Rwanda, 25 anni dopo l’orrore, il Paese riparte dalle donne
Il Rwanda eĢ tristemente noto come il Paese dellāultimo genocidio del secolo scorso nel quale persero la vita piuĢ di un milione di persone, durante un periodo di tre mesi a partire dalla notte fra il 6 e il 7 aprile 1994, quando venne abbattuto da ignoti lāaereo su cui volava lāallora presidente del Rwanda Juvenal Habyiarimana e il presidente del Burundi Cyprien Ntaramira. Per cento giorni, le milizie paramilitari degli interahamwe (coloro che combattono insieme), con lāappoggio dellāesercito nazionale rwandese (ex Far) e nell’indifferenza della ComunitaĢ Internazionale, massacrarono a colpi di machete circa un milione fra uomini, donne e bambini di etnia Tutsi e una minoranza di Hutu moderati. Quando il Fronte patriottico rwandese (Fpr), il gruppo formato dagli esuli Tutsi guidati dall’attuale presidente Paul Kagame, prese il potere nel luglio dello stesso anno, il Rwanda era un cimitero a cielo aperto, le poche infrastrutture esistenti erano state distrutte e le proprietĆ Ģ individuali razziate.
La maggior parte delle donne rwandesi si trovoava in circostanze disperate: le loro comunitaĢ si erano sparpagliate e gli uomini a cui erano legate erano spesso morti oppure in esilio. Dovevano lottare quotidianamente per nutrire se stesse e i figli rimasti in vita, occuparsi di altri parenti e orfani che avevano preso a carico e affrontare traumi debilitanti sia fisici che psicologici, che rappresentavano lāincorporazione degli orrori di cui avevano fatto esperienza.
Fu in questo contesto di crisi severa, nel quale lo Stato non aveva i mezzi per rispondere ai bisogni piuĢ critici, che le donne cominciarono a cercare delle modalitaĢ di cooperazione per affrontare problemi comuni. Oltre a favorire la creazione (o la riattivazione) di realtaĢ associative, la situazione di post-conflitto spinse le donne a svolgere una serie di occupazioni e di attivitaĢ precedentemente ritenute maschili. Ritorna spesso lāimmagine della donna capofamiglia, vedova con figli a carico o giovane nubile rimasta orfana con fratelli piuĢ piccoli: nel 1996, si calcolava che queste figure fossero alla testa del 34% dei nuclei domestici. Costrette a provvedere al mantenimento dei figli e degli orfani, queste donne dovettero svolgere ruoli riservati fino a quel momento per lo piuĢ agli uomini: costruire case, gestire le relazioni con lo Stato, pagare personalmente le tasse, sviluppare attivitaĢ individuali o collettive al fine di generare un reddito sufficiente a garantire la propria sopravvivenza.
Il Rwanda, venticinque anni dopo il genocidio dei Tutsi, detiene un primato mondiale alquanto significativo: eĢ il Paese con il piuĢ alto numero di donne parlamentari al mondo (68% dopo le ultime elezioni parlamentari del 2018). Il Paese eĢ dotato di un apparato istituzionale e legislativo per le Pari OpportunitaĢ davvero notevole. Merita di essere menzionata la Costituzione del 2008, che impone quote rose per un minimo di 30% ad ogni livello di rappresentanza e la Legge 59/2008 per la prevenzione e la punizione del crimine di violenza di genere (Gbv), tra le cui forme viene anche riconosciuto lo stupro coniugale e la poligamia.
In Rwanda ci sono rappresentanti delle donne a ogni livello amministrativo, dal villaggio fino allo Stato, attraverso lāistituzione nota come National Women Council (Nwc). Per molti anni fino al 2018, una donna eĢ stata Ministra degli Esteri: eĢ Louise Mushikiwabo, attualmente a capo dellāOrganizzazione Internazionale della Francofonia (Oif).
La promozione femminile di oggi eĢ senz’altro in continuitaĢ con la storia recente dellāimmediato post-genocidio e il dato demografico, secondo il quale la maggioranza dei sopravvissuti era costituita da donne. Donne erano anche la maggioranza di coloro che erano rimaste in Rwanda dopo la fuga dei carnefici in Congo Rdc. Per ricostruire il Paese, diventava perciò necessario coinvolgerle attivamente in ambito economico e politico. Si tratta quindi di una spinta indubbiamente top-down, promossa dal governo, sotto forma di una via ārapidaā (fast track) verso lāuguaglianza di genere.
Ma, al di lĆ delle donne che siedono oggi in Parlamento e al governo, come vivono tale situazione le donne āmedieā e āordinarieā rwandesi dei quartieri popolari di Kigali? Come danno forma alle proprie vite nel Rwanda di oggi, a cavallo fra un desiderio di innovazione e modernitaĢ e le inevitabili conseguenze delle tragedie passate?
Per scoprirlo, siamo andati a trovare le donne del Nyamirambo Women Centre (Nwc) e quelle della Cooperativa Dushyigikirane di Gatenga. Due cooperative di sartoria in due quartieri popolari di Kigali, molto nota la prima e piuĢ rivolta a una clientela locale e di quartiere la seconda.
Come ci spiega Marie AimĆ©e Umugeni, direttrice e una delle fondatrici del Nwx, il centro eĢ una Ong locale avviata da 18 donne nel 2007, di etaĢ, religione e background diverso (sia Hutu sia Tutsi), ma tutte residenti nel quartiere popolare di Nyamirambo, la zona piuĢ antica e popolosa della capitale Kigali.
Il Centro fu avviato con lāintento di promuovere istruzione, formazione ai mestieri e avviamento al lavoro di donne povere o svantaggiate. Alla fine del 2013, con il supporto della Cooperazione Slovena, il Centro divenne una piccola impresa locale (sartoria ma anche centro turistico), con lo scopo di autofinanziarsi. Lanciò la linea di prodotti āUmutimaā (ācuoreā in kinyarwanda), che comprende borse, tovaglie, accessori per la casa, vestiti per adulti e bambini, fabbricati utilizzando la stoffa africana (kitenge ), per lo piuĢ pensati per turisti e stranieri. I prezzi sono superiori rispetto ai souvenir āclassiciā, ma la qualitaĢ e lāunicitaĢ del taglio e della fattura li rendono inconfondibili. Umutima eā diventato un vero e proprio ābrandā, e il negozio di Nyamirambo una tappa fissa per turisti, espatriati ma anche rwandesi che vogliano acquistare qualcosa di unico, trendy o āalla modaā, e fatto con stoffe africane e rigorosamente āmade in Rwandaā.
Il Centro ha anche lanciato delle iniziative rivolte ai turisti, quali le passeggiate comunitarie alla scoperta del quartiere, insieme a giovani donne come guide, che spiegano la storia di Nyamirambo, mostrandone le attivitaĢ economiche, gli scorci piuĢ suggestivi e i luoghi di culto piuĢ interessanti. Le guide non mancano mai di ricordare che la comunitaĢ musulmana a Kigali, a differenza di quella cristiana-cattolica, riusciĢ a proteggere i propri fedeli Tutsi durante i giorni del genocidio. Attualmente il Nwc dĆ lavoro a circa 50 donne.
Maria AimeĢe racconta in unāintervista al Berkeley Centre del 2016 che il Centro, nonostante abbia raggiunto ormai una certa popolaritaĢ, non eĢ diventato un ābusiness egoistaā (cit.) bensiĢ continua a ospitare corsi di formazione per le donne povere del quartiere: lezioni di taglio e cucito, workshop sui diritti delle donne e anche una piccola libreria/doposcuola aperta ai bambini del quartiere.
In particolar modo, il Centro assiste numerose donne abbandonate dai propri mariti con i figli a carico: in gran parte musulmane, si ritrovano senza mezzi quando i loro uomini scelgono di prendere una seconda moglie. āNonostante la poligamia sia vietata per legge, eĢ ancora una realtaĢ a Nyamirambo e i mariti, molto spesso, non sono in grado di provvedere alle spese per i figli avuti da entrambe le co-mogliā dice Marie AimeĢe.
Dushyigikirane eĢ invece una minuscola cooperativa di sarte nelle strade di Gatenga, un altro quartiere popolare della capitale Kigali. Dushyigikirane eĢ unāesortazione in kinyarwanda, che significa āAiutiamoci lāun lāaltraā. La cooperativa eĢ stata costituita nel 2015, in seguito a una formazione di taglio e cucito offerta alle donne del quartiere dalla Congregazione Locale di Suore āInshuti zāAbakeneā (amici dei poveri).
Le donne di Dushyigikirane sono 16, e lavorano in una piccola casetta di fango ai lati della strada principale di Gatenga. Ogni sera, si portano a casa le proprie macchine da cucire. āLa nostra sede non eĢ abbastanza solida: qualche mese fa, un ladro eĢ riuscito a scavare un buco nel muro e ci ha portato via alcune delle macchine da cucire e dei materiali. Eā stata una perdita significativa, che non vogliamo si ripeta piuĢā- mi dice Clarisse, una dei membri.
Le donne di Dushyigikirane hanno tutte sopra i 45 anni. Sia Hutu che Tutsi, hanno storie molto diverse fra loro ma, come ci dicono, non hanno piuĢ intenzione di soffermarsi sulle differenze del passato, bensiĢ di guardare insieme con fiducia al futuro, per se stesse e il Paese in generale. Molte di loro sono vedove, una maggioranza anche sieropositive.
I loro clienti sono i rwandesi di Gatenga, che vengono a farsi rammendare vestiti, a farsi cucire uniformi per le scuole per i loro figli o a farsi fare un vestito buono della domenica. Solo saltuariamente qualche turista o volontario straniero passa nella zona per caso, spesso su consiglio dei Padri Salesiani o delle Suore Inshuti zāabakene, che hanno sede proprio poco lontano dalla cooperativa. Solo ogni tanto, una piccola associazione italiana, Turi kumwe Onlus, fa qualche ordine sporadico di prodotti.
Le donne di Dushyigikirane sono fiere di mostrarci le loro ultime creazioni e sono tutte soddisfatte dei risultati raggiunti dal loro piccolo gruppo negli ultimi tre anni: āla mia vita eĢ cambiata in meglio. Riesco a mandare i miei figli a scuola senza problemi, e metto qualcosa sulla tavola tutti i giorni. Non posso dire di avere raggiunto una stabilitaĢ economica, ma almeno non devo piuĢ mendicare presso amici, familiari, vicini o religiosiā.
Le donne di Dushyigikirane conoscono il Nyamirambo Women Centre e guardano con grande ammirazione all’esempio del gruppo di Marie AimeĢe. Intendono recarvisi al piuĢ presto, per poter āscambiare ideeā con donne come loro, che hanno raggiunto un auspicabile livello di successo, e i cui prodotti sono davvero unici anche ai loro occhi. āNon intendiamo copiare quello che fannoā, mi dice la presidentessa Jeannette āintendiamo farci ispirare da loro e capire come si puoĢ migliorare. Sono sicura che tra donne ci si capisce e che sapranno darci dei consigli utili. Del resto siamo tutte sulla stessa barca: lavoriamo per lo sviluppo di questo nostro Paese, che tanto ha visto in passato ma del quale ci prendiamo cura con amore per il futuroā.