Lysychansk, dove i russi mostrano le armi-trofeo inviate dalla Nato
Il Palazzo della Cultura di Lysychansk è in rovina. Il fuoco ha divorato i capitelli neoclassici, le pareti sono nere, il tetto è stato sfondato dalle bombe. Davanti, c’è un un gigantesco obice da 155mm. È in esposizione, uno dei “trofei di guerra” che le Milizie Popolari di Lugansk mostrano in un’esibizione organizzata nel viale antistante.
A inizio luglio, quando i russi dopo diversi tentativi e perdite ingenti tra uomini e mezzi hanno attraversato il fiume Severskj Donetsk, i duelli tra artiglierie a distanza che hanno annientato in un colpo solo le due città gemelle, l’altra è Severodonetsk, sono terminati di colpo. L’esercito ucraino ha ripiegato verso Siversk. Tenere le posizioni era diventato impossibile e l’avanzata russa stava per circondare le truppe di Kiev.
Dietro di sé gli ucraini hanno lasciato armi. Molte armi. La maggior parte delle quali provengono dai Paesi Nato. Sono state esposte tra i viali devastati di Lysychansk come atto di sfida nei confronti dell’Occidente. Il Cremlino, del resto, lo ripete da mesi: armare l’Ucraina non fermerà l’avanzata russa. La sta rallentando, probabilmente. Ma tra gli effetti collaterali c’è anche questo: che saranno proprio i nemici a mettere le mani su una parte di queste forniture.
Nell’esibizione, lunga almeno 500 metri, c’è di tutto: i pezzi forti sono i carri armati T-64 e T-72, i sistemi missilistici anticarro NLAW di fabbricazione svedese, i veicoli corazzati britannici Saxon. Non mancano Javelin americani, mitragliatrici ceche, proiettili di mortaio silenziati, proiettili da 60mm e 155mm. E droni. Di ogni tipo.
C’è anche il contributo dell’Italia, molto meno significativo rispetto a quello di altri Paesi. Un contenitore cilindrico nero su cui campeggia l’etichetta in italiano: “Attenzione. Con il mortaio da 120 mm la carica massima consentita è la quarta”. I mortai da 120mm sono parte della fornitura che il governo Draghi ha fatto all’esercito di Kiev, con bombe a frammentazione capaci di colpire in un’area di circa 150 metri dal punto di impatto. Il nome del mortaio è “modello 63”, risale agli anni Ottanta e non viene più utilizzato dall’esercito italiano da almeno vent’anni. Ma, oltre al fatto che l’Italia dovrebbe aver inviato anche modelli di mortai da 120 millimetri più recenti, questi che sono sicuramente più datati sono semplici da usare, immediati e di certo non meno efficaci.
Subito dopo la mostra-beffa, saranno consegnate alle Milizie Popolari di Donetsk, impegnate insieme ad esercito russo e ceceni sui campi di battaglia di Bakhmut e Siversk, dove gli ucraini resistono, e che hanno come obiettivo dichiarato quello di alleggerire la pressione sulla città capoluogo dell’Oblast e puntare all’assedio di Sloviansk e Kramatorsk.