
Come i plantigradi sono diventati un problema politico
Sulla pelle dell’orso
Nelle foreste rumene, che ospitano la metà di tutti gli orsi che popolano l’Europa, il paradosso è questo: uno dei migliori alleati che i plantigradi bruni abbiano mai avuto, era un cacciatore. Qualcuno chiamava Nicolae Ceausescu, per la sua ossessione delle battute di caccia, “sgozzatore di orsi”: di grandi carnivori, dicono agiografie probabilmente poco veritiere, ne ha uccisi almeno quattrocento. Uccidere orsi, messi in posa per la canna del suo fucile dai lacchè, era l’hobby preferito del dittatore, ma a puntare contro il bersaglio però doveva essere solo lui nell’intero Paese. Durante il regno del Conducator (“conduttore supremo”, che per un quarto di secolo ha trattato la Romania intera come sua riserva personale), si stima, il numero di orsi raddoppiò: la caccia l’aveva severamente proibita a tutti, tranne che a se stesso. Le sue stragi private, vietate ai cittadini comuni, favorirono il ripopolamento delle foreste vergini (due terzi delle ultime d’Europa si trovano in Romania).

La passione di Ceaucescu nel Paese la condividono in molti. Pubblicizzato meno dei castelli che costellano la Transilvania, è il Museo della caccia dei Carpazi. Sala dopo sala, ai muri ci sono vessilli e reliquie della guerra uomo-orso che qui si combatte da secoli: rappresentazione plastica del predatore diventato preda, archetipo del trofeo per eccellenza, è la pelle dell’orso fatta tappeto. Poi crani ossuti, cornuti, cuccioli impagliati. Negli occhi vitrei degli esemplari imbalsamati c’è una “non-vita” che ricorda terribilmente quella degli orsi chiusi in gabbia allo zoo, imbalsamati da vivi. A Brasov, Transilvania, in ogni casa c’è una storia diversa su un incontro letale con un orso. I pastori li temono, gli agricoltori li scacciano, ma tutti i locali li hanno incontrati, ormai abituati ai residenti selvaggi del territorio. È tra dintorni e sentieri dei villaggi, a Zarnesti, che Cristina Lapis ha deciso di fondare il santuario Libearty (crasi delle parole orso e libertà, in inglese), un progetto che sta tra l’oasi e l’utopia, che accoglie orsi torturati dall’uomo, incapaci di tornare a vivere nella natura selvaggia, in una riserva di decine di chilometri quadrati. Per accogliere l’orsa Jj4 (il 25 maggio il tribunale di Trento si pronuncerà sull’ordinanza di abbattimento) si è fatto avanti proprio questo santuario, come ha reso noto l’Oipa, Organizzazione internazionale protezione animali.

Niente è più triste di un orso a cui nessuno chiede più di ballare, ma rimane danzante. Nel santuario alcuni plantigradi non riescono ad allontanarsi dagli alberi intorno a cui girano intorno tutto il giorno, come se fossero ancora in gabbia. Anche se ormai solo mentali, le catene a cui li hanno legati per anni i loro padroni che li esponevano in ristoranti o bar li tengono ancora prigionieri. Alcuni sono stati accecati per essere resi docili, altri sono stati privati anche del fiuto con composti chimici per costringerli ad essere inoffensivi. Raramente questi carnivori ad alta capacità di apprendimento sanno tornare indipendenti, quando l’idea della schiavitù viene impiantata nella loro testa. Quelli frustati nei circhi illegali non possono evitare di ballare quando i volontari del parco gli portano del cibo: quello che prima gli veniva fornito solo se eseguivano esattamente gli esercizi a comando.

Seppure la Romania abbia vietato per legge dal 2016 la caccia di questa specie protetta, Bucarest ha appena dato luce verde all’abbattimento di oltre 400 orsi. Qui, oltre che ambientale, questi carnivori sono un problema politico e rimangono in bilico tra i due assiomi: sono in pericolo per l’uomo e sono un pericolo per gli uomini. Se per il governo rumeno gli orsi che si aggirano per le foreste sono 6mila, per gli ambientalisti non raggiungono i 2mila, ma i cacciatori che premono per gli abbattimenti dei carnivori problematici contano diecimila esemplari. Tutte le stime proposte – basate sulle tracce ritrovate – potrebbero dimostrarsi errate: i calcoli vengono effettuati con mezzi ritenuti ormai obsoleti, poco affidabili e comunque non più riconosciuti dalla comunità scientifica, che li ha abbandonati per affidarsi a calcoli effettuati con strumenti tecnologici avanzati. Lo ha detto alla Bbc in maniera chiara anche chi agli orsi ha dichiarato guerra, come Csaba Domokos (Milvus Group): “Non c’è alcun tipo di management delle autorità. Nessuno ha idea di quanti orsi ci siano in Romania”.

Sulla pelle dell’orso, perfetto capro espiatorio, a Bucarest si fa campagna elettorale: il ministro dell’Ambiente Barna Tanczos fu eletto grazie alla promessa di ripulire le aree verdi dai plantigradi, così la Romania non sarebbe più stata “lo zoo d’Europa”. Per Agent Green, ong ambientalista rumena, “il ministero dell’Ambiente è finito nelle mani di un cacciatore che odia gli orsi”. Il 4 maggio scorso è stato Barna ad annunciare i nuovi 400 abbattimenti. Qualche giorno dopo, il 16 maggio, la Coalizione natura 2000 ha protestato: “la caccia non deve essere più vista come l’unica soluzione per ridurre i conflitti uomo-orso” ha detto George Kudor, direttore della coalizione composta da 22 ong rumene.
Gli orsi dei Carpazi braccano, ma sono anche braccati: non solo da cacciatori, ma dal disboscamento illegale provocato dalla “mafia lemnului”, la mafia del legno, che abbatte tronchi secolari delle foreste vergini in segreto. Se nel 2014 i metri cubi tagliati illegalmente ammontavano ad oltre otto milioni, nel 2021 avevano superato i venti. Con la guerra in Ucraina e l’inflazione dei prezzi dei prodotti energetici, il mercato nero del legno – che ammontava già a un miliardo di euro annuo – prospera ancora di più. Nelle valli tutti sanno, ma nessuno parla. Non gli orsi, ma ignoti hanno pestato più volte i membri di Agent green quando hanno provato a documentare il disastro ambientale in corso. Alleati degli attivisti sono satelliti e droni: nel territorio dove hanno sede i più grandi colossi del legno occidentali, i colori delle mappe cambiano di anno in anno sotto gli occhi sempre aperti dei satelliti, che però osservano con mesi o anni di ritardo la catastrofe. Per David Gehl, responsabile Eia, Environmental Investigation Agency, ong che combatte crimini ambientali, “la criminalità organizzata è alla base del problema del disboscamento” in Romania. Tra il 2001 e il 2018, riferisce l’Organized Crime and Corruption reporting project, 336mila ettari di foresta sono spariti.

Anche se il dicastero dell’Ambiente rumeno ha provato a digitalizzare il sistema di controllo per verificare l’origine del legname, risulta impossibile controllare ogni camion che quotidianamente entra ed esce dai boschi, ha dichiarato l’eurodeputato Adrian Giurgiu. Nel 2021 i giornalisti Mihai Dragolea e Radu Copnstantin Mocanu, che filmavano gli abbattimenti illegali, sono stati attaccati da una ventina di persone armate di asce. A svelare le reali cifre del mercato illegale del legno è stato un leak di un documento governativo nel 2019: nel report, in cui si analizzavano le attività degli ultimi dieci anni, veniva riferito che ogni anno, dei 38 milioni di metri cubi di legno eliminati, la metà ha origine illegale. Falsi permessi, false informazioni, falsi documenti sulla reale provenienza dei tronchi, insieme a mazzette per funzionari corrotti, permettono al legno che sparisce da aree protette e parchi nazionali di finire in lotti e appalti truccati. Ad acquistarlo a basso costo dalle zone rurali più povere dell’Unione europea sono soprattutto aziende straniere. Nonostante la Commissione europea abbia avviato una procedura d’infrazione contro Bucarest (il regolamento Ue sul legno è entrato in vigore nel 2013) e nel 2016 il profondamente filo-europeo Klaus Iohannis, presidente del Paese, abbia firmato una legge che rende illegale il taglio selvaggio, la corruzione endogena del sistema prevale.

Più l’uomo avanza, più è costretto a farlo il plantigrado. Spinti dall’assottigliamento della flora – e della fauna che conseguentemente diminuisce – in una foresta che rimpicciolisce, gli orsi si spingono verso le zone abitate dall’uomo, regolarmente funestate dai loro attacchi. Ogni anno – ha calcolato il Guardian a fine 2022 – il 2,5 % degli animali selvatici scompare nel mondo proprio a causa della perdita di habitat; il processo irreversibile, in aumento dagli anni Settanta per accelerata urbanizzazione e industrializzazione del suolo, fa sovrapporre più emergenze e moltiplica le crisi: dopo orsi e foreste, scompare la biodiversità unica delle foreste vergini.

Se cacciare orsi è illegale, perché centinaia ne vengono uccisi ogni anno? Lo hanno chiesto i reporter di Radio Free Europe dopo aver calcolato che negli ultimi cinque anni quasi 1500 orsi sono morti. Sebbene la caccia sia vietata, è consentito il salvacondotto, ovvero l’abbattimento programmato degli animali dichiarati, senza troppi controlli, pericolosi. Sulla pelle dell’orso si ingrossa “il business dei trofei”: decine di associazioni guadagnano decine di migliaia di euro accompagnando danarosi clienti stranieri tra tronchi secolari per abbattere i carnivori. Più che caccia, è però farsa: attirati con trappole di cibo contenente veleno, gli orsi rimangono storditi, zombizzati e fermi nei mirini del turista di turno per essere eseguiti. Di certo la vittima più celebre è stata Arthur, un raro esemplare di maschio gigante, abbattuto da un membro della famiglia reale del Liechtenstein. La vicenda finita sulle pagine dei giornali internazionali l’ha sintetizzata così Gabriel Paun, membro di Agent Green: “Un principe ha bisogno di un trofeo: arriva, spara ad un orso enorme e se ne va portandoselo via”.


Gli ambientalisti che accusano di insipienza le autorità vengono accusati a loro volta, quotidianamente, di commuoversi più per il sangue degli animali che per quello degli esseri umani che attaccano, ma nelle foreste rumene ad uccidere, più degli orsi, ci sono gli uomini. Nonostante quasi 200 guardie forestali siano rimaste ferite e sei uccise nel tentativo di proteggere l’ambiente dai criminali, Bucarest non ha mai davvero perseguitato i trafficanti del legno. Nel 2019 il ranger Raducu Gorcioaia è stato ritrovato senza vita nella sua auto: i tagli provocati dalle asce avevano causato ferite mortali. Anche il suo collega Liviu Pop, ranger che aveva deciso di indagare una soffiata sul traffico del legno a Maramures, nord della Romania, è stato trovato morto.