“Bombardati ogni giorno”: nella città abitata solo da fantasmi affamati

“Bombardati ogni giorno”: nella città abitata solo da fantasmi affamati

Avdiyivka (Donbass). Il rumore sopra le nostre teste non è il solito sibilo delle granate. Una signora anziana appena uscita di casa alza disperata gli occhi verso il cielo paralizzata dalla paura. Noi ci buttiamo a terra a fianco di un negozio sprangato, che ha un tettuccio di protezione. Il rumore è quello di un cacciabombardiere che sfreccia o di un missile balistico che va a cercare l’obiettivo chissà dove, come era già capitato a Kharkiv. Dopo qualche secondo di panico torna la «normalità» con i boati che si susseguono dal mattino dell’artiglieria russa e ucraina. Una battaglia a cannonate che imperversa attorno ad Avdiyivka la città fantasma sulla linea del fronte del Donbass a sei chilometri dal centro di Donetsk, roccaforte dei separatisti filorussi.

I primi segnali dell’offensiva che le truppe di Mosca stanno preparando per chiudere in una sacca le forze ucraine nella regione contesa. «La città è ogni giorno sotto le bombe. La prima linea delle trincee corre a due chilometri, ma se vogliamo restare vivi non possiamo avvicinarci di più. Sentite le cannonate?», spiega il capitano Serhii Yahodka. I suoi uomini, che ci scortano nell’inferno di Avdiyivka aiutano i civili. Due ragazzotti ben piazzati, compreso uno che parlicchia italiano, orgogliosi della mostrina Cimic, cooperazione civile militare, cooptata dalle strutture Nato. «Chi è rimasto vive nei rifugi, ma ogni giorno cerchiamo di evacuarli», osserva l’ufficiale.

I militari informano la popolazione su Telegram, poche ore prima per motivi di sicurezza, del punto di ritrovo quotidiano, al mattino subito dopo il coprifuoco. Poi arriva l’autobus giallo simbolo dei corridoi umanitari, che raccoglie gli sfollati per portarli in salvo fuori dal Donbass. Il 20 per cento della popolazione si ostina a non partire, nonostante il nemico alle porte, perché non sa dove andare, non ha soldi o attende l’arrivo dei russi. L’ingresso del rifugio nel centro città è protetto da sacchetti di sabbia e indicato da una scritta rossa con una freccia che si vede da lontano. Nel sottosuolo sono allineate le brande dove sopravvivono soprattutto anziani o bambini come Zayka, che stringe un coniglio di pezza e legge un vecchio libro. «Così, anche se non va a scuola, continua nel programma», sussurra il papà.

La difesa territoriale pattuglia le strade deserte in mezzo a edifici sfregiati dalle bombe. Pochi i civili in giro, che camminano veloci alla ricerca di qualcosa da mangiare per poi rintanarsi nei rifugi. Un uomo sulla sessantina gira in bicicletta. Edy è un volontario in tenuta di combattimento, che durante il pattugliamento non si scompone per i boati troppo vicini e al massimo puntualizza: «Bombe russe». Sul telefonino ha registrato la moglie ucraina, Julia, come «amore mio», in italiano. Dalla base della difesa territoriale di Avdiyivka la chiama via whatsapp e lei risponde facilmente nella nostra lingua: «Ho lavorato otto anni in Sicilia. E adesso sono rifugiata a Roma con nostro figlio. Non finirò mai di ringraziare l’Italia. Prego sempre che la guerra finisca il primo possibile per tornare a casa da mio marito». Julia fa vedere il bambino che gioca ed Edy, il duro, tradisce l’emozione. Le forze russe stanno sferrando attacchi sull’intera linea del fronte dove sono state bombardate anche Ocheretynska, Marinka e Toretsk. Nelle città fantasma come Avdiyivka i civili sono esasperati davanti alla scuola trasformata in centro di distribuzione dei viveri. Dall’Italia sono arrivati anche i maccheroni. «Stiamo per ore in fila per una borsa di cibo – si lamenta una signora bionda, occhi azzurri e rughe -. Che cosa abbiamo fatto di male noi anziani per meritarci le bombe, la paura, la fame?».