Il calvario dei profughi dimenticati

Il calvario dei profughi dimenticati

Da Ankawa, Erbil. La vita non è facile per i profughi cristiani dell’Iraq. Fuggiti di fronte alle orde dell’Isis che nell’estate 2014 hanno invaso la regione di Mosul e la piana di Ninive,i centoventimila sfollati cristiani hanno trovato riparo nella prima metropoli che hanno incontrato sulla propria strada: la polverosa capitale del Kurdistan iracheno, un milione e mezzo di abitanti e appena dieci chiese.

La maggior parte dei rifugiati vive nel sobborgo cristiano della città, Ankawa: nonostante il governo curdo prometta a gran voce la tutela di tutte le minoranze, i cattolici sono comunque discriminati. Non è raro che i taxisti si rifiutino di prendere a bordo chi indossa una croce. Gli operai che lavorano a costruire le nuove chiese per i profughi lasciano il lavoro: “In moschea – sussurrano – il mullah dice che è proibito”.Gli scampati alla persecuzione sono raccolti in diversi campi che circondano Ankawa come una desolata corona. A quasi due anni dall’esodo le tendopoli sono ormai scomparse, ma i disagi rimangono grandi.

“Da mesi nel campo scorre una fogna a cielo aperto, con il rischio che si diffondano malattie contagiose”, spiega padre Jalal Yako, prete di Qaraqosh fuggito con i suoi fedeli pochi minuti prima che le bandiere nere irrompessero nella canonica “Cosa farò se scoppia un’epidemia? Nei container sono stipate fino a dodici persone per struttura: la promiscuità è assoluta.”

I problemi logistici e sanitari sono aggravati dalla cronica mancanza di denaro, che ha ridotto sul lastrico le diocesi delle terre invase: la Chiesa siro-cattolica di Mosul, che fino al 2014 inviava addirittura aiuti umanitari all’estero, ora è la più povera della regione e fatica a mantenere il clero sopravvissuto.Le cospicue donazioni che arrivano dall’Europa e dagli Usa sono amministrate dall’arcidiocesi caldea di Erbil, retta dall’arcivescovo Bashar Warda. Non è facile far fronte a tutte le necessità, anche perché l’emergenza è terreno per fertile per gli speculatori. Ad Ozal City, un sobborgo residenziale di Erbil, la Chiesa affitta piccole villette per 870 famiglie di profughi. Prima del loro arrivo, ciascuna di queste case costava circa 30.000 dollari: oggi gli agenti immobiliari arrivano a chiedere anche 100.000 dollari per ogni struttura.

L’affitto di una villetta costa cinquecento dollari americani al mese, in un Paese in cui lo stipendiodi un impiegato pubblico raramente supera i quattrocentocinquanta. Per ottimizzare le spese, gli sfollati sono stipati come sardine: in ogni edificio vengono costrette fino a diciassette persone e per chi rifiuta di traslocare con un’altra famiglia l’alternativa è la strada. Ancor più affollato delle case è l’asilo del quartiere, realizzato anche grazie ai fondi di Avsi, braccio laico di Comunione e Liberazione: le suore domenicane che ci conducono a visitarlo spiegano, un po’ imbarazzate, che in una stanza di appena dodici metri quadrati si stringono ogni giorno fino a diciannove piccoli alunni.Non è tutto: un prete siriaco fuggito da Qaraqosh racconta che, dopo l’invasione, il clero delle regioni occupate venne ospitato nel seminario caldeo di Erbil, da poco restaurato in pompa magna. Con le sue trentotto camere da letto per diciassette seminaristi, la palestra iperattrezzata, il campo da calcio e la piscina (senz’acqua), il seminario pareva una sistemazione ideale: tuttavia, dopo i primi tempi, è stato deciso che la struttura dovesse ospitare solo gli studenti, e il clero fuggito dalle terre invase è stato fatto spostare altrove. Costringendo l’arcidiocesi a sostenere altre spese.

Nel complesso, però, lo sforzo della Chiesa per offrire assistenza è stato e continua ad essere titanico. A fare da collegamento tra le diocesi locali e il Vaticano è la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, il cui direttore per l’Italia, Alessandro Monteduro, ha visitato Erbil insieme al vescovo di Ventimiglia-Sanremo, Antonio Suetta, e a quello di Carpi Francesco Cavina, latore di un dono di Papa Francesco ai cristiani iracheni.Il logo rosso e bianco di Acs è ben visibile per tutta Ankawa, sui muri dei prefabbricati che ospitano case e servizi per i profughi. Una delle prime emergenze da risolvere è stata quella delle scorte alimentari: “Ogni mese dal magazzino di Acs parte un pacco di generi alimentari per 11.500 famiglie, cristiane e non – spiega Monteduro – L’anno scorso erano 13500, ma molti hanno deciso di emigrare.” Oltre al sostentamento quotidiano si è provveduto anche a ripristinare i servizi della vita normale, a partire dalle scuole. Con le donazioni dei cristiani di mezzo mondo è stata realizzata la scuola dell’Annunciazione: un lindo complesso di prefabbricati adagiati nel deserto alle porte di Erbil, dove quotidianamente seguono le lezioni – gratuitamente – oltre quattrocento bambini. Altre scuole ed altri asili attendono solo le autorizzazioni governative per aprire i battenti.Fra mille difficoltà, la vita prosegue. Mentre i bimbi sono a scuola, nei campi profughi alcune donne hanno creato un laboratorio di lavorazione di pietre dure: fabbricano piccoli monili a tema sacro, secondo l’antica tradizione assira. Una semplice croce viene incartata e benedetta. Prenderà la via di Roma, dono per Papa Francesco. Che da tempo sogna di poter compiere un viaggio apostolico proprio qui, ad Erbil. Per poter vedere con i propri occhi il martirio silenzioso dei cristiani perseguitati.

Foto e video di Gabriele Orlini