fiatare e deve passare più di un’ora prima che qualche anima pia si decida a rimandare indietro i due passaporti.Sul conto di Givi circolano moltissime storie. Ha un attendente giovanissimo che lo segue come un’ombra dovunque lui vada. Fa solo due cose: si guarda attorno con aria circospetta e fuma senza tregua. “Lui mi piace perché è muto”, ridacchia Givi che ha un suo personalissimo senso dell’umorismo. Lo diverte molto vedere esplodere le granate, lo divertono gli spari in generale e in particolare quelli delle sue artiglierie. Si atteggia a duro, e non perde occasione per fare sfoggio del proprio carattere. Per dare la sveglia ai suoi soldati – ai quali è affezionatissimo e dai quali è sinceramente ricambiato – spara raffiche di kalashnikov contro i muri degli alloggiamenti. […]A Donetsk è considerato un eroe. Quando compare in città, decine di babushke (il nomignolo affettuoso con cui si chiamano le vecchine) si precipitano ad abbracciarlo in lacrime. I giornalisti lo adorano perché lo considerano un personaggio da copertina. Lui li accontenta mettendosi in posa. […]Ci hanno raccontato la storia del suo prigioniero personale. Durante i primi assalti all’aeroporto, i separatisti hanno catturato un povero disertore ucraino. Givi lo ha subito preso in simpatia e ha preteso di tenerlo con sé. Lo ha confinato nei tre locali del suo posto di comando, a circa duecento metri dalla linea del fuoco, e da allora non ha mai voluto separarsene. Lo nutre a volontà rimpinzandolo di cibo, vodka, birra e sigarette. Il poveraccio passa le sue giornate a rigirarsi i pollici nell’attesa spasmodica che succeda qualcosa. Di tanto in tanto, quando è di luna buona, Givi lo carica a bordo del suo macchinone e lo scorrazza per qualche ora in giro per Donetsk catechizzandolo sulle incredibili atrocità commesse dall’esercito di Kiev. […]

Ben pochi, tra gli ufficiali separatisti, possono vantare una simile popolarità. L’unico è forse il comandante Motorola che va all’assalto a bordo di un quad, sparando con una mano e guidando con l’altra. Anche lui è stato a Ilovaisk. Il suo matrimonio di guerra con una ragazza di Donetsk – celebrato nel mese di agosto con tanto di kalashnikov in bella mostra e bandiere rosse sullo sfondo – ha attirato folle oceaniche. È il fascino del folklore ribelle: un’epopea che tra dieci anni potrebbe finire stampata nei libri per ragazzi, oppure, in alternativa, tra gli atti d’accusa di un processo per crimini contro l’umanità. Quello che avete letto è frutto di oltre quattro mesi nel Donbass da parte degli autori. A quasi un anno di distanza, Gli Occhi della Guerra vogliono tornare nel Donbass per raccontare “la guerra che non c’è”. Per farlo, però, abbiamo bisogno anche del tuo aiuto.