Odessa, l’urlo di una madre

Odessa, l’urlo di una madre

Da Odessa. Elena Brazevksy ha cinquant’anni e vive a Odessa, dove insegna Storia medievale all’università. Da tre anni veste di nero: la data che le ha cambiato la vita, spezzandola in due, è il 2 maggio del 2014. Quando suo figlio Andrey, ventiseienne ingegnere informatico, è stato ucciso nel pogrom della Casa dei sindacati.La incontriamo in un caffè della città che si affaccia sul Mar Nero, dove arriva dopo un lungo e faticoso viaggio con i mezzi pubblici. Preferisce riceverci qui che in casa, dove sarebbe “troppo pericoloso”. Con voce flebile, ci racconta la propria tragedia personale.

Suo figlio è stato ucciso nel 2014: all’epoca faceva politica?

“Era membro di un gruppo di giovani comunisti che si chiamava ‘Borotba’: contestavano la linea del governo instaurato a Kiev dopo la rivolta di piazza Maidan, volevano realizzare il federalismo. Chiedevano un referendum per questo.”

Si ricorda quale fosse il clima dei primi mesi di quell’anno?

“Me lo ricordo molto bene. Ogni finesettimana c’erano manifestazioni di protesta contro il governo, con decine di migliaia di persone. Odessa è per tradizione una città internazionalista, che mal sopportava l’imposizione di una politica centralizzata. Ma si trattava sempre di proteste pacifiche, senza persone a volto coperto, armi o bastoni.”Il 2 maggio dove si trovava?“Ero a casa quando un’amica mi ha chiamata per dirmi di accendere la tv: nel centro città c’erano scontri molto duri. Ho chiamato mio figlio che mi ha detto che andava tutto bene, ma ho capito che era solo un modo per non farmi preoccupare. Così ho preso un taxi e sono andata a Kulikovo Pole”.

Cosa ha visto una volta là?

“L’accampamento degli anti-Maidan era già in fiamme e lo spazio intorno all’ingresso della Casa dei Sindacati era pieno di nazionalisti che urlavano: ‘Prenderemo tutti i moscoviti’. Avevano formato una sorta di corridoio davanti alla porta principale: chi usciva per scampare all’incendio veniva costretto a strisciare e veniva bastonato a sangue. Ero attonita perché era uno spettacolo selvaggio, non pensavo che avrei mai assistito a qualcosa del genere nel nostro Paese. A un tratto ho visto uscire un giovane con la testa fracassata. Ho pensato: ‘bisogna che mi butti sopra di lui per attutire i colpi.’ Altrimenti sarebbe morto, mentre io ero già vecchia. Ma non mi hanno picchiata e ci hanno lasciati andare verso le ambulanze.”

Come ha trovato Andrey?

L’ho chiamato al cellulare ma mi ha risposto una voce sconosciuto che mi ha detto che mio figlio era stato ucciso. Sono andata all’ospedale e l’ho trovato dentro un’ambulanza, già morto. L’impresario di pompe funebri mi ha detto che in tanti anni non aveva mai visto nulla di simile. E ha aggiunto di aver visto altri giovani uccisi nella Casa dei sindacati, di cui nessuno ha saputo niente. Ora, io non so se questo sia vero, ma…”

Ma?

“Ma non potrò mai saperlo, perché non è mai stata avviata un’indagine come si deve.”

Cosa intende?

“Ho fatto denuncia, ho contattato un avvocato ma l’unico risultato è stato il riconoscimento del fatto che io e gli altri parenti delle vittime siamo parte offesa nel processo. Tutto qua.”

Nient’altro?

“Nulla. Continuano ad aggiornare le sedute del processo, di mese in mese, con la scusa di questo o di quel vizio formale.”

Cosa impedisce alla procura di indagare in autonomia?

“Il potere giudiziario non è indipendente né dal governo né dai gruppi nazionalisti, anche qui ad Odessa.”

Che tipo di pressioni ricevono i giudici?

“Non solo i giudici, anche gli avvocati. I nazionalisti si presentano in tribunali e minacciano avvocati e giudici perché diano le dimissioni o perché la seduta venga rinviata.”

E le istituzioni?

“Le racconterò un episodio eloquente. Il giorno della commemorazione del terzo anniversario, la polizia ha sequestrato in caserma il pullman con tutti i parenti delle vittime per oltre un’ora: dicono che era per questioni di sicurezza, ma non volevano farci arrivare in tempo all’appuntamento. Negli stessi istanti, l’organizzatrice di tutta la cerimonia veniva interrogata dagli uomini del servizio segreto. Hanno fatto di tutto per rovinare quell’unica ora che ci era stata concessa.”

Un’ultima domanda: che ne è stato del giovane che ha salvato dal corridoio della morte alla Casa dei Sindacati?

“Mi hanno detto che è vivo. Spero per lui che abbia lasciato l’Ucraina. Ma non voglio sapere di più: è più sicuro per entrambi”