Agdam, la città fantasma: così torna alla vita

Agdam, la città fantasma: così torna alla vita

(Ganja). Il bambino vestito con maglietta e pantaloni mimetici che fa da sentinella alle case distrutte di Ganja ci ricorda che qui la guerra, e quindi la morte, è una compagna fedele fin dai primi giorni di vita. All’interno di quello che è oggi un memoriale nel cuore della città ci sono tre case completamente distrutte. Sono state colpite da missili Tochka-U, Smerch e Scud lanciati dal’Armenia nei primi giorni di ottobre, durante la guerra del 2020. Decine le vittime di quegli attacchi. Tra di loro anche donne e bambini. I loro volti sono stati stampati e affissi su un enorme cartello davanti alle loro loro case. Come se dovessero vegliarle per sempre. Oggi, chiunque entri in questo parco-memoriale incontra quegli occhi che non ci sono più, simbolo della crudeltà di una guerra che può colpire chiunque, ovunque e in qualsiasi momento.

Foto di Matteo Carnieletto

Le ferite del conflitto si incontrano ad ogni angolo della strada. I volti dei soldati caduti – alcuni dei quali giovanissimi, nati nel 2001 – formano una sorta di Via Crucis del conflitto. Ad Agdam – l’Hiroshima del Caucaso, come la chiamano da queste parti – la guerra ha cancellato tutto. La città è stata il teatro di una pesantissima battaglia nel luglio del 1993 in cui ebbero la meglio gli armeni. Subito dopo la fine delle ostilità, le forze di Erevan diedero fuoco alle case o le fecero saltare in aria per scoraggiare chiunque a tornare. Gli abitanti di origine azera furono deportati affinché della loro presenza non rimanesse più alcuna traccia. Dopo la guerra del 2020, la città è tornata, dopo quasi trent’anni, sotto il controllo azerbagiano.

Quando entriamo ad Agdam veniamo accolti da un luogo spettrale. Le nuvole sono basse. Cupe. Ogni tanto fa capolino, senza crederci troppo, un sole cocente. Poi di nuovo le nuvole. Delle abitazioni rimane poco o nulla.

Foto di Matteo Carnieletto

Gli artificieri sono al lavoro per rendere sicura l’area: “Fino ad ora abbiamo trovato oltre 7mila mine”, ci raccontano. Percorriamo un sentiero strettissimo, l’unico, ad eccezione delle strade per arrivare alla città, su cui è permesso camminare. Non si può andare altrove senza rischiare di saltare per aria. “Fermati” – urla Namiq, un artificiere – mentre avanziamo troppo. Le operazioni di bonifica sono lunghe e gli ordigni inesplosi molti. La presenza di animali pericolosi – come insetti, serpenti e ragni – rende tutto più difficile.

Poco distante il cimitero dei caduti della guerra contro l’Armenia. Molto di loro sono ragazzi di poco più di vent’anni. Durante l’occupazione i loro cadaveri sono stati disseppelliti e, spesso, fatti sparire. Dopo la liberazione di questi territori da parte dell’Azerbaigian, nel 2020, i loro familiari sono tornati alla ricerca di corpi che, molto spesso, non c’erano più. Hanno però messo una foto, una bandiera e dei fiori con i colori nazionali per ricordarli. Ma sono ancora molte le buche che indicano che, una volta, lì era sepolto un uomo.

Poco alla volta, ad Agdam, stanno spuntando le prime nuove costruzioni e si stanno restaurando i luoghi culturali e religiosi più importanti. Come la moschea, i cui minareti sono stati a lungo utilizzati dagli armeni come torri di avvistamento, e che per decenni è stata adibita a stalla. Fu costruita tra il 1868 e il 1870 e ora un grande cartello della fondazione Aliyev ricorda chi la sta ristrutturando. Nonostante i tentavi di far tornare la vita ad Agdam, però, la normalità è ancora lontana.