Donbass, perché la tregua non regge
I bombardamenti cominciano nel tardo pomeriggio. Quando cala il sole – come in una vecchia favola russa – l’orizzonte si colora di rosso: sono i bagliori dei Grad che si schiantano tra le case. L’effetto è notevole, ma dopo qualche giorno impari a farci il callo: “Normal’na”, sorridono gli abitanti del posto – e non capisci mai se dicono sul serio o è soltanto un modo per sdrammatizzare.
Donetsk, regione separatista del Donbass, Ucraina orientale. La guerra di cui l’intera Europa sembra essersi dimenticata continua a mietere vittime e seminare distruzione. La città di Gorlovka, cinquanta chilometri a nordest del capoluogo, è circondata per due terzi dall’esercito di Kiev.I quartieri settentrionali sorgono a ridosso della linea del fuoco: le ultime case, i giardinetti ricolmi di macerie, e poi subito le trincee. Centinaia di famiglie vivono ancora quassù, a ridosso della prima linea. Ogni palazzo si è dotato del proprio bunker. Spesso si tratta di un semplice scantinato in terra battuta, nelle cui viscere sono stati ammucchiati un paio di materassi, una stufetta a carbone e qualche litro d’acqua potabile.
“Mio marito si è unito alla milizia – racconta Svetlana, una delle tante donne che sono rimaste a vivere tra queste case -. Da due anni, ormai, questa è la mia esistenza: di giorno mi do da fare per sfamare i miei tre figli. La notte, non appena le artiglierie aprono il fuoco, scendiamo tutti nel sottosuolo. Spesso ci restiamo fino al sorgere del sole. È dura certo, ma quali sono le alternative?”.Così si vive a Gorlovka, a Donetsk, a Spartak, ad Aleksandrovka. La guerra è entrata nelle case, nelle scuole, negli ospedali. Ai bambini di Donetsk viene distribuito un piccolo album di figurine: al posto dei calciatori ci sono i carri armati e i mezzi blindati, con tanto di schede tecniche e didascalie esplicative. Le vecchie squadre di calcio – a cominciare dal celebre Shaktar Donetsk – si sono tutte trasferite in Ucraina occidentale: perciò ne sono state create di nuove. Ogni compagine ha preso il nome di un reparto dell’esercito separatista: la più forte – a quanto si dice – è quella intitolata al battaglione Oplot, che fu fondato dall’attuale presidente della repubblica filorussa, l’onnipotente Aleksander Zakharchenko. Siccome buona parte degli uomini, almeno per qualche mese, ha servito nella milizia indipendentista, ogni casa è oggi regolarmente piena di armi e munizioni. Fino a qualche tempo fa, era possibile acquistare un Kalashnikov per meno di cento dollari. Il fenomeno è stato sanato con una folkloristica legge “ad hoc”: i mitra, almeno per ora, possono restare dove sono, a patto che vengano denunciati e che non abbiano un calibro superiore ai dodici millimetri, ovvero un’autentica enormità. In parole povere: è perfettamente lecito, per soddisfare le esigenze della propria difesa personale, tenere sotto il letto un piccolo cannoncino anticarro. Follia? Delirio? Necessità? “Eta voinà”, si dice da queste parti: questa è la guerra. Del resto, si tratta di un semplice dato di fatto: le consuetudini belliche hanno ormai invaso anche la sfera antropologica, a cominciare dagli usi e dai costumi.Il numero duecento, a Donetsk, è considerato di cattivo augurio, ben più dei nostri tredici e diciassette: esso viene infatti utilizzato, nelle comunicazioni radio, per annunciare la morte di un miliziano (ugualmente temuto, anche se in misura minore, è il trecento, che invece corrisponde al ferimento). Durante i brindisi, il classico “nasdarovie” è stato sostituito da una nuova formula, che suona più o meno così: “Speriamo che la bomba non cada nelle vicinanze”. E ancora: quando un amico resta ucciso in battaglia, è d’uso comune versare in terra qualche goccia di vodka, dopodiché si posa sul tavolo un bicchiere in più, che verrà lasciato intonso e sarà coperto con una fetta di pane nero.È assolutamente impossibile, dall’Italia e dall’Europa occidentale, comprendere la reale portata di questo immenso mattatoio. Parte delle responsabilità vanno probabilmente imputate alle autorità separatiste, che per non seminare il panico tra la popolazione tendono a minimizzare il numero dei morti e dei feriti. Le statistiche ufficiali parlano di poco più di diecimila caduti dall’inizio della guerra, ma sono cifre a cui ormai non crede più nessuno. “Aggiungete sempre uno o due zeri”, ci ha consigliato ieri mattina un miliziano di Aleksandrovka, alla periferia occidentale di Donetsk – e non sembrava il tipo da scherzare.
Foto di Alfredo Bosco.