Aleppo, nei tunnel dei jihadisti
Aleppo, 10 gennaio. I ragazzini no. Corrono e giocano come se fosse un posto qualunque, anzi: per molti di loro è un posto mai visto, un mondo da scoprire. Pieno di macerie ma nuovo. Ma tutti gli altri aleppini si muovono intorno alla Cittadella come zombie. Rigidi, si guardano intorno come se fossero appena sbarcati su un altro pianeta. Qualcuno si fa un selfie. Tutti stentano a riconoscere i posti dove avevano preso il caffè, fumato in narghilè, comprato un profumo o un paio di scarpe. Un mondo fa, una vita fa.
Non li sveglia nemmeno, penso, una sparatoria improvvisa e non troppo lontana, con il suono secco e isterico dei piccoli calibri e quello cadenzato e profondo delle armi pesanti. Ma poi mi rendo conto che forse quello è il rumore jui sono più abituati.Il cuore della resistenza delle milizie jihadiste e dei ribelli era proprio qua, nella cosiddetta Aleppo Est ma soprattutto nei quartieri ai piedi della Cittadella, la grande fortezza che gli arabi costruirono su una collina che era fortificata già qualche millennio prima di Cristo. Qui, nella parte alta e più antica della città, si dipanava il reticolo dei khan (i mercati coperti con decine di chilometri di corsie), degli hammam e delle moschee, che era diventato il santuario dei miliziani. Appena sotto, i mercati “moderni” ma strutturati allo stesso modo. Tra i detriti e negli edifici sventrati ancora si scorgono i segni di quella presenza: indumenti, resti di cucina, pallottole, escrementi.Il che aveva dato luogo a una situazione paradossale. Nella Cittadella, che in secoli e secoli fu conquistata solo dai mongoli guidati da Ulagu Khan, nipote di Gengis Khan, resistevano i soldati di Bashar al-Assad, riforniti dal cielo con gli elicotteri e gli aerei e dal sottosuolo attraverso le gallerie segrete scavate nell’antichità dagli arabi e tuttora percorribili, così lunghe da sbucare in Aleppo Ovest. Tutto intorno jihadisti e ribelli che da un lato assediavano la Cittadella (e fecero almeno due tentativi di far saltare le mura per conquistarla) e dall’altro si scavavano un proprio reticolo di gallerie.
Gallerie si fa per dire. Per spiegare di che si tratta bisogna spendere due parole sui khan. Si tratta di una serie di piccoli negozi uno accanto all’altro in due file parallele alla corsia centrale, dove passano i clienti. Alle spalle di ognuna delle file, altre file di negozi, appoggiati schiena contro schiena ai precedenti, e così via. I jihadisti, per sfruttare la copertura, avevano pensato bene di bucare i muri divisori tra un negozio e l’altro, aprendo così delle specie di gallerie con cui potevano camminare protetti e arrivare, non visti, fino ad Aleppo Ovest, colpire e poi ritirarsi per la stessa via. Con Jawal e Boulos, due amici di qui che mi fanno da guida, abbiamo fatto l’esperimento e di buco in buco siamo arrivati molto lontano, fino a Sahed Fahrat, la piccola ma meravigliosa Piazza Farhat, che con le sue tre chiese era il cuore della Aleppo cristiana e ha segnato per anni la linea del fuoco.Questa è una delle ragioni per cui la città vecchia è tanto distrutta: non solo perché nessuno ha risparmiato i colpi ma anche perché il fronte in molti tratti era largo non più di un muro o di una strada. Mi racconta un religioso: “Un giorno volevo capire quanto erano lontani i miliziani dalla nostra chiesa. Avrò fatto sì e no 500 metri, poi mi sono affacciato pian piano a un buco nel muro. Di là c’era un guerrigliero che camminava in punta di piedi verso il buco per guardare verso il nostro lato. Son tornato indietro di corsa”.
Ed è anche la ragione per cui proprio gli antichi mercati coperti di Aleppo, una delle gemme del Medio Oriente, sono stati così radicalmente massacrati. C’era un modo solo per stanare i miliziani, ovvero togliergli quella perfetta copertura a furia di bombe. La loro risposta è stata seminare le rovine di mine. In molte parti di Aleppo Est non si può entrare e per tutta la giornata risuonano le esplosioni degli ordigni che gli artificieri fanno saltare.Mentre ci aggiriamo tra le rovine del mercato alimentare, incontriamo un signore che mestamente entra ed esce da quelle che erano botteghe fiorenti, piccoli locali che, nel posto giusto e con le merci giuste, potevano valere anche un milione di dollari. Spiega che il suo negozio è più in là. Dopo quattro anni di occupazione da parte dei jihadisti non ha il coraggio di andare a vedere che cosa ne è rimasto. Chiede se è proprio tutto rovinato. Ci guardiamo: come fa a sperare che si sia salvato proprio il suo negozio, in questo massacro. È proprio tutto distrutto?, chiede ancora. Boulos e Jawal si guardano, poi Boulos gli dice solo: “Qullu”. Tutto. Quell’altro si gira e scappa da dov’era venuto.