In prima linea dentro la guerra

In prima linea dentro la guerra

Bakhmut (Ucraina) Le colonne di fumo nero che si alzano all’orizzonte, alle porte di Bakhmut, fanno capire che la città già deserta e spettrale sta diventando la nuova prima linea del fronte più sanguinoso nel Donbass. “I russi sono a due chilometri e provano ad avanzare, ma noi teniamo duro”, dichiara orgoglioso il comandante Fiodor, che non si scompone di un millimetro per i bang dell’artiglieria in partenza e la risposta nemica.

Capelli grigi, torso nudo, fisico da atleta, in un’altra vita faceva il sindaco di una cittadina occupata dai russi. Adesso è in trincea davanti a Popasna in mano agli invasori e rasa al suolo da una feroce battaglia. La sua postazione è mimetizzata lungo la strada principale che parte da Bakhmut. Davanti ai sacchetti di sabbia ha “impiccato” un manichino con faccia e baffetti di Hitler. Appeso al collo c’è un cartello con scritto Putin e un epiteto forte che va di moda dall’inizio della guerra.

Fiodor davanti al manichino impiccato

“Mia figlia vive in Italia da 20 anni a Porto Recanati – dice -. Le mando un bacio e prometto di andare a trovarla appena finisce la guerra”. La rete è debole, ma Larissa risponde dall’Italia via WhatsApp: “Grazie mille ma portatemelo qui per favore”. Fiodor sorride, ma subito dopo si fa cupo parlando con un suo uomo, che con i paraorecchie dirige il tiro di un pezzo d’artiglieria. “Poco più avanti i russi attaccano con la fanteria, ma i paracadutisti li respingono, per ora”, racconta il comandante dell’unità di difesa territoriale.

Nella direzione opposta la striscia d’asfalto arriva al budello in gran parte sterrato, che rappresenta l’unica via di fuga e di rifornimento per Lysychansk. La strada per l’inferno con i russi ai fianchi che martellano a colpi di artiglieria. Severodonetsk, la città gemella, è caduta, ma a Lysychansk gli ucraini hanno scavato trincee al fianco di ogni strada. “I russi puntano a circondare la città – spiega padre Oleh, un salesiano che ha preso i voti in Italia e faceva la spola con la città sotto tiro portando aiuti ed evacuando civili e militari feriti -. Per questo hanno distrutto l’ultimo ponte per la ritirata. Si combatte duramente”. Se cade Lysychanks, metà del Donbass, la regione di Lugansk, finirà in mano ai russi.

E poi toccherà a Bakhmut dove i pochi civili rimasti si rifugiano sottoterra per scampare alle bombe. Uno dei condomini di periferia è crollato colpito in pieno. La povera gente non ha soldi per scappare e forse non vuole farlo in attesa dei russi. Olga, una signora di mezza età, è in lacrime. “Mostrate a Biden cosa sta accadendo nel Donbass – si dispera -. Sotto queste macerie c’è ancora il corpo di una ragazza. Ucraina, Russia, a noi non interessa. Lasciateci solo vivere tranquilli”.

Le forze russe premono anche da Izyum con punte d’attacco ad una dozzina di chilometri da Sloviansk, che assieme a Kramatorsk sono la linea del Piave per gli ucraini. Davanti al villaggio sperduto di Husarivka corre un dedalo di trincee, stile prima guerra mondiale, difese con le unghie e con i denti dal 122imo battaglione. Il giovane tenente che comanda il plotone ha il mito dei guerrieri indiani irochesi, che usa come nome di battaglia.

“In questi giorni ci hanno lanciato contro una batteria di Grad, dei razzi Uragan e 24 colpi di artiglieria, ma resistiamo nei bunker e nelle trincee”, spiega l’ufficiale, come se fosse normale. Dal posto di osservazione si dominano gli spazi aperti e le boscaglie verso Izyum, caposaldo russo. Il tonfo intermittente dell’artiglieria è una cantilena di guerra continua segnata dalle colonne di fumo nero che si alzano in direzione di Sloviansk. Lungo la strada sterrata sotto di noi due carri armati ucraini arrivano a grande velocità sollevando una nuvola di fumo per piazzarsi al riparo degli alberi pronti a cannoneggiare i russi. “La ritirata da Severodonetsk non è una tragedia – spiega il maggiore Vladimir – abbiamo preservato le forze per continuare a dare del filo da torcere ai russi. Però ci vogliono le armi occidentali, in numero maggiore e più moderne per respingere l’invasore”. Il vice comandante del battaglione brinda con un caffè amaro, da trincea, “alla vittoria”. I soldati usano di tutto per combattere: dalle moderne armi controcarro inviate dall’Occidente ad una vetusta, ma sempre buona, mitragliatrice sovietica del 1941. Il sibilo del colpo in arrivo sopra le nostre teste fa scattare il tenente che urla: “Granata. Tutti qui sotto”. Ci tuffiamo in un rifugio scavato nel terreno. L’ufficiale ci fa uscire dopo dieci minuti con l’artiglieria ucraina che risponde al fuoco. Pochi secondi e scatta un nuovo allarme: “Avion”, caccia bombardiere. Non resta altro da fare che tornare a tutta velocità nelle retrovie.