“A Mosul ho visto l’inferno”
MOSUL – “Benvenuti all’inferno. Questo è il pronto soccorso avanzato della 9° divisione dell’esercito iracheno. Oltre ai soldati feriti arrivano i civili ed io sono la componente pediatrica. Visito anche 100 bambini al giorno”. Si presenta così, Marino Andolina, triestino, non più un giovincello, con il camice verde ed un pizzetto grigio in stile Mefistofele. Uno dei pochi, se non l’unico volontario italiano così a ridosso della battaglia di Mosul, che volge al termine. Il pronto soccorso avanzato serve per stabilizzare i feriti ed evacuarli verso ospedali da campo più attrezzati. Andolina è noto alle cronache per il metodo Stamina, il controverso utilizzo di cellule staminali su pazienti senza speranze. A Mosul da giugno è volontario dell’organizzazione umanitaria Road to peace dell’eroina inglese Sally Becker.
Un volontario di sinistra in un punto avanzato di soccorso dei militari?
“Anche se è dell’esercito, la maggior parte dei pazienti sono bambini. O civili come la ragazza ferita alla gamba appena arrivata. Deve essersi sparsa in giro la voce che c’è un pediatra e l’afflusso è gigantesco fin dal mattino. Ovviamente dobbiamo convivere con la morte, i soldati feriti e orribili lesioni. Mi è toccato scavalcare i cadaveri per visitare un bambino. Insomma non è la solita vita di un ambulatorio normale”.
Perché si è offerto volontario nell’inferno di Mosul?
“Questa è stata la mia vita. Penso sia la quinta o sesta guerra dove ho prestato soccorso. Forse è l’inferno che mi sono scelto. Un conflitto così non l’ho mai visto. La perfidia e la malvagità umana riscontrate da queste parti sarebbero eccessive anche per un film dell’orrore”.
Cosa non dimenticherà mai di questa esperienza?
“Ogni giorno è zeppo di ricordi, ma c’è stato un bambino che non dimenticherò mai. É rimasto abbracciato per ore sotto il sole al corpo della madre assassinata, assieme a tutta la famiglia, dai terroristi dell’Isis mentre cercavano di scappare. Quando i soldati iracheni lo hanno portato in salvo uno è stato ucciso. Il suo corpo ed il bambino sopravissuto sono arrivati da noi. L’aspetto era quello di un bimbo di un anno, ma come tanti altri che escono dalle macerie della battaglia nella città vecchia poteva averne il doppio. Ha afferrato con determinazione la bottiglia di acqua minerale svuotandola. Poi ha bevuto del latte. Si é addormentato tra le mie braccia. Lo hanno chiamato Alì, il nome del soldato che si è sacrificato per salvarlo”.
Come vive ogni giorno?
“Vivo in un garage e vado a pisciare sul tetto per evitare di muovere un passo fuori. Un giorno è piombato un colpo di mortaio sul mercato vicino. A fine giugno l’Isis ha tentato una controffensiva. Appena due giorni dopo il mio arrivo abbiamo passato una notte con gli anfibi ed il giubbotto antiproiettile pronti a venire evacuati”.
Lei è rimasto coinvolto nell’inchiesta sul caso Stamina…
“Sono in “guerra” anche in Italia. E di solito scelgo la parte dei perdenti. Sono stato sconfitto in Italia, dove volevo solo fare del bene. E ho scelto di venire a Mosul ad alleviare le pene degli sconfitti”.
Non è la prima volta che si trova in zone del genere, ma sembra provato…
“Sono 30 anni che frequento conflitti fin dalla Bosnia, ma a Mosul è dura. Sono attorniato da ragazzi molto in gamba, americani, australiani, europei, che rappresentano il meglio anche dal punto di vista medico. E’ un onore essere con loro in prima linea. Ma ci sono momenti in cui comincio a cedere. Qualcuno fra noi ha già ceduto, si è ammalato o ha avuto paura”.