“Resto in Afghanistan per i diritti delle donne. Italia e Ue ci aiutino”

“Resto in Afghanistan per i diritti delle donne. Italia e Ue ci aiutino”

Il lamento del muezzin attraversa la distesa di tombe, pulviscolo e luce del tramonto avvolgono il cimitero in un soffuso velo violaceo. Accoccolate tra un tumulo di pietre e una lapide una coppia di donne si muovono lente tra le pieghe di due burqa azzurri. Una ha un bimbo in braccio, l’altra bagna i bordi della tomba, ripulisce la terra, spolvera il marmo e la sua iscrizione. All’improvviso una si rizza in piedi, s’avvicina ai nostri obbiettivi. Abbassiamo le telecamere e facciamo un passo indietro. Ma il burqa non si ferma, infrange ogni regola di distanziamento tra i sessi imposta dall’ordine talebano e sussurra una frase in inglese. «I talebani hanno ucciso mio fratello per causa mia». Sgraniamo gli occhi, farfugliamo qualcosa, ma la voce senza volto ci rimette in riga. «Non qui, non adesso c’è troppa gente questo è il mio telefono sentiamoci e vi racconterò tutto». Dodici ore dopo quella voce ha il volto di Bibi Gulali Mohammed. Ha 27 anni, è figlia di un mullah ed è originaria di quell’Uruzgan dove nacque anche il Mullah Omar. Ed è diventata la più giovane deputata dell’ormai chiuso parlamento afghano.

Ieri al cimitero ci ha detto «mio fratello è stato ucciso a causa mia». Perché?

«I talebani lo hanno ucciso il 27 gennaio, a Kandahar. Aveva solo 21 anni e si era appena sposato. È stata dura, ma se la pace tornasse veramente sono pronta a perdonarli. Mio fratello ha concepito un figlio prima di venire assassinato, che adesso ha due mesi. Ogni giorno, quando lo guardiamo, pensiamo a suo padre morto mentre lui stava per nascere»

Un omicidio mirato?

«Sì, perché era mio fratello. Io oltre ad essere un membro del Parlamento ed essermi battuta per le donne afghane sono anche la figlia di un mullah. Volevano che rimanessi a casa senza espormi soprattutto in politica. È stato molto difficile. Alcuni parenti che stanno con i talebani mi ripetevano di non candidarmi. Per loro ero una donna da tener nascosta sotto il velo. Anche adesso ricevo continuamente minacce da numeri diversi. Mi ricordano che hanno ammazzato mio fratello e mi dicono che la prossima volta toccherà a me. Ma da quando l’hanno ucciso non mi sono mai fermata. Non ho paura. So che un giorno potrei venire uccisa, ma fino a quando sarò viva lotterò per i miei diritti».

Perché non si è fatta evacuare dagli occidentali?

«Ho deciso di non lasciare l’Afganistan perché voglio battermi per i diritti delle donne. I talebani hanno promesso che ci rispetteranno. Se sarà così bene! Se cambieranno idea sostenendo che le donne non possono lavorare e non devono studiare, come è accaduto in quest’ultima settimana nella mia università, sarà dura resistere in questo paese».

Perché è venuta a Kandahar?

«Mia madre voleva vedere la tomba di suo figlio. Siamo partiti in macchina nascoste dal burqa, ma tornerò a Kabul per capire quali decisioni prenderanno i talebani nei confronti delle donne».

La famiglia la appoggia?

«Mia madre è la vera coraggiosa della famiglia. È sempre stata al mio fianco anche quando i parenti la assalivano perché mi faceva studiare. Lei diceva sempre non mi interessa quello che dicono. Un giorno si renderanno conto che ero nel giusto. Adesso ha paura di perdermi come è accaduto con mio fratello. Se ti uccidono non sopravviverò ripete spesso. Tante volte ha cercato di convincermi a lasciare il paese».

I talebani sono più moderati?

«Non ci concederanno di certo i diritti che abbiamo conquistato. Perderemo la gran parte di quanto ottenuto negli ultimi 20 anni, ma spero e chiedo che garantiscano almeno il diritti a lavorare e studiare. Le donne afghane sono capaci e possono guidare anche una provincia. I talebani dicono che dobbiamo portare il velo. Lo abbiamo fatto prima e lo faremo anche adesso, ma rispettate i nostri diritti».

I talebani sono cambiati?

«Negli ultimi giorni ho visitato diverse province e non ho notato alcun cambiamento. Sono diversi i vertici, i leader che hanno viaggiato e conosciuto altri paesi. A Kabul, rispetto al primo emirato di 20 anni fa, si nota qualche miglioramento. Possiamo camminare per strada senza coprirci completamente il volto, ma nell’entroterra i talebani sono sempre gli stessi. Noi donne vogliamo diventare parte attiva della società. Questo sarebbe il vero cambiamento».

Cosa dovrebbe fare il mondo libero?

«Abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità internazionale. Dovete chiedere ai talebani di rispettare i diritti delle donne».

Vuole lanciare un appello all’Italia?

«Ci aspettiamo l’appoggio dei nostri amici europei e soprattutto del governo italiano. Ci sono tante come me, che non hanno la possibilità di uscire allo scoperto. Continuate ad aiutare le donne afghane».