Slovianks sotto tiro. La linea del Piave degli ucraini

Slovianks sotto tiro. La linea del Piave degli ucraini

(Sloviansk) Le colonne di fumo grigiastro si alzano verso il cielo da Sloviansk la città del Donbass sotto tiro da settimane, dove corre la linea del Piave degli ucraini. Al posto di blocco sulla strada che arriva da Kramatorsk, altro caposaldo dell’ultimo fronte di difesa, i militari sono nervosi. Troppo esposti al tiro delle artiglierie russe. “Andate via. Voi giornalisti attirate le granate”, urla un soldato brandeggiando il kalashnikov. Dal posto di blocco si domina la città con il panorama dei bombardamenti, che sembrano un film, ma è tutto tragicamente vero.

“Fuggite. I russi ci stanno colpendo giorno e notte. Bisogna evacuare quanti più civili possibile”, è l’appello di Vadym Lyakh, sindaco di Sloviansk. Anche ieri l’artiglieria è tornata a colpire la zona del mercato spazzando via due persone e ferendone altre sette. In città sono rimasti in pochi, forse il 20% della popolazione. Il sindaco spiega che, nelle ultime 24 ore, “144 persone sono scappate, inclusi 20 bambini”.

L’artiglieria russa spara “raffiche” di 15-20 colpi che, uno dietro l’altro, esplodono con sbuffi di fumo bianco in mezzo alle case o nella zona industriale. La sequenza di boati è pazzesca e ti fa pregare che non sia troppo vicina. In pochi secondi la “raffica” della morte si espande per un chilometro, avvolgendo nel fumo la zona colpita di Sloviansk. I racconti sono drammatici: “Stava tornando a casa in bicicletta e le schegge l’hanno tagliata in due”. Per non parlare dei miracolati: “Mio marito dorme nel sottotetto. Cinque minuti prima dell’arrivo della granata si era alzato per andare in bagno. Così si è salvato”. Il tetto non esiste più e la stanza del miracolato è un cumulo di calcinacci.

Nonostante l’ululato continuo delle sirene, le donne continuano ad andare a prendere l’acqua con grossi bidoni, chiacchierando come se non ci fosse la guerra. Il mercato, aperto in parte, vende il minimo indispensabile compreso qualche prodotto dei campi e frutta di stagione. Un punto di ritrovo e sopravvivenza, che i russi hanno centrato due volte negli ultimi tre giorni. Anche la pizzeria Celentano – vicino alla piazza centrale, dove si poteva ancora consumare qualcosa – rischia grosso. Stesso allarme per il piccolo supermercato protetto come un bunker da sacchetti di sabbia e tavole di legno per coprire le finestre. Dentro gli scaffali sono mezzi vuoti, ma è l’unico posto dove trovi ancora da mangiare, le ricariche per il telefonino e puoi farti un caffè di guerra, neanche tanto male, con una macchinetta automatica. I russi lo sanno e potrebbero colpirlo come hanno fatto con i centri di distribuzione dei viveri e aiuti nella altre città sotto tiro. La tattica della fame per debellare la resistenza.

A Sloviansk hanno cominciato a martellare la zona industriale nell’ultima settimana. Una fabbrica di ceramica, non si capisce perché centrata come obiettivo, è finita in cenere dopo avere eruttato fiamme per ore. Il tetto è stato sfondato da uno o più missili e sono rimasti in piedi solo i muri perimetrali. Una babushka, che si spaccia per proprietaria, è inferocita con i giornalisti: “Siete dei bugiardi. Chi vi dice che non siano stati gli ucraini a bombardare la mia fabbrica?”. In città non mancano i filorussi, che secondo l’intelligence fornirebbero informazioni al nemico per colpire le postazioni di Kiev.

Le truppe d’invasione sono alle porte a una dozzina di chilometri. Sloviansk è un obiettivo strategico e simbolico per i russi. Se la conquistano possono puntare su Kramatorsk e chiudere in un’enorme sacca la regione di Donetsk, la metà del Donbass che il Cremlino vuole occupare dopo avere conquistato la fetta di Luganks.  Simbolico perché in questo piccolo centro urbano nel 2014 sono apparse le prime barricate ed i secessionisti armati. La battaglia per sfaldare la linea del Piave potrebbe durare tutta l’estate. I russi stanno attaccando Bakhmut, ad un’ora di macchina,  e intensificano i bombardamenti su tutta la regione di Donetsk ancora in mano agli ucraini. Oltre a utilizzare l’aviazione. I Mig sfrecciano a volo radente con un frastuono infernale. Gli ucraini hanno inviato in Donbass il meglio: i lanciarazzi multipli Himars appena ricevuti dagli americani. L’esercito schiera di tutto, dai corpi speciali alla difesa territoriale. Ognuno ha un suo affascinante stemma di riconoscimento. Il tema dominante è la morte raffigurata dai teschi, ma non mancano simboli guerreschi come spade, cavalieri antichi e fulmini che dovrebbero incenerire il nemico. “Questa fra poco sarà la linea più calda di tutto il fronte” spiega Arthur, un sergente di ferro con la bandana da pirata. Il dedalo di trincee domina un fiume e una boscaglia dall’altra parte da dove stanno arrivando i russi. Nei camminamenti gli ucraini si sono inventati dei periscopi artigianali ricavati con i tubi da idraulico per non farsi spappolare la testa da un cecchino. E il cicalino collegato a un filo invisibile teso ad altezza d’uomo. “Quando gli incursori russi si infiltrano di notte – spiega il sergente – neanche si accorgono di tendere il filo, che fa suonare il cicalino. E scatta l’allarme”. I bunker sono protetti da lastre di cemento coperte di terra, segno che gli ucraini sono decisi a resistere sulla linea del Piave. E per farlo usano anche i droni che si comprano in rete.

Cherkes è il nome di battaglia di un tenente con i capelli alla rasta, che fino all’invasione faceva l’ingegnere a New York. “Comando un plotone che utilizza i droni per individuare i carri armati o l’artiglieria nemica. Poi passiamo le coordinate alle nostre batterie”, spiega sulla collina del cimitero che domina Sloviansk. I suoi uomini lanciano il drone, che piccolo e agile riesce ad infiltrarsi sopra le linee nemiche. “I russi hanno un sistema fortissimo di guerra elettronica, ma talvolta riusciamo a fregarli. Però sarebbe meglio avere dei veri e propri aerei da ricognizione a pilotaggio remoto con maggiore autonomia” sostiene il giovanotto in uniforme da battaglia con occhiali da sole a goccia. Il drone è ancora in aria, ma sotto di noi arriva la quotidiana “raffica” dell’artiglieria russa che solleva un chilometro di esplosioni, fumo e morte.