“Io, il Tulipano Nero sfido bombe e agguati per recuperare le vittime”
Sloviansk (Donbass). Barbetta rossiccia, cappellino da militare e maglietta nera con un tulipano stampato davanti. Oleksiy Yukov arriva all’incontro a Sloviansk, la città del Donbass sotto le bombe russe, con il suo camion frigo. Sulle fiancate due grandi croci rosse. Dietro la barella ed i sacchi per i corpi straziati dalla guerra. Oleksiy è il «tulipano nero» che raccoglie le salme sul campo di battaglia.
Perché questo nome, tulipano nero?
«È il fiore del dolore e ha un collegamento con l’invasione sovietica dell’Afghanistan da dove rimpatriavano i caduti con degli aerei soprannominati tulipano nero».
Qual è la missione?
«Recuperare chi è rimasto ucciso in guerra per restituirlo ai familiari e permettere una degna sepoltura. Civili e militari ucraini, ma anche russi perché si tratta di una missione umanitaria».
Quando hai iniziato a recuperare le salme?
«Ancora prima del 2014 (scoppio della guerra in Donbass, ndr) con i resti dei soldati caduti nella prima e seconda guerra mondiale. Con il conflitto nel Donbass abbiamo recuperato negli ultimi otto anni un migliaio di corpi e oltre 200 solo dall’invasione del 24 febbraio».
Come recuperate i corpi?
«Attraverso una linea aperta per le segnalazioni o cerchiamo informazioni sui social media. In diversi casi sono le autorità a chiederci di andare sul campo di battaglia. Prima dell’invasione avevamo anche un accordo non scritto con i filo russi, ma poi stavo quasi per morire in un recupero e loro ridevano. Così ho interrotto i rapporti».
Può descrivere qualche caso?
«Ci chiamano quando è urgente: i corpi sono in prima linea e stanno per ricominciare a bombardare con l’artiglieria. Bisogna portarli via, altrimenti non resta nulla. Recentemente siamo andati in un villaggio colpito a ridosso del fronte. Un padre con suo figlio erano stati uccisi dalle granate e giacevano dentro casa. Il figlio era morto subito straziato da bombe a grappolo, ma il papà se ne è andato lentamente per le ferite provocate dalle schegge. Con un poliziotto di scorta abbiamo dovuto muoverci in fretta. Appena messi i poveri resti nei sacchi neri sono tornate a piovere bombe».
Quale recupero non dimenticherà mai?
«La strage alla stazione dei treni di Kramatorsk. Fra le vittime c’erano tante mamme e bambini con i corpi completamente devastati dal munizionamento a grappolo. Per due giorni di fila abbiamo raccolto i frammenti umani di grandi e piccini. C’erano organi, orecchie, occhi, braccia e gambe. I giocattoli, i passeggini, i resti dei vestiti erano tutti intrisi di sangue. É stato terribile».
Come vi sostenete?
«Siamo volontari e sosteniamo l’attività raccogliendo fondi in rete. Gli americani ci hanno dato 800 litri di diesel per il camion frigo, ma presto finiranno».
Dorme di notte?
«Sono così stanco dopo queste missioni che crollo. Talvolta, però, mi sveglio chiedendomi, «ma è tutto vero quello che ho visto?».
Perché ha fatto questa scelta nella vita?
«Chiunque deve venire sepolto con dignità. La vita è un dono e quando finisce i tuoi resti terreni hanno diritto ad una giusta sepoltura. Non importa chi eri da vivo, la tua religione, nazionalità o da che parte combattevi. La guerra non guarda in faccia nessuno. Ti usa per poi gettarti via. Quello che conta è che eri un essere umano e meriti la giusta sepoltura».
È vero che sei stato catturato dai filo russi?
«Sì, all’inizio nel 2014 mi hanno preso proprio a Sloviansk. Il prigioniero prima di me è stato eliminato con due proiettili. Avevo già un’arma puntata alla testa, ma poi un loro leader li ha fermati spiegando che ero il tulipano nero».