È il 2 maggio 2014: l’Ucraina è attraversata dai moti che riguardano il cosiddetto “movimento Maidan”, dove gruppi di manifestanti e successivamente anche milizie nazionaliste chiedono non solo la fine della presidenza di Viktor Yanucovich, ma anche il posizionamento dell’Ucraina verso l’occidente. Sono settimane segnate dalla violenza in tutto il paese. Ad Odessa si tengono manifestazioni di filorussi da un lato, mentre dall’altro lato vi sono le milizie nazionaliste. La tensione monta alle stelle, finché accade la tragedia: gruppi nazionalisti aggrediscono i filorussi, alcuni di loro sono all’interno della casa del sindacato. Qui l’edificio viene dato alle fiamme, muoiono intossicati, strangolati ed in alcuni casi anche pestati almeno 38 manifestanti filorussi.
Una strage che non ha colpevoli, né tanto meno il governo sembra intenzionato a trovare i responsabili. Nel suo reportage girato tre anni dopo la strage, Giovanni Masini traccia un quadro desolante: avvocati delle vittime e giudici intimiditi dai neonazisti e nazionalisti, giornalisti minacciati di morte se scrivono sul caso, con le autorità che non fanno nulla per modificare la situazione. E così, quella odiosa strage, rimane senza colpevoli.