“Mosul libera dall’Isis”

“Mosul libera dall’Isis”

MOSUL – I proiettili sibilano sopra le nostre teste o rimbalzano impazziti sulle macerie nell’ultima, feroce battaglia che ha liberato Mosul, la “capitale” del Califfato in Iraq. Il generale Shaker Jawdat, capo della polizia federale irachena, ha annunciato ieri la conquista della città vecchia nella zona ovest. L’ultimo bastione jihadista, dove, in realtà, rimangono ancora cellule e sacche di irriducibili, ma le bandiere nere sono oramai sconfitte. Nonostante lo Stato islamico abbia risposto che i suoi uomini continueranno a combattere fino alla morte. E così è stato durante la battaglia finale di venerdì nella parte antica di Mosul. Il paesaggio nella città vecchia, ultimo ridotta dello Stato islamico, è lunare: le case, una attaccata all’altra sono sventrate, annerite delle fiamme o fatte a pezzi dagli attacchi aerei, dopo 9 mesi di furiosi scontri. Le raffiche di mitragliatrice degli ultimi jihadisti di Mosul sono rabbiose, ma è al fruscio della morte che non ti abitui. L’artiglieria tuona da chilometri di distanza. Quando il colpo arriva sopra le nostre teste fendendo l’aria, come una sciabola sguainata, sembra sempre che ti piombi addosso. Pochi secondi dopo la granata  esplode sulle postazioni delle bandiere nere con un pauroso boato. Un manipolo di 200 miliziani votati alla morte era asserragliato, con le unghie e con i denti, in un fazzoletto dell’antica Mosul. I seguaci del Califfo, completamente circondati e con alle spalle il fiume Tigri hanno continuato a combattere senza speranza.


Mappa a cura di Alberto Bellotto

Qualche ora prima dell’alba di venerdì un gippone blindato della polizia federale irachena porta in prima linea chi vi scrive ed il fotografo di guerra Gabriele Micalizzi. Gli uomini in armi ci fanno spazio, sui loro materassi luridi buttati nella polvere, per un po’ di riposo in una calura opprimente anche di notte. Alle cinque del mattino ci sveglia urlando un colonnello, che non vuole farsi riprendere e dire il suo nome per timore di rappresaglie alla famiglia.

L’ultimo attacco, su tutti i fronti, scatta alle prime luci del giorno. Le truppe d’assalto sono composte da ragazzini e veterani con il volto tirato di chi si chiede se arriverà a sera. “Dobbiamo aprirci un varco fino al Tigri e farla finita” annuncia il colonnello, ma l’avanzata è un incubo. Le bandiere nere sono nascoste nel dedalo infernale di viuzze e case che sembrano appiccicate nella zona del mercato dell’oro. I tetti più alti sono stati quasi tutti rasi al suolo. Gli uomini della polizia federale si fanno avanti attraverso i buchi nelle pareti e scalano le macerie provocate dai bombardamenti. Una volta allo scoperto vengono bersagliati da mitragliatrici o cecchini e noi dietro.

I droni volteggiano per individuare gli obiettivi e quando le truppe d’assalto rimangono inchiodate dal tiro nemico irrompe nel cielo il rombo dei caccia alleati. Poco dopo il solito fruscio della morte indica che una bomba teleguidata oppure un razzo spazza via i seguaci del Califfo.

La battaglia è dura: un giovane agente della polizia irachena viene portato verso le retrovie a spalle con un rivolo di sangue, che gli scorre dalla fasciatura attorno al petto. E’ quasi cianotico e si lamenta dal dolore con sempre meno forza, come se la vita gli sfuggisse dalle mani.

La parte più insidiosa è scendere dalle macerie dei tetti verso la rete di vicoli dove due persone passano a stento. Gli agenti rastrellano casa per casa con un sistema semplice, ma brutale. Prima lanciano delle bombe a mano attorno, dove potrebbero nascondersi i jihadisti. E poi irrompono nelle abitazioni sparando a raffica. Per fortuna i civili sembrano essersi volatilizzati, ma a Mosul tanti innocenti sono rimasti colpiti dal fuoco incrociato o falciati dai seguaci del Califfo perché stavano scappando dall’inferno.

Ieri un video diffuso da una tv locale ha immortalato un episodio atroce: una donna kamikaze che si è fatta esplodere con in braccio un bimbo di pochi anni, uccidendo se stessa, lui e un paio di soldati. Tra tanti orrori dell’Isis, questo mancava ancora.

In cinque ore al seguito delle truppe irachene siamo avanzati di soli 300 metri. La battaglia è durata tutto il giorno e alla fine la polizia federale è arrivata all’agognato fiume Tigri, che divide in due la città. Dopo tre anni di occupazione Mosul è praticamente libera con tutto il suo valore simbolico. In gran parte, però, è ridotta ad un cumulo di macerie insanguinate, come Berlino nel 1945. I soldati iracheni festeggiano, ma forse nessuno saprà mai l’enorme numero di militari, civili, jihadisti morti e feriti, che è costato il folle incubo del Califfato.